Le api muoiono e noi stiamo a guardare

Di Pacific Southwest Region from Sacramento, US - Honey Bees Swarm, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36895401

In che modo le api muoiono: provate a immaginare di essere malati; influenza, covid, dolori lancinanti o qualsiasi cosa vi faccia sentire davvero male. Però dovete mangiare per sopravvivere, ma soprattutto la vostra famiglia, i bambini, i vecchi genitori devono mangiare e quindi vi mettete stancamente in marcia. Camminate fino al supermercato più vicino che sta a chilometri di distanza, e quando infine arrivate lì, dopo uno sforzo eccezionale, comprate del cibo e ne mangiate un po’, ma il cibo è avariato, intossicato, e invece di sentirvi meglio vi sentite molto peggio e non solo: vi gira la testa e siete così disorientati e deboli che non riuscirete mai a ritornare a casa. Avrete un’agonia lunga uno o più giorni e poi morirete a terra, in posizione fetale.

Le api muoiono: api morte a migliaia nell'arnia
Le api muoiono a migliaia nell’arnia

Questo è esattamente quello che accade alle api, dal momento che il nutrimento è scarso, distante e quel poco che trovano è pieno di pesticidi. La principale studiosa di api nel mondo, Marla Spivak, una sorta di Jane Goodall delle api, cerca di spiegare da tanti, tanti anni tutti i motivi per cui le api stanno morendo e tutti i motivi per cui questo ci porterà a un ecodisastro, ma la moria delle api non fa che peggiorare, proprio come cambiamenti climatici, inquinamento, sovrappopolazione umana e ingiustizia sociale.

Dentro all’albero delle api

Le api muoiono: api nei fiori del mio Callistemone
Fiore del mio Callistemone con api che si nutrono

Ho un albero, in giardino, si chiama Callistemone e due volte l’anno fiorisce completamente: i suoi rami sono così lunghi che quasi toccano terra e fanno dei fiori rossi che sembrano scovolini, fiori che le api amano. Ci si infilano letteralmente dentro e succhiano il nettare. La prima volta che le ho viste, così tante, ronzare intorno all’albero e passare di fiore in fiore, mi è venuto spontaneo entrare sotto ai rami e sedermi a terra, appoggiata al tronco e stare lì dentro, a guardarle e ascoltarle mentre mi svolazzavano intorno. Ogni tanto un’ape mi si fermava sulla mano e poi riprendeva il suo lavoro. Ho pensato che fosse la postazione perfetta per meditare e mi sono ricordata di quando, forse venti anni fa, uno dei miei maestri di Qi Gong ci spiegava che, nella meditazione, dovevamo provare a visualizzare una sorta di smeraldo all’altezza del secondo Chakra, centro del desiderio e della creatività e fondamentale per arti marziali e rapporto con la natura. Per quanto a parole possa sembrare una cosa così semplice, visualizzare quello smeraldo era quasi impossibile per me. Lo vedevo per pochi secondi e spariva. Ma, entrata nell’albero delle api, ho sostituito l’immagine dello smeraldo con un alveare, ed è stata una scelta perfetta. Non solo visualizzavo l’alveare nell’area del secondo Chakra ma mi sembrava di abitare in una di quelle piccole celle perfette, e raramente in vita mia mi sono sentita così tranquilla e al sicuro. Le api sono creature misteriose e amorevoli, e se ti sentono affine e non minacciosa, possono farti accedere alla loro mente alveare. Ma questo è solo un piccolo motivo in più per amarle.

Le api muoiono: In che modo le uccidiamo

Le api hanno iniziato a diminuire già nella Seconda Guerra Mondiale, ma la loro grande moria è iniziata negli anni 2000 grazie a: pesticidi; parassitosi (il Varroa Destructor, ad esempio, che indebolisce irreversibilmente il sistema immunitario delle api); perdita di habitat; cambiamenti climatici (il caldo eccessivo impedisce alle piante di fornire sempre nuovo nettare e polline per le api, impoverendo così la loro alimentazione, mentre il freddo improvviso, oltre a compromettere i fiori stessi, blocca anche lo sviluppo dell’alveare; il riscaldamento globale, poi, facilita la proliferazione dei parassiti dell’alveare, tutti letali, dal Varroa alla Vespa Vellutina all’Aethina tumida); l’agricoltura che coltiva quasi solo monocolture di cereali, scarsi di polline e di nettare e che non lascia spazio a piante e fiori selvatici che sono invece un vero nutrimento per le api; perfino le pratiche scorrette di alcuni apicoltori, che possono indebolire le api e concorrere alla loro morte. Le cause sono molte, ma col passare degli anni l’attenzione si è concentrata su una specifica famiglia di pesticidi, i neonicotinoidi.

Greenpeace, campagna per salvare le api 2019

L’introduzione in larga scala dei neonicotinoidi è coincisa con l’inizio della moria delle api. Usati in agricoltura per le sementi di mais e di altre colture, agiscono sul sistema nervoso di insetti infestanti, ma purtroppo, anche sugli insetti impollinatori, fondamentali per la sicurezza alimentare nel mondo e per la biodiversità visto che l’impollinazione garantisce la riproduzione di più dell’80 per cento delle specie vegetali. Come se non bastasse gli effetti negativi dei neonicotinoidi si ripercuotono anche su alcune specie di volatili.

Cosa facciamo per salvare le api

L’Unione Europea è l’unica parte del mondo che ha almeno provato a fare qualcosa, mettendo fuori legge, nel 2018, tre fra i neonicotinoidi considerati più dannosi, almeno in campo aperto, perché in serra sono sempre utilizzabili. Alcuni fra i singoli paesi europei hanno protestato a lungo e quindi dubito si siano messi in regola con la normativa. Negli Stati Uniti, invece, nel 2014 l’amministrazione Obama ha messo su la classica task force americana incaricata di “studiare la situazione”; in seguito, con l’amministrazione del bleach-drinker dubito fortemente che il salvataggio degli insetti impollinatori sia stato messo in agenda, a danno dei bravi produttori di pesticidi.

Le api muoiono: ape sui miei fiori di Buddleia
Le api muoiono: ape sui miei fiori di Buddleia

Per quanto riguarda la Cina, poi, posso annunciare che in alcune vaste contee, come quella di Maoxian nella provincia di Sichuan, l’avvelenamento dell’ambiente ha ucciso tutti gli impollinatori naturali fin dagli anni ’80. Di conseguenza i coltivatori di frutta eseguono loro stessi questo lavoro, impollinando a mano, una ad una, le piante. Dagli anni ’80 ad ora questo “lavoro” si è diffuso in molte parti del mondo e lo trovo fortemente simbolico in previsione del futuro molto prossimo che ci aspetta: un ennesimo lavoro da schiavi (non credo si possa definire diversamente) in un mondo posseduto da iper ricchi, blocchi di potere e lobby di imprenditori/criminali guardati con grande rispetto da politici e media.

Le api muoiono: Pomodori e vibratori

Qualcuno si domanderà come funziona il mestiere dell’impollinatore umano. Queste persone muovono il polline da fiore a fiore con un pennellino, e, sfortunatamente, non è più un tipo di occupazione così rara. I coltivatori di pomodori spesso impollinano i fiori di pomodoro utilizzando un vibratore. Un vero vibratore, sì. Questo perché il polline contenuto dentro a un fiore di pomodoro è rinchiuso in modo molto preciso nella parte maschile del fiore, l’antera, ed il solo modo per liberare il polline è farlo vibrare. Infatti i bombi sono una delle poche specie di api nel mondo capaci di salire sul fiore e farlo vibrare, scuotendo le ali ad una frequenza simile alla nota musicale Do. In questo modo tutto il polline spruzza fuori e ricopre per intero il corpo del bombo che poi lo porta a casa come cibo. Alcuni coltivatori di pomodori adesso insediano colonie di bombi nella serra per fargli fare un’impollinazione più efficiente, cosa che rende anche i pomodori di migliore qualità.

Bombo e fiore di pomodoro

Quanto vale il lavoro delle api?

C’è gente per cui quello che conta è sempre ed esclusivamente il dio denaro, e quindi aggiungo poche parole: il lavoro delle api è valutato 153 miliardi di euro all’anno globalmente, 22 miliardi solo in ambito europeo, ma sono dati non troppo recenti. Di sicuro, relativamente al numero delle api sempre più in calo, i dati non possono che essere più alti.

Per quel poco che possiamo fare, oltre a supportare Greenpeace e la sua campagna a favore delle api, da questo link potete scaricare la lista delle piante da mettere in balcone, giardino, terrazzo per aiutare gli impollinatori.

Le api muoiono: l’ultima ape

La frase “Se le api scomparissero dalla Terra, per l’uomo non resterebbero più di 4 anni di vita” è stata attribuita ad Einstein, anche se probabilmente non è stato lui a dirla. Di sicuro, se l’uomo è interessato a sopravvivere, ha bisogno o di molte api o di molti schiavi umani. In ogni caso io un futuro senza api e da schiava non lo voglio vivere. Ripensare a tutte le lucciole che d’estate vedevo da bambina al mare, in campagna, quasi ovunque, mentre mio figlio non è mai riuscito a vederne nemmeno una già mi mette una grande tristezza. Ma vivere senza api, no grazie. Teneteveli voi i 4 anni di vita. Infilatelo voi il vibratore nel pomodoro. Io non sopravviverò mai all’ultima ape.

“BEEKEEPER” di Keaton Henson, canzone bellissima che dedico a tutti gli apicoltori che considerano le loro api parte della propria famiglia

Marvin Paranoid Android

Ognuno di noi appartenenti all’antica tribe – ormai in via d’estinzione – di quelli che amano la letteratura, ha trovato, prima o poi, un alter ego perfetto fra i protagonisti di qualche libro; Marvin Paranoid Android, il robot di Guida Galattica per Autostoppisti, saga capolavoro di Douglas Adams, è decisamente il mio alter ego.

Marvin Paranoid Android: Douglas Adams
Marvin Paranoid Android: Douglas Adams

Letteratura bella e letteratura dimenticabile

Parto da un presupposto: Guida Galattica non è un libro per geek o per soli amanti di sci-fi: è un capolavoro della letteratura. Per me non esistono generi più o meno degni. Esiste letteratura bella e letteratura dimenticabile. Ad esempio: Lovecraft, horror, è un mito e scrive come fosse dio. Philip K.Dick, sci-fi, è un genio visionario e scrive come fosse dio. Le Guin, che è riuscita a coniugare fantasy e psicanalisi, scrive come una dea. La maggior parte del mainstream che viene pubblicato da anni, invece, potrebbe trovare un impiego migliore nell’alimentare il fuoco del camino. Poi ci sono i libri dei comici, quelli dei vari Moccia e gli altri librettini per “young adult” (io a 14 anni leggevo Stendhal e Dostoevskij ma forse non ero né young né adult ma solo aliena un po’ come adesso), i cloni dei cloni dei cloni, i romanzoni lunghissimi e noiosissimi di vecchissimi e ricchissimi giornalisti, i libercoli “sui boss della politica” dei vari Bruno Vespa che solo un ominide, non so, un Australopiteco potrebbe acquistare: bene, tutti questi libri sono merda. Sì, proprio merda: infatti non vanno bene nemmeno per alimentare il fuoco nel camino.

Marvin Paranoid Android: Guida Galattica per Autostoppisti

Tornando a Guida Galattica, trilogia in cinque volumi (Adams diceva: mai stato forte in matematica): troviamo svariati personaggi che si muovono nel suo intergalattico percorso, ma, de facto, Marvin è il protagonista assoluto. Una delle descrizioni di Marvin che troviamo nel libro dice:

“… sebbene fosse magnificamente costruito e lucidato, sembrava in qualche modo come se le varie parti del suo corpo più o meno umanoide non si adattassero perfettamente. In effetti, si adattavano perfettamente, ma qualcosa nel suo portamento ha suggerito che avrebbero potuto adattarsi meglio.”

La prima e unica volta in cui Marvin viene definito paranoid android è quando Ford si rivolge al compagno di viaggio Zaphod per chiedergli: “Dobbiamo portarci dietro quel robot?” e Zaphod risponde: “Quel paranoid android? Ma sì, portiamolo!” e Ford ribatte: “Ma cosa ce ne facciamo di un robot maniaco-depressivo?” Ma poi la canzone che i Radiohead gli hanno dedicato “Paranoid Android” l’ha reso famoso con quell’appellativo

Radiohead: Paranoid Android

L’unico robot depresso della storia dellla Sci-Fi

Marvin è l’unico robot o androide depresso di tutta la storia della fantascienza. Depresso e disgustato da tutto quello che lo circonda. E d’altra parte è un prototipo del software GPP (Genuine People Personality) grazie a cui ha una notevole sensibilità, prova emozioni proprio come gli esseri umani ed ha tutte le capacità di costruirsi una personalità che è, nel suo caso, decisamente ostinata e fortemente contraria! La sua intelligenza non ha limiti, può risolvere calcoli impossibili e quesiti di matematica altissima in pochi istanti ed è praticamente in grado di fare qualsiasi cosa: utilizzare dispositivi altamente tecnologici, armi complesse e sofisticate, gestire situazioni estremamente difficili sia logisticamente che psicologicamente parlando, anche se viene utilizzato, per lo più, per compiti banali come aprire porte, accompagnare umani da una camera a un’altra, raccogliere pezzi di carta. Eppure, sia i soliti compiti estremamente facili che quelli fin troppo difficili lo lasciano annoiato e frustrato.

Bisogna però aggiungere che, se è innegabile che Marvin sia lamentoso e insofferente, è giusto dire che è un personaggio decisamente molto amato da tutti quelli che hanno letto il libro, Thom Yorke dei Radiohead compreso.

Marvin Paranoid Android: parole e dialoghi

Marvin Paranoid Android: don't talk to me about life
Marvin: Life! Don’t talk to me about life

Le tipiche frasi di Marvin sono:

“La vita puoi disprezzarla o ignorarla, ma non potrai mai fartela piacere.”

La rugiada cadendo stamattina ha fatto un rumore che non esito a definire disgustoso”

O anche: “Scusatemi se respiro, cosa che comunque non faccio mai e non so perché io mi prenda la seccatura di dirlo, oddio, quanto sono depresso!”

Per non parlare dei suoi dialoghi:

Arthur: (Parlando della Terra) era un posto bellissimo.

Marvin: C’erano gli oceani?

Arthur: Oh sì, grandi, vasti oceani azzurri.

Marvin: Non sopporto gli oceani.

E naturalmente il suo tormentone: “E poi ho questo dolore terribile in tutti i diodi del mio lato sinistro.”

Il rapporto di Marvin col resto dell’Universo

Credo che l’aggettivo migliore per definire Marvin in realtà non sia depresso, ma sconfortato in modo incurabile. Lui non riesce ad armonizzarsi con l’Universo che lo circonda, gli è proprio impossibile. Le altre macchine e computer con cui ha a che fare sono tutti creati per servire e, allo stesso tempo, rallegrare chi li ha costruiti, e Marvin li odia. Detesta Eddie, il mellifluo computer di bordo che a pochi secondi dall’esplosione dell’astronave Heart of Gold continua pacifico a cantilenare con la sua voce nasale: “Walk on, walk on with hope in your heart… and you’ll never walk alone!”; ma ancora di più odia le allegrissime porte scorrevoli della medesima astronave:

Quando la porta si richiuse, lo fece effettivamente con un sospiro di soddisfazione: “Hummmmmmmyummmmmmm ah!”

Marvin la guardò con freddo disgusto, e i suoi circuiti logici inorridirono e vibrarono, scossi dall’idea allettante di usarle violenza fisica.

Ma niente riesce a infastidirlo quanto la vita organica. Nessuno è simile a lui, nessuno è in grado di capirlo, di apprezzarlo e lui ne è perfettamente consapevole. Le creature organiche mentono, anche quando non vogliono, ma lui no, non mente mai. In compenso è continuamente sarcastico:

“Ehilà, Marvin – disse Zaphod dirigendosi verso il robot – ehilà, amico mio. Come siamo contenti di vederti!”

Marvin si girò, e per quanto lo consentiva la sua faccia di metallo guardò tutti con aria di rimprovero.

“No, non siete affatto contenti di vedermi – disse – nessuno è mai contento di vedermi”

“Ti sbagli, sai – disse Trillian – siamo veramente contenti di vederti. Pensare che sei stato qua ad aspettarci per tutto questo tempo!” Fece al robot una carezza che lo disgustò profondamente.

“Già, ho aspettato cinquecentosettantaseimila milioni e tremilacinquecentosettantanove anni – disse Marvin – una bazzecola.”

Marvin Paranoid Android: di robot, computer e androidi

Marvin Paranoid Android
Marvin, brain size of a planet

Quando parlo di vita organica, mi riferisco a tutte le più varie e bizzarre forme viventi che si incontrano nell’ambito della Guida Galattica, come, ad esempio, i materassi sobbobanti di Sconchiglioso Zeta:

Ricominciò a girare intorno alla sua gamba artificiale d’acciaio che, piantata in mezzo al fango, ruotava leggermente.

“Ma perché giri in tondo in continuazione?” chiese il materasso.

“Perché gli altri afferrino il concetto” disse Marvin, senza fermarsi.

“L’ho afferrato, amico carissimo – ciancigliò il materasso – l’ho afferrato.”

“Giusto un altro milione di anni – disse Marvin – un altro milione di anni, poi comincerò il cammino a ritroso. Tanto per variare un poco, capisci.”

Naturalmente non posso spoilerare cosa accade a Marvin alla fine, nella speranza che, fra quei pochi che dovessero leggere questo articolo fino in fondo (come vedete sono già in modalità Marvin) ce ne sia qualcuno che, non avendolo ancora fatto, decida di leggersi Guida Galattica, libro incantevole e iconico.

“Dì un po’ – chiese Arthur – vai d’accordo con gli altri robot?”

“Li odio” rispose Marvin.

Computer e androidi io invece li ho sempre amati, perfino i robot parecchio stupidi di Asimov. Perfino i perfidi replicanti di Blade Runner, bellissimi e privi d’empatia ma desiderosi di continuare la loro vita, o almeno di conoscere la loro data di scadenza. Ho amato anche Hal di Odissea nello Spazio, lui sì un po’ paranoide, ma con qualche ragione dalla sua, vi pare? Eppure nessuno di loro l’ho mai sentito così vicino come Marvin, schiacciato dall’ineluttabilità dell’esistenza, dal sentirsi diverso fra gli organici e diverso fra i robot, annichilito da quel quid che non gli permette di adattarsi al meglio ma allo stesso tempo investito dalla volontà un po’ patetica di continuare a girare in tondo solo perché qualcuno afferri il concetto. Infine amo Marvin perché condivido la consapevolezza, in lui mai affievolita nemmeno in milioni di anni, che, nella vita, per citare Vasco Rossi, “Siamo soli.”

Vasco Rossi, Siamo soli live Modena Park

Gli organismi simili a robot, come quelli fatti di carne e sangue, non sarebbero stati altro che un trampolino verso qualcosa cui, già da molto tempo, gli uomini avevano dato il nome di “spirito”. E se esisteva qualcosa di là da questo, il suo nome poteva essere soltanto Dio.

Arthur C.Clarke

La lobby dei giornalisti della carta stampata che stanno sempre in TV

Lilli Gruber e i suoi amici giornalisti

La lobby dei giornalisti della carta stampata che stanno sempre in TV è trasversale. Vanno dal pensiero moderato a quello di estrema destra ma sono un po’ tutti amici, e soprattutto, sono sempre gli stessi. Pochi e pagati come rockstar, ma senza saper suonare né cantare, e, spesso, senza avere assolutamente niente da dire.

Prendiamo ad esempio un tipico programma televisivo “giornalistico” serale, da italiano moderato e perbene, come il programma “8 e mezzo” di Lilli Gruber. Diventare ospite fisso “la sera a casa di Lilli” è un onore raro, che, come tutti gli onori rari, viene concesso solo agli amici più intimi. I giornalisti che passano le serate con Lilli, infatti, non solo vengono strapagati, ma fanno anche una rapidissima carriera nel loro ambito. Massimo Giannini, ad esempio, è appena diventato direttore della Stampa. Andrea Scanzi, oltre a scrivere sul Fatto Quotidiano ha avuto in sorte un programma suo su Nove e sta praticamente sempre in TV come “tuttologo” una sera qui, una sera lì. (Io, sinceramente, non credo che di Scanzi ne possa esistere uno solo. Immagino ne abbiano costruiti almeno sei o sette.)

Ma la sera a casa di Lilli

La sera a casa di Lilli: A casa di Luca

Sempre dalla Gruber, quando poi non c’è Scanzi, allora c’è Travaglio, un altro che la sera sta fisso in tv SEMPRE, va in giro a fare spettacoli teatrali dove non ho la minima idea di cosa faccia e, nei ritagli di tempo dirige un giornale, dove la sola cosa leggibile è il suo editoriale. E del resto nel suo giornale Travaglio è supportato da punte di diamante come Selvaggia Lucarelli, che da attrice televisiva si è poi riciclata in “tuttologa” e infine giornalista. Per non parlare della lunga collaborazione fra il Fatto quotidiano e il politico aka “qualsiasi altro mestiere” Di Battista. Del resto, bisogna pur dirlo: fare il giornalista non è come fare il neurochirurgo; se scrivi o parli come un cane non rischi di ammazzare nessuno, e quindi avanti tutta!

La lobby dei giornalisti della carta stampata che stanno sempre in TV

Altri due che non mancano mai da Lilli sono Sallusti, direttore de Il giornale e tristemente noto per aver detto – di recente, sempre in tv – che “Sapete, c’erano anche nazisti buoni”. Non lo sapevamo, no, ma deduco che Sallusti immagini se stesso come uno di loro. E poi le new entry femminili: Marianna Aprile, redattrice nientemeno che della rivista Oggi ed ex giornalista di (wow) Novella 2000 e tale Cuzzocrea, che ha lo sguardo da aliena spaventata e quando apre la bocca non se ne accorge nessuno ma è presente dalla Gruber quasi quanto Travaglio.

Giornalisti della carta stampata che stanno sempre in TV: Marco Travaglio
Giornalisti della carta stampata che stanno sempre in tV: Marco Travaglio

Negli ultimi mesi la Gruber ha sempre avuto ospite fisso anche il virologo dall’occhio assonnato, utile alla conversazione e all’informazione medica come un buco nel gomito. Nei due mesi di paura da Covid-19 e di lockdown, Lilli Gruber è riuscita a parlare sempre dello stesso identico argomento con le stesse identiche persone. Forse ha vinto una scommessa o ha battuto qualche record. Se non ricordo male Einstein diceva che “la follia sta nel compiere sempre le stesse cose aspettandosi risultati diversi.” Se Einstein aveva ragione, devo dedurre che la follia della Gruber sia ormai conclamata. Assieme al rincoglionimento del pubblico televisivo che, come diceva saggiamente Berlusconi già negli anni ’90, è come un bambino di undici anni nemmeno troppo sveglio.

Altri giornalisti della lobby “sempre in TV”

Altri giornalisti che, fra la Gruber e le altre trasmissioni pseudo-giornalistiche stanno sempre in mezzo sono: Antonio Padellaro, Beppe Severgnini, Luca Telese, Massimo Franco, lo scrittore ex magistrato Carofiglio, Marco Damilano, Maurizio Belpietro, Walter Veltroni che, dopo aver fatto il politico di professione per quasi tutta la sua non breve vita ed averne tratto, oltre a una maxi-pensione, contatti, amicizie che contano molto, favori da riscuotere, oggi si presenta a volte come “scrittore”, altre come “regista di cinema”, a seconda di cosa deve promuovere: quanto invidio le facce di bronzo! Scusatemi se ho mancato di citare qualcuno, ma bisogna anche dire che sì, è vero, sono pochi, ma anche fortemente dimenticabili.

Nessuno legge più i giornali  

Ma, soprattutto, dobbiamo dire quello che tutti sanno perfettamente: i giornali ormai non li legge più nessuno, né su carta stampata nel sul formato online. Questo perché la gente – di destra, di centro, di sinistra, in modo trasversale come la lobby di Lilli – non legge più nulla che superi i 200 caratteri con 2 faccine. Di conseguenza, se già prima i giornali erano insulsi, poco stimolanti, indirizzati politicamente in modo così smaccato e fastidioso, oggi sono – direttamente – carta straccia. Ma continuano ad esistere per via di partiti politici o gruppi di potere che si tirano dietro – economicamente – questi ormai inutili carrozzoni perché evidentemente ritengono di avere ancora bisogno di qualcuno che getti fumo negli occhi della gente al posto loro o assieme a loro. Ed ecco perché i giornalisti della lobby “amici di Lilli” poi fanno carriera, perché, sera dopo sera, diventano come i testimonial famosi di una marca di pasta o di una passata di pomodoro.

La lobby dei giornalisti della carta stampata che stanno sempre in TV: Action-Figures

Giornalisti della carta stampata che stanno sempre in TV: action-figure da Fortnite
Action Figure del video-game Fortnite

Che il giornalismo televisivo sia sempre stato una pagliacciata, questo lo sappiamo tutti fin da quando eravamo bambini. Ma che, col crollo dei giornali stampati l’informazione sia ormai solo in mano a tv e social, è la nuova realtà mondiale. Questa è ormai l’informazione, facciamocene una ragione, perché dove non esiste informazione libera non esiste libertà. I Montanelli, i Bocca, l’unico e favoloso Beniamino Placido così come i Woodward e i Bernstein, ma anche l’Oriana Fallaci reporter in Viet-nam sono stati sostituiti non da umani incapaci e nemmeno da replicanti, ma da action-figures, categoria di piccole bambole che riproducono, in versione snodabile, personaggi famosi di film, serie televisive, campioni sportivi, manga. Adesso, a quanto pare, anche giornalisti.   

Oriana Fallaci reporter in Vietnam

  

PrimaValle Epidemic FASE 2

PrimaValle Epidemic FASE 2: PRIMAVALLE, BABY

Andiamo all’Eurospin, Ettore e io, così, alla spicciolata, perché ancora non è chiaro se ci faranno entrare in due oppure no. Quindi sincronizziamo gli orologi (io l’orologio non l’ho mai avuto, nemmeno da bambina, quindi sincronizziamo solo il suo) e ci diamo appuntamento dentro. Una volta lì, c’è tanta di quella gente da poter mettere su un mercato di scambi internazionali, tipo: “Un colera e un’epatite B in cambio di un Covid!” o anche “Io ho una legionella vintage…” e tutti “Wow! La legionella è rara, al momento!” e poi arrivano i soliti raccomandati “Noi offriamo patogeni nuovissimi e molto colorati…” e la gente “Sì, vabbè, ma come fai a capire se non sono contraffatti?” per non parlare dei trader “Shortiamo, shortiamo sul Covid ancora per un paio d’ore!”

Nonostante ciò, noi, protetti dalle mascherine chiamate da De Luca “quelle di Bunny il coniglietto” ci muoviamo eroici verso il reparto più minaccioso, quello di frutta e verdura.

PrimaValle Epidemic: FASE 2 Le mascherine di Bunny il coniglietto

Ed ecco che una muraglia – non esagero – di meloni ci si staglia di fronte. Un altro scaffale, attiguo a quello dei meloni, contiene forse un migliaio di cocomeri baby. Io prendo rapidamente un cocomero e Ettore si dirige verso i meloni. Gli dico “No. Tu non li sai scegliere.”

Risponde: “Altroché. Sono bravissimo a scegliere i meloni.”

Gli dico: “Ha parlato l’uomo Del Monte.”

In quel preciso momento Ettore, dopo aver osservato i meloni con perizia per un paio di secondi, ne sceglie uno, allunga la mano e lo prende. Una frazione di attimo ed ecco che una cascata di meloni caracolla giù dallo scaffale. Ettore cerca di abbracciarli come di sti tempi non faresti nemmeno con la vecchia zia che forse, un giorno, potrebbe metterti sul testamento ma è tutto inutile: per quanti ne riesca a trattenere sono molti di più quelli che crollano. Io cerco di aiutarlo ritirandoli su, ma non funziona, perché più li tiri su e più tornano giù. A quel punto la cascata trofica si comunica ai baby cocomeri, e ne cade uno. I cocomeri piccoli se cadono si rompono ma io lo ritiro su ugualmente. Come lo rimetto al suo posto ne cadono tre, creando un gran casino di polpa e acqua di anguria sul pavimento. A quel punto iniziamo tutti e due a ridere come matti, ma proprio come matti, come se fossimo strafatti di canne e invece no, io quasi cado a terra dalle risate ma la sensazione che da un momento all’altro possano mandare il pelato della security a sbatterci fuori ci fa tornare ad un più basso profilo.

PrimaValle Epidemic FASE 2 cascata di meloni
PrimaValle Epidemic: FASE 2, cascata di meloni

Per fortuna non siamo in un supermercato vip e nessuno ci caga. A qualche passo di distanza, però, vediamo un signore sugli ottanta, piuttosto pesante, che si trascina faticosamente su due canadesi e, passetto dopo passetto, si dirige proprio verso il luogo dei cocomeri sfatti, dove è praticamente impossibile non scivolare.

“Cazzo, quello fra poco arriva lì sopra e si scrocia…” dico io.

“E quindi se quello cade s’inculano noi?” domanda Ettore.

“Beh no. Noi siamo il cliente. Il cliente ha sempre ragione.”

“Allora che facciamo. Restiamo a guardare? Sono un po’ curioso.”

“Oppure ci allontaniamo e guardiamo da lontano. Sono un po’ curiosa anch’io.”

Nascosti fra il carrello e lo scaffale dei detersivi, mentre esseri umani indifferenti sciamano intorno a noi come api (ma senza essere così carini come le api) vediamo il vecchio superare i cocomeri senza un attimo di indecisione, sempre perfettamente stabile con i suoi centocinquanta chili appoggiati alle due stampelle. Sicuro che ci seppellisce tutti e due.

“Però. Hai capito il vecchio?” dice Ettore.

“Già. Primavalle, baby” dico io.

 “Primavalle, baby – ripete lui – adesso sbrighiamoci o il vecchio arriva alle casse prima di noi…”

PrimaValle Epidemic FASE 2: MOMENTI DI GLORIA

Ettore entra dal tabaccaio di zona per pagare una bolletta. Una volta ci comprava le sigarette, ma ha smesso di fumare. Una volta ci giocava al superenalotto ma dopo la lunga pausa è come se il lotto fosse eternamente in lockdown. La forte protesta dell’anziano signore che, lo scorso 24 marzo a Messina sparò alla tabaccaia perché non lo faceva giocare, in qualche modo è rimasta lettera morta. In breve, restano solo le bollette.

C’è una ragazza alla cassa, giovanissima e senza mascherina. Ettore deve pagare 167 euro e sessanta centesimi. Allora tira fuori i 150, poi i 10, poi i 5 ed inizia con monete e monetine fino ad arrivare alla cifra richiesta. La ragazza lo guarda con gli occhi spalancati.

“Accidenti, AMO’ – gli dice sbalordita – nessuno me aveva mai dato i sordi così, uno a uno…”

Lo guarda ancora stupefatta e aggiunge: “Certo che sei proprio preciso!”

PrimaValle Epidemic FASE 2: TORRE DI BABELE

PrimaValle Epidemic FASE 2, la Torre di Babele di Peter Bruegel il Vecchio
La Torre di Babele di Peter Bruegel il Vecchio

Dove abitiamo noi non c’è mai troppo rumore, ma da quando c’è il Covid il silenzio è aumentato ed è una cosa bellissima. Stamattina, improvvisamente, sembrava di esserci svegliati all’inferno.

Prima di tutto la didattica smart. Nonostante tutto quello che vi possano raccontare in proposito, la didattica smart non è per niente smart: insegnanti e studenti devono urlare per farsi sentire, solo per dirne una. Emiliano, dal piano di sopra, ululava come se stesse tenendo un comizio su Leopardi e Verga. La prima cosa che ho pensato: “Verga no, cazzo! L’ho sempre odiato.”

Dal muro attiguo, la figlia dei nostri vicini, sedicenne, stava seguendo una lezione di spagnolo, perché si sentiva la professoressa strillare con tono marziale cose come: “Que es esto? Te pedí una explicación no un diccionario de sinónimos!!”

Poi c’era la sorella minore, di 14 anni, che parlava forse con un’amica da qualche altro dispositivo, e anche loro urlavano:

“Allora?”

“Niente, c’ho il giorno libero…”

“Ah! C’hai er freedday?”

“Sì. Cia cia”

“Cia cia”

Ma la cosa più inquietante è stata una voce del tutto sconosciuta provenire dal nostro cortiletto condominiale, dove nessuno che non appartenga alla palazzina avrebbe mai il coraggio di avvicinarsi, per via dell’agghiacciante visione del garage aka cantina che nessun essere umano riuscirebbe a sopportare, se non dopo un lungo training passato a guardare la piccola Samara che esce dal pozzo e dal televisore per venirti a uccidere.

da The Ring, capolavoro dell’horror, la piccola Samara esce dal televisore

Visto che Ettore e io abitiamo nel basement (in inglese fa più fico) la voce di questo tizio sembrava provenire direttamente da dentro al letto:

“Allura iu direi u purtusu ri farlo cca picchì da cca ci sunnu deci metri chi ci dovrebbero abbastari”

Il tizio, con una tuta che poteva essere da tecnico Acea, Eni, o semplicemente da coglione in tenuta anti Covid, parlava siciliano stretto. Ettore ha aperto la finestra e se l’è trovato a pochi centimetri. Non l’aveva mai visto e sperava che, chiudendo gli occhi per riaprirli subito dopo, il siculo sarebbe scomparso. Ma non è successo.

“Ma che è sta torre di Babele del cazzo?” ho domandato. Ettore ha risposto:

“Boh”

La casa in Circonvalla però c’ha più stile”

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Il nuovo spot Lavazza Chaplin e i media di McLuhan

Il nuovo spot Lavazza Chaplin

Il nuovo spot Lavazza Chaplin, che da alcuni giorni viene mandato a raffica su tutte le televisioni italiane: vediamo il classico montaggio di immagini che ci raccontano un mondo tanto bello quanto inesistente, con il famoso monologo di Chaplin preso dal film Il grande dittatore:

“Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca. È sufficiente per tutti noi. Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore. Voi avete il potere di rendere questa vita libera e magnifica, di trasformarla in un’avventura meravigliosa. Combattiamo per un mondo nuovo, un mondo giusto, che dia a tutti un lavoro. Ai giovani un futuro e agli anziani la sicurezza. Combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso, diano a tutti gli uomini il benessere. Uniamoci tutti!”

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: Il grande dittatore
Il nuovo spot Lavazza Chaplin: Il Grande Dittatore

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: la New Humanity

Alla fine di tutto ciò, insieme al marchio Lavazza, appare la scritta #NewHumanity, questa ipotetica nuova umanità che a me – sarò fuorviata – ha fatto subito venire in mente il Nuovo Mondo o Brave New World di Aldous Huxley, che, come tutti sanno, è un mondo che non ha nulla di nuovo né di coraggioso. Al contrario, è un mondo di schiavi e padroni, proprio come quello attuale.

Andando poi a riascoltare il monologo del Grande Dittatore, prima di tutto notiamo quanto sia datato, ed è normale che lo sia, visto che da quel film sono passati ben 80 anni. In questo mondo c’è posto per tutti: sfortunatamente non è vero. All’epoca di Chaplin di sicuro non avevamo ancora raggiunto il numero di 2 miliardi, mentre alla fine del 2019 raggiungevamo quasi gli 8 miliardi di esseri umani. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. Non è mai stato vero e di sicuro non lo è adesso, sempre per lo stesso motivo di prima: siamo troppi e la natura siamo abituati a predarla e razziarla. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Nel 1940, anno in cui fu girato il film, gli americani non erano ancora entrati in guerra, ma di lì a meno di due anni avrebbero dato ufficialmente il via al Progetto Manhattan che nel 1945 li avrebbe portati a lanciare la loro scienza su Hiroshima e Nagasaki, per non parlare di tutti i morti negli esperimenti sull’atomica fatti precedentemente in Nevada, e quindi pensare che scienza, progresso e benessere potessero diventare un unicum era già piuttosto ipocrita allora, ma adesso è una sorta di insulto.

Gli Stati Uniti d’America lanciano la loro scienza su Hiroshima. Il video è volutamente privo di audio

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: possibile far incazzare tutti? Possibile!

La cosa peculiare di questo spot è di essere riuscito a far infuriare la gente di sinistra, quella di estrema destra e tutti quelli che si sentono presi in giro da pubblicitari che, per venderti una merce – caffè, in questo caso – si sentono in diritto di affliggerti con un discorsetto morale e etico.

Esempio di protesta di sinistra:

“Chi #Lavazza, quelli che comprano il caffè pagato quattro soldi dagli indigeni e lo rivendono 20 volte tanto?” utente Twitter.

Esempio di protesta di (spero estrema) destra:

“Meno male che non bevo caffè, non corro il rischio di dare soldi alla #Lavazza per ingurgitare un esotico intruglio, oltretutto pubblicizzato con uno spot che gronda insopportabile propaganda antifascista e antirazzista.” utente Twitter.

Esempio di protesta di chi si sente preso in giro:

“Lo spot della #Lavazza puzza di retorica nauseabonda, come la maggior parte degli spot attuali. Non era meglio continuare con quella pantomima di San Pietro in paradiso? Mai prendersi troppo sul serio, soprattutto se si deve semplicemente vendere del caffè.” utente Twitter

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: entra in scena il Social media Manager

Poi, quando si dice che piove sempre sul bagnato, ci si mette anche “il Social media Manager” del Fatto quotidiano a dire la sua, sul blog del giornale medesimo:

“Io non mi ritrovo nel dibattito buonista/ non buonista, sono categorie che non uso. Trovo semplicemente che Lavazza sia arrivata molto in ritardo su un modo di fare pubblicità vecchio di almeno vent’anni in cui l’obiettivo di impresa (il profitto) sembra eclissarsi dietro a un messaggio positivo per l’umanità, con lo scopo ultimo di far associare ai consumatori valori positivi con il proprio marchio… Secondo me è stata un’operazione stonata, nel senso che non darà niente di più a Lavazza, è troppo fuori Sync. Ormai questo tipo di meccanismi sono stati svelati e il pubblico ne è pienamente consapevole…”

Che il “Social media Manager” del Fatto quotidiano non usi quelle che chiama “categorie nel dibattito buonista/non buonista” ne eravamo tutti certi. Che l’obiettivo di un’impresa sia il profitto è una rivelazione di cui gli saremo eternamente grati. Che essere fuori sync non significa stonare, però, Scanzi (che immagino ami la musica, visti i poster di Celentano ed Eric Clapton davanti a cui si fa sempre inquadrare) glielo poteva anche spiegare. Ma soprattutto, che questo tipo di meccanismi siano stati svelati e la gente li riconosca, invece, è proprio una stupidaggine grossa come il mondo, nuovo o vecchio che sia. Ma del resto, immagino che nell’università da social media manager (a proposito, chissà se è la Ferragni con quel marito sempre più fuori sync a consegnare la laurea) non credo si studi McLuhan.

Il nuovo spot Lavazza Chaplin e i media di McLuhan

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: foto di Marshall McLuhan
Il nuovo spot Lavazza Chaplin: Marshall McLuhan

Marshall McLuhan, geniale sociologo, filosofo e professore canadese, morto nel 1980, è diventato famoso – in poche e semplici parole – per la sua teoria sui media, che, secondo lui vanno considerati non tanto in base ai contenuti, ma in base ai criteri strutturali con cui la comunicazione viene organizzata. Da qui la famosa frase “Medium is the message” ovvero “il mezzo è il messaggio”. In “Undestanding media” Mc Luhan dice:

“Si può dunque asserire che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è un’estensione e un potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che retroagisce con i messaggi dei media già esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso l’ambiente sociale, per cui è necessario valutare l’impatto dei media in termini di “implicazioni sociologiche e psicologiche”.

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: dare l’atmosfera terrestre in monopolio a una società

Se McLuhan si preoccupava già ai suoi tempi per il modo in cui la televisione ci avrebbe indirizzati tutti nel recinto da Walking dead in cui ci aggiriamo, è una fortuna che non abbia potuto vedere il baratro in cui i media cosiddetti “social” ci hanno ormai scaraventato. Ma, per chi fosse ancora disposto a leggere, studiare e capire, i suoi insegnamenti e i suoi libri restano.

Il libro geniale di McLuhan: Understanding Media

Ancora da Understanding media:

«Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre»

Riguardo allo spot Lavazza la mia modesta opinione è che – alla fine – non ci sia alcuna differenza fra i passati spot con San Pietro, lo spot attuale con Chaplin o un ipotetico spot futuro dove san Pietro e Chaplin imbracciano fucili d’assalto e vanno insieme a sparare in una high school texana. Il punto è semplice:

Mi affido a un media quindi sono e guardo. Se sono e guardo, poi compro. Tutte le altre considerazioni, scusate il francesismo, sono puttanate.

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