Il mio gatto Axl

Il mio meraviglioso gatto Axl è morto

Il mio gatto Axl, il nostro meraviglioso gatto Axl è morto due giorni fa, il 28 marzo, alle 10 di mattina. Questo articolo è dedicato al suo ricordo e a tutti gli animali che amiamo e che ci amano profondamente, che fanno parte della nostra famiglia e sono così importanti per la nostra vita, e che in questo duro periodo di pandemia ci sostengono e ci aiutano.

Storia del mio gatto Axl. In questa foto era un cucciolo
Il mio gatto Axl da cucciolo

Ho sempre avuto gatti, fin da bambina. Ne ho avuti tanti e li ho amati tutti, soffrendo ogni volta che uno di loro stava male, e a maggior ragione quando morivano. Axl, però, era un gatto speciale. L’avevamo chiamato Axl perché era bellissimo e casinaro come Axl Rose da giovane, ma la sua bellezza era anche e soprattutto interna. Aveva un’aura luminosa attorno, e adesso che non c’è più, penso a lui come a un gatto di pura luce, di pura energia.

Axl, un gatto speciale

Primo piano del mio gatto Axl. Storia della sua vita.
Il mio gatto Axl

Axl era una sorta di gatto santo, con capacità percettive e telepatiche davvero uniche. Io e lui comunicavamo attraverso il pensiero, come sensitivi o chiaroveggenti. A volte pensavo: “Dove sei, Axl?” e lui, dopo pochi secondi, entrava dalla porta e mi veniva incontro. Quando lo accarezzavi aveva la capacità di far calare la tua ansia, la tua tensione, capacità che, in parte, hanno tutti i gatti, ma lui era un vero e proprio painkiller. A volte avevo la sensazione che riuscisse a farti star meglio caricando le tue ansie su di sé, come un gatto sacrificale. Era un po’ come se sapesse che la sofferenza, il dolore sono l’inevitabile dovere di una coscienza generosa e d’un cuore profondo (Dostoevskij, Delitto e Castigo), cosa che noi umani raramente proviamo mentre lui aveva di certo un cuore molto generoso.

Axl e Emiliano nella nevicata a Roma del 2012
Axl e Sandra nella nevicata a Roma del 2018

Il mio gatto Axl: quello che amava e quello che odiava

Il suo linguaggio era composito, con una decina di miagolii del tutto differenti a seconda di quello che voleva comunicare: c’era il miagolio di saluto, il miagolio di allegria e divertimento, il miagolio di dolore, il miagolio di protesta, il miagolio di gioco, il miagolio di richiesta coccole. Come tutti i felini amava la notte, e quando noi andavamo a dormire lui e l’altra gatta, Angelina, tiravano fuori dalla loro cesta tutte le palline e i topini e, al mattino, trovavo tutti i loro giochetti sparsi in giro per casa. Odiava andare in macchina, e se lo dovevi portare da qualche parte lui già lo sapeva prima che noi andassimo in punta di piedi a prendere il trasportino e spariva, come un piccolo fantasma.

Angelina e Axl

Due anni fa abbiamo traslocato, e la prima notte nella nuova casa Axl ha miagolato ininterrottamente, urlando il suo verso di protesta a squarciagola. Ma poi, nel corso di una decina di giorni è uscito in giardino, che nell’altra casa non c’era, e lo ha amato: quanto gli piaceva acquattarsi nella siepe di Viburno e affilarsi le unghie sul tronco del Callistemone! Gli piacevano soprattutto le creature volanti; seguiva con grande attenzione il volo di api, farfalle, vespe e guardava quasi in stato meditativo gli uccelli che volavano sopra di lui: stormi di pappagalli verdi velocissimi e chiassosi, cornacchie grosse dalla voce potente, minuscoli passeri rapidi e silenziosi.

Axl in giardino, storia del mio gatto speciale.
Il mio gatto Axl in giardino

La malattia di Axl

La scorsa estate del 2019 ho sognato Axl ricoperto di sangue, e ho capito che una malattia seria lo aveva colpito, anche se ancora non mostrava alcun sintomo. Qualche mese dopo ha iniziato a star male ed è diventato pelle e ossa. Gli hanno diagnosticato un tumore ai polmoni, non operabile, e dopo un ricovero di qualche giorno è tornato a casa. Per quasi tre mesi è rifiorito; grazie al cortisone aveva ripreso a mangiare ed era felice. Ogni sera alla stessa ora dovevamo infilargli in gola la pasticca di cortisone, ma lui, consapevole del benessere che quella pasticca amara gli procurava, a quell’ora saltava sul solito tavolo e ci ricordava che era il momento della medicina.

Le zampine bianche di Axl

Axl e la fine della sofferenza

Una settimana fa Axl ha iniziato a star male. Piano piano prima, tutto insieme poi. La sua ultima notte è stata straziante. Ogni suo respiro era per noi una coltellata al cuore. Ed è così strano che sia morto patendo gli stessi sintomi di forte insufficienza respiratoria che, in questo periodo, patiscono i malati più gravi di Covid-19. Ma quando al mattino l’ho portato dal veterinario, che mi ha confermato che non c’erano più cure possibili e la sola cosa giusta da fare era un’eutanasia, Axl era sereno. Pronto ad andare. Me l’ha detto con gli occhi e col pensiero. Abbiamo passato gli ultimi cinque minuti della sua vita insieme, in una stanza dello studio veterinario, e ho potuto stringergli per l’ultima volta quelle lunghe orecchie e quelle zampine bianche, sempre candide, pulitissime anche in punto di morte.

Puscifer, gruppo di Maynard Keenan, con Tumbleweed, in memoria di Axl

Esiste, o fratelli, un luogo dell’essere in cui non vi è né terra né acqua, né fuoco né aria, non vi è infinità dello spazio né infinità della coscienza. Non vi è la nullità, non la percezione né la non-percezione, né questo mondo né un altro mondo né entrambi, né il sole né la luna. Qui, monaci, io dico che non vi è giungere né andare né rimanere, non vi è crescita né decrescita. Esso non è fisso, non è mobile, non ha sostegno. È la fine della sofferenza.” Buddha

Addio, addio Axl! Sarai sempre attaccato alla mia pelle, come un bellissimo e magico tatuaggio

La Poesia può fare cose incredibili

21 marzo, giornata mondiale della Poesia

Nel bel film horror “La settima musa”, la protagonista dice: “One day we’ll find a way to bring her back; Poetry can do incredible things”, che vuol dire “Un giorno riusciremo a riportarla indietro; La Poesia può fare cose incredibili.”

Nel film “La settima musa” le Muse sono viste non come semplici divinità ispiratrici, ma come vere e proprie manipolatrici. La settima Musa, Polimnia, Musa dell’eloquenza, attraverso le sue parole passa agli uomini che l’ascoltano messaggi diabolici. La Musa forse più importante, Calliope, Musa della Poesia, dentro alle parole che suggerisce ai poeti nasconde veri e propri incantesimi, di solito malvagi. Muse e film a parte, è sicuro che la Poesia può fare cose incredibili, meravigliose e terribili. Nessuno ha un Potere paragonabile a quello di un vero poeta.

La Poesia può fare cose incredibili: giornata mondiale della Poesia

Per questa giornata mondiale della Poesia che cade in periodo di epidemia voglio fare un piccolo tributo ad alcuni dei miei poeti più amati, che ci ricordano quanto la Poesia sia nata per raccontare morte, dolore, visioni, follia, così come amore e bellezza. Le traduzioni di Dickinson e Plath sono mie, quella di Thomas è di Emiliano Sciuba, ma se andate sui link in uscita (quelli blu) troverete le versioni originali.

La Poesia può fare cose incredibili: Emily Dickinson

Emily Dickinson, la Poesia e il Potere di uccidere

754My life had stood a loaded gun

La mia vita si era fermata – un fucile carico – In un angolo – finché un giorno – Il proprietario passò – mi riconobbe – E mi portò con sé –

E ora vaghiamo per boschi sovrani – E ora diamo la caccia al cervo – E ogni volta che parlo per Lui – Le montagne mi rispondono in fretta –

Ed ora sorrido, che luce amichevole – Brilla sulla vallata – È come se un viso vesuviano – Lasciasse capire il suo piacere –

E quando a notte – finita la nostra bella giornata – Io proteggo la testa del mio padrone – È meglio di aver condiviso – Un morbido guanciale di piume –

Del Suo nemico – io sono nemica mortale – Nessuno si muove – se gli punto addosso un occhio giallo – O un pollice energico –

Per quanto io possa più di Lui – vivere a lungo – Lui deve vivere più a lungo – di me – Poiché io ho solo il potere di uccidere, ma non ho – il potere di morire –

21 marzo giornata mondiale della Poesia, tributo a Sylvia Plath
La Poesia può fare cose incredibili: Sylvia Plath

Sylvia Plath, la Poesia e l’Arte di morire

Lady Lazarus

L’ho fatto di nuovo – un anno ogni dieci – mi riesce –

Una sorta di miracolo che cammina – la mia pelle brilla come un paralume nazista, il mio piede destro

Un fermacarte – il mio viso una scialba, fine tela ebraica

Togli via il velo, o mio nemico – ti terrorizzo?

Il naso, le occhiaie, i denti al completo? Il cattivo alito svanirà in giornata.

Presto, presto la carne che la tomba ha mangiato sarà di nuovo mia.

Ed io sono una donna che sorride. Ho solo trent’anni. E come i gatti posso morire nove volte.

Questa è la numero tre. Quanta immondizia da eliminare ogni decennio.

Un milione di fili. La folla che trangugia noccioline spinge per vedere.

Scartami entrambi, mani e piedi – il grande strip tease. Signori e Signore

Ecco le mie mani. Le mie ginocchia. Sarò pure pelle e ossa,

Eppure sono la stessa, identica donna. La prima volta avevo dieci anni. Un incidente.

La seconda volta volevo andare fino in fondo e non tornare. Mi dondolavo chiusa

Come un guscio. Hanno dovuto chiamare e chiamare e togliermi di dosso i vermi come perle appiccicose.

Morire è un’arte, come qualsiasi altra cosa. Io lo so fare bene.

Lo faccio come fosse inferno. Lo faccio come fosse reale. Potresti dire che ho una vocazione.

… Cenere, cenere – tu colpisci e rimesti. Carne, ossa, non rimane nulla.

Un pezzo di sapone, una fede nuziale, un dente d’oro.

Signor Dio. Signor Lucifero. State in guardia. State in guardia.

Dalla cenere risorgo coi miei capelli rossi e mangio uomini come l’aria.

La Poesia può fare cose incredibili: Dylan Thomas

Dylan Thomas, la Poesia e il Potere della Visione

Love in the Asylum

Un’estranea è venuta a dividere la mia stanza nella casa dei-fuori-di-testa,

Una ragazza folle come gli uccelli

Che fulmina la notte della porta con il suo braccio, sua piuma.

Stretta nel labirintico letto elude la casa a prova-di-paradiso con nuvole incalzanti

Intanto col moto inganna la stanza da incubi, vagante come i morti,

O cavalca gli oceani sognati delle corsie maschili.

È arrivata posseduta, e lascia entrare falsa luce attraverso il muro riflettente,

Posseduta dal cielo

Dorme nello stretto trogolo ma cammina sulla polvere

Eppure delira a comando sui legni del manicomio consumati dalle mie lacrime girovaghe.

E preso dalla luce nelle sue braccia infine, cara fine,

Io posso, senza errore, patire la prima visione che incendiò le stelle.

Alda Merini, articolo sulla giornata mondiale della Poesia, 21 marzo

Alda Merini, la Poesia e la Forza dell’Eros

Alda Merini

Amai teneramente dei dolcissimi amanti

senza che essi sapessero mai nulla.

E su questi intessei tele di ragno

e fui preda della mia stessa materia.

In me l’anima c’era della meretrice

della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.

Molti diedero al mio modo di vivere un nome e fui soltanto una isterica.

Anastasio, la Poesia del Rap e il Potere del Nichilismo

La fine del mondo

… ma io non voglio far finta di niente

se in giro vedo solo e unicamente facce spente, io

io sogno un mondo che finisca degnamente

Che esploda, non che si spenga lentamente.

Io sogno i led e i riflettori alla Cappella Sistina

Sogno un impianto con bassi pazzeschi.

Sogno una folla che salta all’unisono

fino a spaccare i marmi, fino a crepare gli affreschi

Sogno il giudizio universale sgretolarsi e cadere in coriandoli

sopra una folla danzante di vandali.

Li vedo al rallenty, miliardi di vite

Mentre guido il meteorite e sto puntando lì.

Auguri a tutti gli ultimi Poeti rimasti e a quelli che ancora non sanno di esserlo

Giochiamo con la Musica

Giochiamo con la Musica: è domenica e, per via del coprifuoco dovreste stare tutti o quasi a casa. Per lo più a giocherellare con facebook e a spedirvi meme sul covid-19 che, dopo un po’, sono sempre gli stessi. Quindi il tempo per fare un giochetto non vi manca.

Parliamo di musica. Quali sono i tre concerti che, in un futuro non apocalittico come il presente, vorreste assolutamente vedere?

Le tre regole del gioco

Prima regola: I morti non si possono citare. Niente concerto di Kurt Cobain: è morto. Niente concerto di Lil Peep: è morto. Niente XXX: è morto. Niente Prodigy: Keith Flint è morto. Niente Jim Morrison, Leonard Cohen, Amy Winehouse: sono tutti morti.

Seconda regola: nessun concerto di gruppi o artisti che avete già visto. Niente Vasco Rossi: io da sola, negli anni 80 e inizio 90 l’avrò visto in concerto almeno dieci volte (è difficile che non l’abbiate mai visto almeno una volta, ma certo, non impossibile.) Al grido di “Onestà” non potrete mentire…

Terza regola: almeno uno dei tre deve essere italiano. Sul gruppo/ i o artista/i italiano/i dovete aggiungere una motivazione. Perché? Così, tanto per complicare, just for the fuck of it!

Giochiamo con la Musica: ecco i miei tre

Numero 1 – Jack White, con i Racounters ma anche senza. Anche da solo lui e chitarra.

Jack White e The Racounters, Steady as she goes. Video di Jim Jarmusch

Numero 2 – Two Feet, nuovissimo artista indie-rock-trap. Bravissimo, sexy e con tendenze suicide, mix travolgente.

Two Feet live Paste studios, NY

Numero 3 – Salmo. La motivazione: è un poeta nichilista, un rapper finalmente non centrato sul proprio ombelico, uno che sa raccontare il mondo e soprattutto l’Italia: “Facce che cercano schiaffi ma trovano applausi”. Con una semplice frase-ritornello ha descritto magistralmente il nostro infelice paese. Passare dai cosiddetti rapper italiani tipo Fedez a Salmo è come passare dal terrazzo condominiale alla cima dell’Everest.

Giochiamo con la Musica: Salmo performance live di 90 minuti

Potete scrivere il vostro commento qui sotto, oppure postarlo sulla pagina facebook seguendo il follow. Potete anche scrivere Toto Cotugno, non seguiranno pene corporali o maledizioni vodoo. Se è vero che libertà è partecipazione (Gaber è morto, quindi non potete metterlo) siate liberi. Partecipate!!!

We’re all gonna die!

We're all gonna die! Lenny Bruce by Robert Crumb

We’re all gonna die! o, in italiano Moriremo tutti! era il grido che Lenny Bruce ripeteva, nelle sue performance comiche e rivoluzionarie a un tempo, durante la cosiddetta crisi missilistica di Cuba. La crisi missilistica iniziò il 14 ottobre 1962, quando Unione Sovietica e Stati Uniti d’America si fronteggiarono rischiando, in vari momenti, di arrivare alla guerra. Nel corso della guerra fredda, nessun momento è stato più grave e difficile di quei lunghi tredici giorni, in cui la gente di tutto il mondo – chi più chi meno – era convinta che un nuovo conflitto mondiale e nucleare sarebbe scoppiato. In questo periodo di epidemia, purtroppo ben più lungo di tredici giorni, il grido di Lenny mi viene spesso in mente.

Il vero Lenny Bruce nella sua performance poi chiamata “Bla bla bla” dopo l’arresto per oscenità

We’re all gonna die! Chi era Lenny Bruce

Definire Lenny Bruce semplicemente un comico sarebbe fortemente riduttivo. Ai suoi tempi veniva chiamato “infamous sick comic”, cioè il famigerato comico perverso; di lui si diceva “the sick humor of Lenny Bruce” e non credo che Lenny lo considerasse offensivo. La sua comicità, così simile alla musica jazz che lui amava moltissimo, era come una session in solitaria dove parlava, a ruota libera, di morale, politica, patriottismo, religione, razza, aborto, droghe; pur avendo aperto le porte ai comici che sarebbero venuti poi, a fine anni ’70, il suo sick humor era unico.

Lottò duramente contro la censura, per garantire la libertà di parola, e fu più volte arrestato per “oscenità”, a causa di parole come cocksucker usate durante i suoi show. Se mai è esistito un uomo che nel corso della sua breve vita è sempre andato in direzione ostinata e contraria, quell’uomo è certamente Lenny Bruce.

Lenny di Bob Fosse e Lenny secondo Albert Goldman

Noi che a quell’epoca non c’eravamo, abbiamo conosciuto Lenny Bruce grazie al film di Bob Fosse “Lenny” del 1974, interpretato da un grande Dustin Hoffman. Ma anche attraverso il libro di Albert Goldman “Ladies and Gentlemen – Lenny Bruce!!:

“Questo è stato il momento in cui un giovane comico oscuro ma in rapida ascesa di nome Lenny Bruce ha scelto di dare una delle più grandi esibizioni della sua carriera… Si immaginava un jazzista orale. Il suo ideale era di andarsene come Charlie Parker, prendere quel microfono in mano come un corno e soffiare, soffiare, soffiare tutto ciò che gli passava per la testa proprio mentre gli veniva in mente senza nulla di censurato, niente di tradotto, niente di mediato, finché era pura mente, pura testa che emetteva onde cerebrali come onde radio nelle teste di ogni uomo e donna seduti in quella vasta sala… Un punto in cui, come i praticanti della scrittura automatica, la sua lingua avrebbe superato la sua mente e avrebbe detto cose che non aveva intenzione di dire, cose che lo sorprendevano, lo deliziavano, lo facevano a pezzi, come se fosse uno spettatore della sua esibizione!”

We’re all gonna die! La “Bla bla bla” performance rifatta nel film “Lenny” con Dustin Hoffman

We’re all gonna die! raccontato da De Lillo

Per tornare al We’re all gonna die! devo invece citare un altro libro: “Underworld” di De Lillo, che, nel quinto capitolo dedicato a “frammenti degli anni cinquanta e sessanta” ci racconta il panico della nazione americana durante la crisi missilistica e la reazione del pubblico a quel “Moriremo tutti!” gridato da Lenny, un pubblico che non sa se ridere o piangere.

Da Underworld, di Don De Lillo:

22 ottobre 1962

Lenny rifece la battuta d’apertura, controllandone lo stile e il ritmo.

“Buonasera, concittadini.”

… Poi si produsse nel più stridulo dei falsetti:

“Moriremo tutti!”

Questo lo fece esplodere. Si piegò in due ridendo e sembrò che usasse il microfono come un contatore geiger, agitandolo sopra le assi del palcoscenico.

“Capito, ragazzi? JFK ha questa specie di uomo-toro russo che vuole misurarsi con lui, cazzo contro cazzo, e questo qui è uno con cui Jack non sa come comportarsi. Cosa dovrebbe dire? Mi sono scopato più debuttanti di te? Questo qui è un minatore, è uno che portava al pascolo gli animali a piedi nudi per un paio di copechi. È risaputo che ha infilato il pugno nel culo di una scrofa per fertilizzare il suo orto. Cosa dovrebbe dirgli Jack, una segretaria mi ha fatto una sega sull’ascensore della Casa Bianca? Questo è uno che caga con la porta aperta nelle occasioni ufficiali. Fa sesso con i suoi trofei di bowling.”

… E il pubblico pensava, quanto può essere reale la crisi se siamo qui in un club di Santa Monica Boulevard a spanciarci dalle risate?

“Moriremo tutti!”

… 24 ottobre 1962

…Ed ecco all’improvviso Lenny che senza nessuna presentazione, era scivolato sotto ai riflettori…

Poi si interruppe per dire: “Amatemi. È per questo che sono qui. Stasera come tutte le altre sere. Se smettete di amarmi io muoio.”

Questo non era uno dei suoi numeri. Il numero venne dopo…

“… Gesù è vissuto in Medio Oriente, fa Castro, e Gabriele dice, devi essere matto per dire stronzate del genere. Il ragazzo è napoletano. Parla con le mani. Era ebreo, dice Castro, se proprio vuoi sapere la verità. L’angelo dice, lo so che era ebreo. Un ebreo italiano. Esistono, giusto? E Castro dice, perché sto qui ad ascoltare queste idiozie? E l’angelo dice, vorresti dirmi che per tutta la vita ho creduto che Gesù ha trasformato l’acqua in vino a un matrimonio italiano e non è vero?”

… Poi si ricordò della battuta che ormai adorava. Quasi accovacciato sul palcoscenico, si mise l’impermeabile sopra la testa e si infilò il microfono praticamente in gola.

“Moriremo tutti!”

Sì, adorava questa frase… era debole e di cattivo gusto, vile e impotente, patetica ma in qualche modo anche nobile, un lungo, fragoroso grido di dolore e di pena, acuto e straziante e conteneva un elemento di dolce sfida.”

L’epidemia di Covid-19 e il grido di Lenny

Lenny Bruce, grande comico rivoluzionario e il suo grido We're all gonna die
We’re all gonna die! Lenny Bruce Photo by GEORGE KONIG/REX/Shutterstock

Ecco perché in questo periodo di epidemia, o guerra biologica che dir si voglia, periodo così difficile, surreale, ansiogeno, un po’ come se stessimo tutti aspettando Godot pur sapendo – la maggioranza di noi – che Godot alla fine non arriva, ecco perché continuo a pensare al We’re all gonna die! di Lenny Bruce, a quel grido di dolore straziante e di dolce sfida. Forse, in balcone, invece di cantare insieme l’inno italiano, dovremmo gridare:

Moriremo tutti! E poi ridere come matti, così come rideva il pubblico di Lenny.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino: carrozza a cavalli a New York, 1900

Alcuni di voi forse conoscono quella che è conosciuta come parabola del letame di cavallo. In breve, la storia è questa: fra il 1850 e il 1900 il cavallo divenne, nelle città europee e in quelle americane il mezzo di trasporto privilegiato sia per trasportare merci che esseri umani. Londra, nel 1900 aveva 11.000 carrozze trainate da cavalli, per non parlare delle migliaia di omnibus, sorta di autobus, ciascuno dei quali aveva bisogno di 12 cavalli al giorno, per un totale di ben più di 50.000 cavalli; New York, nello stesso periodo, di cavalli in giro per la città ne aveva ben 100.000.

Il letame di cavallo

Come è facile capire, tutte queste città erano ricoperte dal letame dei cavalli, letame che, fino a decenni prima veniva raccolto e rivenduto in campo agricolo, ma ormai la quantità era così ingente da non sapere più come smaltirla. Si dice che nel 1894, sul Times di Londra, un giornalista scrisse “Facendo delle semplici stime, fra 50 anni ogni strada di Londra sarà sepolta sotto 2 metri e mezzo di letame…” Nel 1898 si tenne a New York il primo convegno sul tema, convegno abbandonato dopo tre giorni dai conferenzieri per l’incapacità di trovare una soluzione al problema.

La soluzione al letame di cavallo

Come sappiamo, la soluzione arrivò dopo poco, e si chiamava automobile. La parabola del letame dei cavalli viene spesso citata da tutti quelli che si rifiutano di credere ai cambiamenti climatici e alla necessità assoluta di trovare alternative alla plastica, al petrolio, all’energia non rinnovabile e all’inquinamento in generale. Che cosa si dimenticano di dire, questi signori? Che il letame del cavallo, per quanto poco piacevole possa risultare, soprattutto all’olfatto, non ha mai rischiato di creare catastrofi naturali e non è mai stato tossico. L’automobile, invece, ha delle emissioni fortemente inquinanti, e, oggi lo possiamo dire: passare dallo smaltimento del letame a un inquinamento che uccide è stato un po’ come curarsi col cancro.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino: il cancro come cura

Cancer for the cure, EELS live

Due cose si possono desumere: la prima: il futuro non è mai prevedibile, perché sono troppe le variabili di cui non riusciamo a tenere conto; la seconda: ognuna di queste variabili ci porta inevitabilmente verso un futuro peggiore, come ci insegna un’altra parabola, quella “dell’illusione del tacchino”.

L’illusione del tacchino

Il letame di cavallo e l'illusione del tacchino

Nassim Nicholas Taleb ha scritto nel suo “The Black Swan: The Impact of the Highly Improbable” un paragrafo chiamato “turkey fallacy”:

Immaginate un tacchino che viene sfamato ogni giorno. Ogni singolo pasto rafforzerà, nel tacchino, la convinzione che è nell’ordine generale delle cose che lui venga amichevolmente sfamato ogni giorno da membri della razza umana “che cercano di fare solo i suoi interessi” come direbbe un politico. Ma il pomeriggio del mercoledì subito prima del Thanksgiving, qualcosa di inaspettato accadrà al tacchino. Finirà col rivedere le sue convinzioni.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino

E quindi noi siamo tutti finiti con l’usare il cancro come cura e, allo stesso tempo, abbiamo drasticamente dovuto rivedere le nostre convinzioni. Se prima eravamo devastati dal traffico, dalle polveri sottili, dallo smog, ora le nostre città sembrano uscite da una delle tante pubblicità di auto (dove le strade sono vuote tipo day after e l’unica auto che circola, nuova e scintillante, è la tua.)

Se prima ci affannavamo alla ricerca di un lavoro, o nel tentativo di mantenere il lavoro stesso adesso il problema non si pone più; bisogna stare a casa mentre i pochi soldi diventano sempre meno e che importa, quando li avremo finiti risponderemo al poliziotto che ci interroga su dove stiamo andando:

“Al supermercato. A rapinarlo, però” e lui, da dietro alla mascherina che noi non possediamo perché non si trova, e se riusciamo a trovarne una costa così cara che non possiamo comprarla, ci sorriderà facendoci segno che possiamo andare.

Il nostro Thanksgiving

Il tacchino siamo noi e il Covid-19 è il nostro Thanksgiving. Mister Boris Johnson, che mi è venuto in mente pensando alle fattezze del tacchino, ha detto:

“Preparatevi a perdere i vostri cari”.

Proprio come sarebbe giusto dire a tutti i tacchini nel momento stesso in cui nascono. Ma noi siamo preparati a tutto. Siamo nati pronti per la sfiga. E invece a te, Boris, cosa porterà il Thanksgiving?

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure parla delle più diffuse e condivise, in ambito scientifico, teorie su come possa realmente essere nato il Covid-19, a partire dal Coronavirus della Sars, primo a compiere il salto della specie creando un’epidemia a inizio anni zero. Le ipotesi che vi presento hanno portato molti a parlare di complotto, anti-complotto e ogni possibile derivazione, ma comunque la vogliate pensare credo che conoscerle non possa fare del male a nessuno, al contrario dei virus di cui trattano. Quando non è un fake, la conoscenza è sempre utile e necessaria.

Prima di tutto parliamo della definizione “la scienza delle forze oscure”, coniata da Don De Lillo nel suo “Underworld”, romanzo meraviglioso e capolavoro della letteratura americana contemporanea.

Coronavirus e la scienza delle forze oscure: citazioni da Underworld di De Lillo

Da Underworld:

“C’è una parola in italiano. Dietrologia*. Sarebbe la scienza di quello che sta dietro a qualcosa. A un fatto sospetto. La scienza di ciò che sta dietro a un fatto.”

“Loro hanno bisogno di questa scienza. Io non so che farmene.”

“Non so che farmene neanch’io. Te lo sto solo raccontando.”

“Io sono americano. Vado alle partite di baseball” disse.

La scienza delle forze oscure. Evidentemente loro pensano che questa scienza sia abbastanza legittima da richiedere un nome.”

“Bah. La sai una cosa? A gente che ha bisogno di una scienza del genere, potrei degnarmi di dire che noi abbiamo scienze vere, scienze difficili, e non abbiamo bisogno di scienze immaginarie.”

“Ti stavo solo dicendo la parola. Sono perfettamente d’accordo con te, Sims. Ma la parola esiste.”

“C’è sempre una parola. Probabilmente c’è anche un museo. Il Museo delle Forze Oscure. Ci tengono un milione di fotografie indistinte. Oppure la mafia l’ha fatto saltare in aria?”

*dietrologia (in italiano nel testo originale)

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: il virus Sars

Severe acute respiratory syndrome (SARS Virus), computer artwork.

Nel 2003 il biologo russo Sergei Kolesnikov espose le prime teorie su un complotto alla base del coronavirus  Sars. Lo scienziato russo negava la possibilità che il virus Sars si fosse sviluppato autonomamente perché era un mix del tutto nuovo in natura e il materiale genetico di cui si componeva era totalmente sconosciuto: tutte osservazioni che portavano a pensare al Sars come a una costruzione artificiale fatta in laboratorio. A rendere più concrete le ipotesi è stato il fatto di non essere riusciti ad individuare il focolaio del virus, e quindi una possibile prova che il virus Sars sia stato infiltrato in varie zone della Cina ed Asia. L’ipotesi di Kolesnikov fu condivisa da molti altri scienziati. Tong Zeng, cinese, sempre nel 2003, scrisse un libro dove correlava il virus Sars con una cooperazione medico-genetica fra Cina e USA avvenuta nel 1998. In quell’ambito furono raccolti dagli americani 5000 campioni di DNA di gemelli dizigoti e monozigoti di etnia cinese, presi da 22 diverse province cinesi; scopo della raccolta americana, secondo il libro, era quella di trovare le debolezze nel DNA di quelle etnie, in modo da creare un’arma biologica per colpirle.

Il Covid-19 di Wuhan

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: giochi mondiali forze armate a Wuhan
Giochi Mondiali delle Forze Armate a Wuhan, Cina, ottobre 2019

Poco prima che esplodesse la nuova epidemia in Cina, nell’ottobre 2019, si sono svolti, proprio nella provincia di Wuhan, i Giochi delle Forze Armate, con atleti provenienti da tutto il mondo. A posteriori, sono stati in molti i cinesi, fra scienziati e autori dei maggiori siti internet nazionali, ad accusare gli Stati Uniti di aver mandato non una squadra di atleti ma gli agenti di una guerra biologica; infatti le prestazioni della squadra americana nei vari sport sembra siano state, diversamente da sempre, molto deludenti e al di sotto delle aspettative generali. Inoltre la loro residenza era vicina al mercato del pesce di Huanan, dove poi si è verificato il primo focolaio ufficiale di infezione da Covid-19.

Per quanto riguarda il contro-complotto, la versione diffusa negli Stati Uniti e a Taiwan sostiene invece che sia stata la Cina a sviluppare il virus, sia per testarlo che per incolpare gli USA.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: Gain-of Function

Un’altra teoria sull’origine artificiale di questi virus non incolpa una super potenza piuttosto che un’altra ma un preciso settore della ricerca scientifica, chiamato Gain-of Function (GoF). Questo settore si occupa principalmente di creare agenti patogeni, immagino a fini bellici, con tutti i rischi che questo può comportare. Dice Il Fatto Quotidiano:

«È un campo controverso, quello della ricerca GoF, sia per la pericolosità che la creazione in laboratorio di nuovi patogeni pone, sia per la mancanza di trasparenza e di controllo da parte della società civile, specie in paesi poco trasparenti per definizione, come la Cina o la Russia. Ma anche gli Usa. Spesso si tratta di ricerche in ambito militare o secretate per questioni di sicurezza nazionale, oppure finanziate con fondi pubblici a seguito della pubblicazione di bandi, ma in assenza di una reale ed affidabile valutazione del rischio.»

Covid-19 e OMS

Pipistrello Rhinolophus, considerato dall'OMS un possibile trasmissore di Covid-19 all'uomo
I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: Pipistrello Rhinolophus

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, invece, ha reso noto che il Covid-19 ha legami sicuri con altri coronavirus già noti, presenti nei pipistrelli Rhinolophus. Eppure, sottolinea l’Oms, la via di trasmissione agli umani resta poco chiara. Infatti se è vero che gli asiatici mangiano pipistrelli è anche vero che raramente i pipistrelli si trovano nei mercati, perché di solito vengono cacciati e subito venduti ai ristoranti. Il salto della specie, in breve, è qualcosa che in natura avviene di rado, e sempre dopo rapporti “coordinati e continuativi” fra individui vivi appartenenti alle due specie.

Al momento l’OMS sta cercando un secondo animale, responsabile, in teoria, di essere il tramite fra pipistrello e uomo, ma nessuno riesce ancora neanche ad immaginare quale possa essere l’animale transfert e quindi, chi fosse in attesa di un identikit animalesco, temo dovrà attendere.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: mille anni di armi biologiche

Solo pochi esempi: nel Medioevo i cadaveri già in decomposizione venivano gettati con le catapulte nelle aree nemiche, o abbandonati nelle riserve d’acqua per avvelenarle. Famoso l’episodio del 1347, in Crimea, dove guerrieri tartari morti, di Ganī Bek, detto anche Khan dell’Orda d’Oro, furono lanciati oltre le mura della colonia genovese di Caffa (Ucraina); dal momento che i tartari erano morti di peste, sembra che questo episodio sia stato determinante perché la peste nera raggiungesse l’Europa.

In tempi più recenti, i Tedeschi, nel 1943 attuarono un attacco biologico contro gli Alleati e l’Italia in primis, infestando la provincia di Latina con il plasmodio della malaria. La cosa che dovrebbe far riflettere, in questo frangente, è che uno dei pochi motivi positivi per cui Mussolini viene ricordato è la decantata bonifica delle paludi pontine, ma nessuno racconta mai che, subito dopo, il suo amicone Hitler le ha contaminate di nuovo.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: cinematografia

Resident Evil, 2002, con Milla Jovovich

Sono tanti, forse troppi, i film e le serie tv dove un patogeno creato da industrie para-governative sfugge al controllo e mette in atto una pandemia che uccide, sotto forma di zombie, vampiri, virus, gente impazzita la maggioranza della popolazione. Impossibile citarli tutti. Fra le serie, ovviamente The Walking Dead. Fra i film abbiamo la saga Resident Evil, presa dall’omonimo videogame, con Milla Jovovich protagonista, Contagion di Soderbergh del 2011, 28 giorni dopo di Danny Boyle, 2002, La città verrà distrutta all’alba, di George Romero, 1973, il bello e claustrofobico It comes at night, di Terry Edward Shults, Train to Busan, coreano, 2016, Rec, spagnolo del 2007 e per finire i più recenti, Light of my life, del 2019, con Casey Affleck e l’horror surreale di Jim Jarmusch I morti non muoiono sempre del 2019.

Che dire? Dove c’è tanto fumo forse c’è anche un po’ di arrosto?

Covid-19 e Sun-Tzu

Il periodo attuale, dove le nuove guerre sono principalmente economiche, mi fa pensare che, i capi delle super potenze che minacciano di usare il nucleare e ne parlano spesso, lo facciano un po’ come un illusionista che mostri una mano per nascondere l’altra con cui sta effettuando il vero trucco. Tutti sappiamo che le nuove e ben più utili armi sono altre: quelle biologiche. Perché non lasciano traccia di chi le ha create e tantomeno diffuse e perché mettono in ginocchio un paese colpendolo nella sua umanità e senza lasciare fastidiose radiazioni.

Sun-Tzu, generale e filosofo cinese vissuto quasi tremila anni fa, ha scritto un meraviglioso libro taoista, dove parla di strategia di guerra e non solo. Alcune frasi tratte dal libro dovrebbero farci riflettere.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: Sun-Tzu

L’Arte della guerra di Sun Tzu

Questo appartiene a chi sferra un attacco:

“Impercettibile, quasi senza forma; misterioso, quasi senza rumore: così sei padrone del destino del nemico.”

“Induci il nemico ad assumere uno schieramento mentre tu rimani senza-forma; così sarai concentrato, lui si dividerà.”

“Finché la tua forma è nascosta il nemico rimane nel dubbio ed è costretto a dividere le truppe per controllare punti diversi.”

Questo, invece, è per chi, come noi è sotto attacco:

“Nel pieno del pericolo, i guerrieri non hanno paura e ricorrono a tutto il proprio valore. Se non c’è dove fuggire, staranno fermi; se sono impegnati fino all’ultimo, si batteranno fino all’ultimo; se non hanno alternative lotteranno”

Ridotti alla disperazione, si batteranno fino alla morte.

Coronavirus e carceri italiane

Parlando di Coronavirus e carceri italiane è impossibile non citare la famosa frase di Voltaire:

“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”

Coronavirus e carceri italiane: Voltaire diceva che  la civiltà di un paese si misura dalla condizione delle sue carceri
Voltaire di Maurice Quentin de La Tour, 1740

Metto le mani avanti: Voltaire è uno dei miei idoli e condivido quasi ciascuno dei tanti suoi scritti e delle sue lettere da cui vengono tratte citazioni eccezionali, a iniziare da quel meraviglioso:

Écrasez l’Infâmeovvero schiacciate l’infame, dove l’Infâme è il fanatismo religioso così come s’incarna nelle religioni cristiane, in particolare nel cattolicesimo e non solo.

Immagino che già da tempo Voltaire si stia ribaltando nella sua pur lussuosa tomba con statua bruttina nel Pantheon di Parigi, e non solo per essere stato messo accanto al suo antagonista Rousseau (che, a sua volta, continua a ribaltarsi agitato, anche se per altri motivi facilmente comprensibili.) Tutto quello che Voltaire ha scritto, dichiarato, per cui ha lottato strenuamente, oggi è ormai lettera morta.

Coronavirus e carceri italiane

Torniamo alle carceri italiane. Leggo da “Left” e riporto un brano di un articolo del 2018 sulle patrie galere:

Il rapporto dell’Associazione Antigone lascia pochi dubbi: nel 2017 quasi la metà dei decessi avvenuti in carcere sono suicidi (52 su 123). C’è un luogo, nella civilissima Italia, in cui il suicidio è la causa principale di morte. E quei 52 sono solo una piccola parte dei 1123 tentativi di suicidi avvenuti durante l’anno.

Ma c’è altro: diminuiscono i reati e aumentano i detenuti. Scrive bene l’Associazione Antigone: “E’ evidente come l’aumento del numero delle persone presenti nelle carceri italiane, registrato negli ultimi due anni, nulla abbia a che vedere con la questione criminalità, ma sia figlio di un sistema politico che per accrescere i propri consensi ha fatto leva sulla paura dei cittadini e agitando lo spettro della sicurezza. Elementi, questi, tipici del populismo penale e dell’utilizzo dello stesso diritto penale in senso repressivo e antigarantista, senza – come detto – nessuna efficacia nel prevenire i crimini.”

Sempre che – e questo lo aggiungo io – i crimini non siano omicidi da prima pagina, dove gli assassini diventano VIP, regalano audience a Bruno Vespa e scontano pene brevissime (vedi Franzoni, Erika di Novi Ligure, gli assassini di Marta Russo).

Carcerati privati di diritti basilari

Coronavirus e carceri italiane: rivolta a S.Vittore Photo Claudio Furlan/Lapresse 09 March 2020 Milan (Italy)

Tornando ad oggi, sotto attacco del Coronavirus, i carcerati sono stati considerati come esseri privi di qualsivoglia diritto, a iniziare dal diritto prioritario di vivere in uno stato di sicurezza almeno medica.

Infatti continuano a tenerli stipati nelle celle (altro che droplet) con poche e sporche docce e bagni, il continuo contatto con l’esterno – tramite le guardie carcerarie e i nuovi arrestati che possono, tutti, portare il virus all’interno – ma il decreto Conte gli toglie il loro unico diritto, che è quello di incontrare i parenti.

Provate a mettervi al loro posto: non vi incazzereste come hanno fatto loro? Non fareste anche voi una rivolta, visto che in questo mondo solo con la forza e la morte i deboli possono farsi ascoltare? Non sembra più che ragionevole la loro richiesta di scarcerazione, almeno per chi ha commesso reati minori, vista l’emergenza?

Coronavirus e carceri italiane: rivolte negli istituti di pena

Rivolta nel carcere di Foggia

Mentre scrivo sono 27 le carceri italiane in cui sono scoppiate rivolte. Una quindicina di detenuti sono saliti per protesta sul tetto di San Vittore a Milano, dove hanno appeso uno striscione con scritto “Indulto” e acceso un piccolo rogo. I detenuti hanno posto ai magistrati una serie di richieste riguardo al sovraffollamento del carcere, le norme sulla recidiva, i domiciliari, i permessi, le misure alternative al carcere e il trattamento dei tossicodipendenti.

Sale a sei il numero di detenuti morti dopo la rivolta di domenica 8 marzo all’interno della casa circondariale di Modena. Un altro detenuto sembra sia in fin di vita. Carabinieri in assetto anti-sommossa sono stati inviati per sedare la rivolta, cosa che ha provocato una vera e propria guerriglia.

All’Ucciardone di Palermo alcuni detenuti per protesta hanno tentato di rompere la recinzione del carcere, nel tentativo di fuggire. A Foggia una ventina di persone sarebbe evasa mentre una trentina è stata bloccata nelle immediate vicinanze dalle forze di polizia. “Vogliamo l’indulto e l’amnistia, non possiamo stare così con il rischio del Coronavirus. Noi viviamo peggio di voi, viviamo all’inferno”, sono state alcune delle rivendicazioni dei detenuti foggiani, secondo quanto riferito da uno di loro durante le rivolte.

Gravi disordini anche a Rebibbia a Roma, dove – oltre a bruciare materassi – alcuni reclusi avrebbero assaltato le infermerie. Sono sicura che alla fine, queste rivolte rientreranno, perché i carcerati, al contrario di chi carcerato non è, sono abituati a vivere nell’emergenza e imparano ad essere responsabili.

I veri irresponsabili

Chi non impara e non vuole imparare ad essere responsabile, invece, sono molti fra i giornalisti televisivi e le persone da loro intervistate. Ho appena visto su Sky Tg24, la dottoressa Flavia Petrini, professore straordinario per Rianimazione e Terapia Intensiva dell’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti, nonché Presidente Società rianimazione, anestesia e terapia intensiva, dichiarare, sull’emergenza Coronavirus:

Chiediamo agli influencer di aiutarci. Crediamo possano essere molto utili. E d’altra parte se i nostri giovani hanno seguìto così tanto Greta Thumberg e le Sardine, perché non fargli ascoltare gli influencer?

D.sa Flavia Petrini: “Aiuto, influencer! Salvateci dal virus”

Ora, a parte la semplice constatazione che un influencer, filologicamente, è uno che l’influenza la porta e non la leva, cosa dire a questa Petrini, così in alto nella gerarchia accademica chietina ma così in basso nelle capacità di sintesi, riflessione e comprensione del mondo? Che Thumberg e Sardine non sono fashion influencer? Che se per salvarci dal virus abbiamo bisogno della Ferragni e delle sue brutte copie, allora è meglio suicidarci tutti subito? E per finire: Padre, perdonala, perché non sa quello che dice.

Cosa chiedere invece all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti? Mandate a casa la dottoressa Petrini, signori miei, fatelo per il bene della nazione.

Lo stesso che dovremmo dire a politici e ministri di Interno e Giustizia: Rimandate a casa tutti quei carcerati colpevoli di piccoli reati. Perché visto che la legge non è uguale per tutti, facciamo che lo sia almeno l’epidemia.

I replicanti si ammalano con virus sintetici?

“I replicanti si ammalano con virus sintetici?” è una parafrasi di “Do androids dream of electric sheep?” romanzo capolavoro di Philip K.Dick.

I replicanti si ammalano con virus sintetici? Rachael replicante di Blade Runner
Blade Runner, Rachael Rosen

Se i replicanti fossero simili a computer potremmo rispondere “sì, assolutamente”. Tutti sappiamo quali e quanti siano i virus che minacciano quotidianamente i nostri vari dispositivi, siano essi pc o smartphone, tablet e, spero, anche i poco simpatici smart-watch…

Ma i replicanti sono molto più simili ad esseri umani che non a dispositivi elettronici, e quindi il dubbio viene. Prima di tutto bisogna imparare a riconoscerli. Nel libro di Dick, da cui, nel 1982, Ridley Scott ha tratto lo strepitoso film “Blade Runner”, il cacciatore di replicanti Rick Deckard aveva un solo mezzo per rintracciare, e quindi “ritirare”, gli androidi scappati dalle colonie spaziali e tornati su Terra: la macchina Voigt-Kampff.

Philip K.Dick

Il test sull’empatia

Gli androidi di Dick erano identici agli esseri umani, sia esternamente che internamente: per capirci, non avevano rotelle o congegni meccanici sotto alla pelle, ma organi e sangue proprio come ognuno di noi. Distinguerli, dunque, era praticamente impossibile, soprattutto nel caso dell’ultimo modello di replicanti, quei Nexus-6 così meravigliosamente perfetti da essere stati messi fuori legge. La sola possibilità per riconoscerli era il test che Deckard faceva con la macchina Voigt-Kampff, test basato esclusivamente sull’empatia. I replicanti, infatti, ne erano privi, al contrario degli umani. Suona strano, a vedere gli umani di adesso, ma quando Dick scrisse il libro erano i primi anni ’60. Bisogna tenerne conto.

I replicanti si ammalano con virus sintetici? Do androids dream…

I replicanti si ammalano con virus sintetici? La macchina Voigt-Kampff

“Ora Rick aveva il fascio di luce puntato sull’occhio destro della ragazza e le aveva di nuovo puntato la piastra a ventosa alla guancia. Rachael fissava irrigidita la luce, e l’espressione di estremo disgusto era tuttora ben visibile.

“La mia valigetta – disse Rick nel rovistare al suo interno per estrarne i moduli del Voigt-Kampff – bella, no? È del dipartimento”

“Sì, sì” disse Rachael con tono distante.

“Pelle di bambino – disse Rick. Carezzò il rivestimento nero della valigetta – cento per cento pelle umana di bambino”. Vide i due indicatori dei quadranti agitarsi freneticamente. Ma si erano mossi dopo una pausa.

La reazione aveva avuto luogo, ma troppo tardi. Sapeva quale doveva essere il tempo di reazione, senza sbagliarsi di una frazione di secondo, l’esatto tempo di reazione: non ci doveva essere nessun tempo di reazione. “Grazie, signorina Rosen – disse e raccolse di nuovo tutta l’apparecchiatura: aveva concluso il supplemento d’esame – è tutto”

“Se ne va?” chiese Rachael.

…Rivolto a Eldon Rosen, che si era appoggiato curvo e cupo allo stipite della porta, chiese: “La ragazza lo sa?” A volte non se ne rendevano conto; diverse volte erano state impiantate delle false memorie, generalmente con l’errata speranza che grazie a esse le reazioni ai test sarebbero state modificate.

Eldon Rosen rispose: “No. L’abbiamo programmata da cima a fondo. Ma penso che alla fine abbia sospettato qualcosa”. Rivolto alla ragazza disse: “Ci sei arrivata quando ti ha chiesto di farti altre domande, vero?”

Pallida, Rachael annuì con espressione assente.”

Spendono, spandono e sono quel che hanno

Passando rapidamente dai primi anni ’80 di Blade Runner ad oggi, possiamo dire con certezza che, per catturare replicanti, la Voigt-Kampff non andrebbe più bene. L’empatia è morta anche fra gli umani, o forse attorno a noi ci sono quasi solo replicanti, come dice “Quelli che benpensano” iconica canzone di Frankie H-Nrg:

Frankie Hi.Nrg con Caparezza “Quelli che benpensano”

Niente scrupoli o rispetto verso i propri simili

Perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili

Sono tanti, arroganti coi più deboli, zerbini coi potenti

Sono replicanti, sono tutti identici, guardali

Stanno dietro a maschere e non li puoi distinguere

I replicanti si ammalano con virus sintetici? A che specie appartieni?

Blade Runner, Rick e Rachael

Se siete certi di appartenere alla specie umana (non che ci sia da rallegrarsene) guardatevi intorno. La D’Urso che fa il tutorial su come lavarsi le mani: replicante. Tutti i “so called” giornalisti alla Giletti, che si fiondano sulla paura da Coronavirus come una iena sulla carcassa di una zebra: replicanti. Le fashion influencer super ignoranti e fiere di esserlo che dicono frasi tipo “Ditemi voi se è normale che nel 2020 devo avere l’ansia di tornare a casa mia perché una massa di stronzi ha creato il virus mortale in laboratorio lasciando uscire il paziente zero a farsi due ravioli al vapore. Mascherina o meno, non è giusto”: replicanti. I politici, donne e uomini, che si presentano in televisione a ripetere lo stesso mantra di parole senza senso, sfondando porte aperte, parlando e blaterando senza dire niente, ma sempre ben vestiti, con capelli appena usciti dal parrucchiere, stupide collane o insulse cravatte: replicanti, replicanti tutte e tutti.

Magari questa epidemia di Coronavirus è il loro modo per eliminare gli ultimi esseri umani e quindi la risposta alla domanda che pongo nel titolo è “No. I replicanti non si ammalano di virus, né di virus organici né di virus sintetici.”

O forse sono tutti replicanti, ma, come Rachael Rosen non lo sanno. Gli hanno impiantato falsi ricordi, ed ecco perché reagiscono così. Sbavano, urlano, aggrediscono, partecipano a talk-show televisivi, “influenzano” sui social network altri replicanti e quando sorridono, se sorridono, noi, ultimi esseri umani rimasti, faremmo meglio a metterci a correre.

Coronavirus e Alien

Cos’hanno in comune il Coronavirus e Alien, rockstar della Sci-Fi cinematografica, Creatura dello Spazio meravigliosamente creata da Giger, artista geniale e maledetto?

Coronavirus e Alien, che cosa hanno in comune

A prima vista nulla: il COVID-19, come lo chiamano ufficialmente, è un virus che è riuscito a fare il salto della specie passando (sembra) da pipistrelli ad umani: è molto contagioso ma non particolarmente cattivo. Alien, invece, è una creatura enorme, con acido al posto del sangue, due o tre bocche piene di denti ed è decisamente, assolutamente letale.

Entrambi, però, per replicare la propria specie hanno bisogno dell’essere umano come incubatrice. A quanto pare, replicare in eterno la propria specie è il compito affidato dagli dei a tutto ciò che vive, nel pianeta Terra e oltre. Compito che noi uomini e donne abbiamo preso molto seriamente: alla fine del 2019 la popolazione umana mondiale era stimata intorno a quasi 8 miliardi di persone.

La missione di Ripley

Coronavirus e Alien: Ripley

Che cosa ha impedito, quindi, ad Alien di raggiungere il nostro pianeta e trovare terreno super fertile per procreare ed allargare a macchia d’olio la sua specie aliena? La risposta è semplice: a impedirglielo è stata la sua nemesi, l’americana Ripley (interpretata dalla fantastica Sigourney Weaver) che anche quando muore rinasce sotto forma di clonazione. La missione di Ripley è quella di impedire alla perfida Compagnia di riuscire a portare un esemplare vivo di Alien sulla Terra, dove lo vorrebbero trasformare in imbattibile arma bellica. Famosa la frase che il caporale Hicks pronuncia alla fine di Aliens, Scontro finale (secondo e bellissimo episodio della saga, diretto da Cameron):

“Io dico che decolliamo e nuclearizziamo, questa è la sola sicurezza!”

Immagino che l’American Airlines, che ha sospeso tutti i voli da New York e da Miami per Milano fino al 24 aprile (e poi si vede) vorrebbe tanto poter dire, insieme a molti altri: “Nuclearizziamo Italia e Cina e voliamo via!”

Coronavirus e Alien: American Airlines vs Milano, Italia

Ieri, quando la sospensione di questi voli non era ancora stata annunciata, l’American Airlines ha bloccato un volo in programma alle 18.05 (ora locale) dall’aeroporto JFK di New York per Milano Malpensa mentre i passeggeri erano all’interno del gate e alcuni già nel pontile d’imbarco. Dopo una lunga attesa, l’American Airlines ha dichiarato che il volo non poteva partire perché l’equipaggio si rifiutava di salire a bordo per paura del Coronavirus.

Certo, l’immagine di se stessi che gli americani vendono nel mondo, immagine di uomini e donne senza paura, che non devono chiedere mai, ne risente un tantino… Mi immagino l’equipaggio dello sfortunato volo American Airlines mentre, inorridito, ascolta Ripley che, sempre in Aliens, parla della prima apparizione del mostro:

“Atterrammo sull’LV-426. Un membro dell’equipaggio era rientrato con qualcosa attaccato alla faccia, una sorta di Parassita. Tentammo di staccarglielo, ma inutilmente, più tardi sembrò si staccasse da sé e morisse. Kraine sembrava rimesso… noi eravamo tutti a cena… e l’ipotesi era che gli avesse lasciato qualcosa nella gola, una specie di embrione… e cominciò, ecco…”

Qualcosa nella gola, una specie di embrione: un po’ come fanno i virus dell’influenza, non si può negare! Come dare torto a tutti quelli che chiudono porti, musei e cancellano voli nella speranza di non far entrare questo invisibile virus incoronato nella loro patria, nella loro città, nel loro quartiere? In fondo lo sanno tutti che è una lotta già persa, ma qualcosa devono pur fare, giusto?

Coronavirus e Alien: la lotta contro la paura
COVID-19

Coronavirus e Alien: la lotta contro la paura

Quando parlo di lotta già persa, mi riferisco alla lotta contro la paura. Almeno gli americani dovrebbero ricordare le parole di Roosevelt:

“La sola cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa.”

Ma del resto Franklin Delano Roosevelt aveva anche detto:

Nessuna impresa che dipenda, per il suo successo, dal pagare i suoi lavoratori meno di quanto serva loro per vivere ha diritto di sopravvivere in questo Paese.”

Credo quindi che le sue parole non vadano più bene, né per i suoi pronipoti americani né per il resto del mondo. Io dico:

“Decolliamo e nuclearizziamo, questa è l’unica sicurezza…”

Italiano
Verified by MonsterInsights