La meglio gioventù italiana presa a schiaffi dal nostro Paese

Intervista a Samantha M. e Omar B.

I ragazzi che appartengono alla “meglio gioventù” italiana, oggi, sono quelli che non hanno genitori potenti né ricchi, non hanno università pagate da mamma e papà in Europa o in America, non hanno il loro bel futuro già assicurato fin dal momento in cui sono venuti al mondo, eppure studiano, lavorano duramente, si conquistano le loro borse di studio, si laureano brillantemente e sanno di poter contare sempre e solo su se stessi. Di sicuro sanno di non poter contare sul sistema Italia, che è abituato a prendere a calci i ragazzi come loro, finché non sono costretti a scappare all’estero. “Masticati e dopo vomitati” per citare Anastasio, poeta rapper.

I due giovani che mi accingo ad intervistare, Samantha M. 26 anni, Laurea triennale in Lettere Classiche e Laurea magistrale in Filologia moderna con tesi su Filologia Romanza; Omar B. 25 anni, Laurea triennale in Lingue con Tesi sull’Ostalgie, a un anno dalla Laurea Magistrale, rappresentano perfettamente la gioventù di cui parlo.

Samantha
Omar a Tallin, Estonia

Samantha è una di quelle persone rare, eccezionalmente bella sia fuori che dentro, empatica, animalista, colta, piena d’interessi, nata in Calabria e trasferitasi a Roma per fare l’Università. Omar è un ragazzo dal DNA multiculturale: padre algerino, madre polacca, nato e cresciuto a Roma sud e quindi italiano ma soprattutto romano, bello, indipendente, cinefilo, colto, ironico.

Domanda: Dopo il liceo avete scelto facoltà di tipo umanistico: Samantha Lettere Classiche a La Sapienza e Omar Lingue a Roma Tre. Perché avete scelto queste facoltà? Quando le avete scelte avevate già un’idea del lavoro che avreste voluto fare dopo?

Samantha: Sì ho scelto Lettere ma fino all’ultimo anno di liceo classico ero convinta di voler fare l’astrofisica, tant’è che per tutto l’ultimo anno di liceo presi lezioni private di fisica e matematica. Poi, ad un test attitudinale risposi correttamente a tutte le domande umanistiche e a nessuna di matematica e fisica. La presi male, mi misi a piangere e la mia Prof mi disse una frase che ancora ricordo perché è stata fondamentale: “Quando capirai che il tuo amore per il cielo stellato è più letterario che scientifico, allora farai la scelta giusta.”

Quando ho scelto Lettere non avevo alcuna idea del lavoro futuro. Ho sempre amato leggere e ho scelto Lettere principalmente per amore della lettura. Credo che 18 anni siano pochi per prendere una decisione così importante come quella della facoltà.

Omar: Ho scelto Lingue, Russo e Tedesco, considerando che l’inglese lo parlavo già piuttosto bene e che parlo polacco e italiano come madre lingua. Forse per DNA multiculturale ho una predisposizione e una curiosità naturale per la conoscenza delle lingue; poi ho da tempo una forte passione per la letteratura russa. Io ho sempre lavorato, fin da quando avevo quindici anni e andavo a scuola, e all’epoca facevo principalmente il cameriere, anche se poi ho lavorato a lungo nell’assistenza clienti come sotto interinale in un’Agenzia che prende appalti da altre Società e, nel mio caso, prima Telecom e poi Poste. Comunque quando ho scelto questa facoltà ho pensato a un lavoro nell’ambito del settore turismo.

La meglio gioventù italiana presa a schiaffi dal nostro Paese: Omar a Tallin
La meglio gioventù italiana presa a schiaffi dal nostro Paese: Omar a Tallin, Estonia

Domanda: Samantha, tu hai passato quasi un anno in Francia, a Poitiers, con Erasmus. Tu Omar sei stato già, durante il primo triennio di Università, con Erasmus a Tallin, Estonia e adesso hai vinto di nuovo Erasmus per studiare in Russia e in Germania. Purtroppo con tutte le difficoltà enormi del Covid non ti fanno entrare in Russia e devi seguire le lezioni in dad, ma lo fai dalla Polonia. Raccontatemi il vostro Erasmus, cosa vi ha dato, cosa vi ha fatto capire, cosa vi ha tolto.

Samantha: Ho trascorso 8 mesi in Francia, bellissimi ma molto malinconici. Ho sperimentato il vivere da sola, perché stavo in un appartamento dello studentato, ma bisogna dire che i francesi – soprattutto in una cittadina della Francia centrale – non sono molto compagnoni. Ho sperimentato cosa vuol dire, all’inizio, non comprendere e non riuscire a farsi comprendere dall’altro. Mi ha fatto crescere molto e mi ha fatto mettere molto in discussione. Una volta ho pensato, mentre fumavo una sigaretta davanti alla finestra “Io qui ci rimarrei per sempre se solo avessi i miei affetti accanto”.

Omar: Non potendo entrare in Russia per il Covid sono venuto in Polonia perché qui si campa con pochi soldi e ho la doppia cittadinanza italiana e polacca. A differenza dell’Erasmus in Estonia, dove dare esami con la preparazione italiana era semplice, con la Russia è tutto molto più difficile, nonostante sia a distanza; i russi sono molto scrupolosi e giustamente pretendono molto: ho le lezioni frontali ma al contempo discutiamo dei vari topic, ho le presentazioni, ci danno i compiti come fossimo al liceo e li controllano. Sto studiando come non ho mai studiato in vita mia: solo il corso di russo mi occupa 16 ore di lezione a settimana e in totale ho 30 ore di lezione a settimana, a cui devi aggiungere tutte le ore passate da solo a studiare. Alla fine è molto più di un lavoro full time, ma i professori sono tutti molto competenti e impeccabili, tranne che sotto il punto di vista organizzativo perché la MGU è la prima università in Russia, quindi un mega ateneo, tipo La Sapienza ma più grande. Altra cosa di positivo è che i professori russi prestano interesse al loro studente, mentre in Italia il professore è su un piedistallo e lo studente è un nulla. Quando hai un compito, una presentazione, la tua opinione conta e se ne discute anche a lungo.

Domanda: Mi sembra di capire dalle vostre esperienze che all’estero, in ambito universitario, c’è tutto un altro approccio e si respira un altro clima rispetto all’Italia, dove puoi anche essere un piccolo genio ma, se non hai i giusti agganci, sei completamente tagliato fuori da ogni possibilità di carriera accademica.

Samantha: Ho appena saputo di aver vinto questa borsa di studio per l’estero cui avevo fatto richiesta ad agosto, erogata da La Sapienza. Poi ho fatto esami scritti e orali e sono molto contenta infine di averla vinta. È una “borsa di perfezionamento all’estero” per seguire corsi o master che siano afferenti al proprio corso di studi, ovviamente in un’istituzione universitaria. Io, quando ho fatto richiesta, ho contattato via email i miei professori di Poitiers che mi hanno immediatamente risposto e segnato tutti i fogli, subito, il giorno dopo, cosa che qui in Italia non è mai successa neanche in sogno, e andrò lì all’Università di Poitiers, quando le lezioni non saranno più solo online, a seguire tutti quei corsi di Medievistica, dalla Filologia alla Storia dell’arte, Paleografia ecc. e poi preparare un progetto di dottorato da presentare in Francia, a settembre. Sicuramente, pur essendo italiana, in Francia ho delle possibilità che qui sono inesistenti.

La meglio gioventù italiana presa a schiaffi dal nostro Paese: Samantha in Francia
Samantha in Francia

Omar: La mia esperienza con la Russia è che vieni preso in considerazione in modo diametralmente opposto a quello italiano. Ti faccio un esempio: di un poeta russo concettualista anni ‘70, Prigov, ho tradotto 2 poesie e insieme alle traduzioni ho scritto un articolo che mandai a una professoressa in Italia per avere un feedback. Dopo un anno lei non ha ancora dato un’occhiata alle mie traduzioni. Come ho parlato alla prof russa della stessa cosa lei mi ha detto che faremo senz’altro delle lezioni apposite su questo poeta, che già in Russia viene poco studiato perché non è classico, e che pubblicherà le mie traduzioni sul sito dell’MGU insieme agli articoli, dopo averle fatte controllare da un professore che, conoscendo anche l’italiano è in grado di capire se le mie traduzioni siano ben fatte. Insomma, un altro mondo rispetto all’Università italiana. Questo, per uno studente, è molto gratificante; in Italia vedevo che la mia preparazione era più alta di quella di altri studenti, ma veniva sottovalutata perché “il tizio che è amico o leccapiedi” viene sempre prima. Oppure perché a molti professori universitari in Italia, di base, non frega niente, magari danno lo stesso voto a tutti così non hanno storie. In Russia invece prendono il loro lavoro sul serio – lavorano molto di più degli italiani, 50 ore a settimana, guadagnano poco e non si lamentano. Chiedilo a un docente in Italia, di lavorare 50 ore a settimana, penserà che sei matto.

Omar a San Pietroburgo, Palazzo d’Inverno

Domanda: Quali sono i vostri sogni, se ne avete, i rimpianti, se ne avete e le aspettative professionali e sociali?

Samantha: Le proposte di lavoro che ho avuto, come docente liceale o per le scuole medie sono state imbarazzanti. Dalle scuole di Modena e dintorni – la provincia che avevo scelto – mi sono arrivate supplenze al massimo per una o due settimane, che non danno punteggio e che non ti ripagano nemmeno il bed & breakfast dove andresti a vivere perché una stanza in appartamento non la trovi per così poco tempo. Oppure una scuola privata che mi avrebbe pagato 7 euro l’ora. In questo momento sto facendo i pacchi per prepararmi a tornare in Calabria a fine dicembre. Nel frattempo, però, ho avuto la bella notizia della borsa vinta per la Francia, dove spero di continuare la ricerca in filologia romanza. Questo è il mio sogno. In Italia lo studente non solo non è aiutato a continuare la ricerca, in ambito accademico, ma addirittura è ostacolato dagli stessi docenti per ragioni oscure o forse non oscure. Io sono “figlia di nessuno” ma da fiera figlia di nessuno tenterò la strada altrove. Sicuramente l’Italia è off limits. Appunto non ho grandi prospettive future perché in questo momento è impossibile anche solo prospettare un qualsiasi futuro. No, non sono ottimista, cerco solo di vivere alla giornata.

La meglio gioventù italiana presa a schiaffi dal nostro Paese: la Laurea di Samantha
Samantha il giorno della Laurea

Omar: Mi piacerebbe fare il traduttore editoriale ma non sono ottimista. Ho i piedi piantati per terra, quindi so qual è il mercato del lavoro e sono già quasi certo che non resterò in Italia perché non c’è un futuro, e se dovessi trovare un lavoro decente – che non significa sopravvivere – penso che resterò all’estero. Non sono mai stato disoccupato, se non per scelta, sono versatile e so che troverò un lavoro, anche se spero che abbia qualcosa a che fare con quello che ho studiato. Il lavoro che cercherò dovrebbe avere un numero non troppo alto di ore a settimana, uno stipendio con cui vivere decentemente – so bene che non sarò mai ricco – dovrebbe non farmi schifo e non dev’essere qualcosa per cui rinunciare alla mia vita. A queste condizioni tutto va bene.

Rimpianti no, se tornassi indietro rifarei quello che ho fatto. Forse nel triennio universitario, quando avevo a disposizione un anno di Erasmus ho scelto di fare solo 6 mesi perché avevo paura di fallire, di non farcela coi soldi, tornando indietro farei un secondo Erasmus. Altro rimpianto: dopo il diploma sarei voluto andare a vivere in UK ma non l’ho fatto perché ho avuto paura di dover lavorare full time, di dovermi prendere un debito per l’Università; invece tornando indietro andrei in Uk perché gli inglesi ti danno i soldi per studiare e lo studio nelle università più prestigiose – tolte Oxford e Cambridge – è regalato rispetto alle nostre. Lì ottieni molto di più con molto di meno e subito dopo lavori. No, per il futuro non sono ottimista.

Domanda: Immaginate di rappresentare la “categoria giovani” e di avere una platea di non giovani a cui fare le vostre rimostranze. Cosa vi sentireste di dire, di recriminare, di chiedere o anche di pretendere?

(Qui devo aprire una parentesi. Se avessero posto a me questa domanda penso che avrei lanciato un’invettiva e parlato con rabbia a lungo, ma questi ragazzi sono così incredibilmente sobri e forgiati nel fuoco che non conoscono arroganza e non sprecano parole per cause perse.)

Samantha: Ti rispondo con il film di Nanni Moretti che vede in TV un dibattito con D’Alema e gli dice “D’Alema, reagisci, reagisci, dì qualcosa di sinistra, o almeno di civiltà”. E allora io questo voglio dire: non hanno detto niente, non hanno fatto niente né di sinistra, né di civiltà e nemmeno di buon senso. Hanno lasciato che il mondo, e l’Italia nello specifico, finissero nel baratro.

Omar: Ti rispondo con un’immagine di tortura medievale. Che ognuno ne tragga le sue conclusioni…

Ruota della tortura
La meglio gioventù italiana presa a schiaffi dal nostro Paese: ruota della tortura

Non ho scritto i cognomi di Samantha e Omar esclusivamente per tutelare la loro privacy

Perché le sinossi sono nemiche della letteratura?

Perché le sinossi sono nemiche della letteratura? Perché gli editori mentono quando dicono che la sinossi del vostro romanzo è necessaria “per poter fare una prima scrematura fra i manoscritti che ci inviano”? Credo sia evidente a tutti che molti capolavori della letteratura mondiale, come Ulisse di Joyce, tutta la produzione di Faulkner o L’isola di Arturo della Morante – per citare i primi che mi vengono in mente inserendo anche un degno autore italiano – non avrebbero mai superato la “scrematura della sinossi” proprio perché sono romanzi dove la narrazione è tutto, e nella narrazione è incluso – e non viceversa – il significato, il senso, l’anima della storia.

“Esercizi di stile” di Raymond Queneau

Perché le sinossi sono nemiche della letteratura: Raymond Queneau
Perché le sinossi sono nemiche della letteratura: Raymond Queneau

Potrei parlare per ore, ma credo ci sia un sistema più diretto ed evidente, oltre che più divertente, per dimostrare la mia teoria. Partirò, con umiltà e con il mio proprio modo di vedere e raccontare, da un capolavoro assoluto “Esercizi di stile” di Raymond Queneau, un libro che è tanto geniale quanto illuminante e che sicuramente non avrebbe passato il vaglio della sinossi. Se non avete ancora letto questo libro, FATELO! Se non sapete come è strutturato, ho messo il link e andate a vedere: in questo modo capirete facilmente che cosa mi accingo a fare.

Queneau parte da un episodio banale, di routine quotidiana, per creare da esso ben 98 altre narrazioni, che raccontano tutte lo stesso episodio ma in modi completamente diversi.

Perché le sinossi sono nemiche della letteratura? Pretty Polly

Imitando Queneau ho preso come modello le lyrics di un’antica canzone folk americana, Pretty Polly, di autore ignoto, per poi creare 7 altre narrazioni – tutte diverse – della stessa storia.

“Oh Willie, Little Willie, I’m afraid to of your ways, Willie, Little Willie, I’m afraid of your ways

The way you’ve been rambling you’ll lead me astray

Oh Polly, Pretty Polly, your guess is about right Polly, Pretty Polly, your guess is about right

I dug on your grave the biggest part of last night

Oh she knelt down before him a pleading for her life She knelt down before him a pleading for her life

Let me be a single girl if I can’t be your wife

Oh Polly, Pretty Polly that never can be Polly, Pretty Polly that never can be

Your past recitation’s been trouble to me

Oh went down to the jailhouse and what did he say He went down to the jailhouse and what did he say

I’ve killed Pretty Polly and trying to get away”

Testuale

La graziosa Polly si rivolge a Willie, il fidanzato, cercando di fargli capire che ne ha una paura matta. Willie, ben lungi dal cercare di rassicurarla, le risponde che sì, in effetti ha appena passato la notte a scavarle la fossa. A quel punto Polly lo prega di non ucciderla, gli chiede di lasciarla libera, ma Willie non è affatto d’accordo: tutte le lagne di Polly gli hanno causato guai e vuole proprio eliminarla fisicamente. Come è ovvio, Willie finisce in carcere dove spiega che ha dovuto ammazzare la graziosa Polly che cercava di scappare via.

Verbale d’Interrogatorio

In data xy il detenuto William Omissis, detto Willie, ristretto nel carcere di Omissis, nella contea di Omissis, è stato interrogato dal Detective Omissis, per sospetto omicidio di primo grado. Il detenuto ha una lunga lista di precedenti penali che vanno dalla violenza domestica all’ubriachezza molesta per finire con rissa da bar e rapina a mano armata. Inizialmente si è rifiutato di rispondere. Quando il Detective l’ha incalzato mostrandogli la lunga lista di accuse mosse nei suoi confronti nel corso di mesi dalla vittima Pretty Polly Omissis, il detenuto Omissis ha detto: “Era una scassacazzi” Il Detective: “Di chi sta parlando, signor Omissis?” Il sospettato: “Pretty Polly era la mia ragazza e l’ho amata come gli uomini di solito amano solo le loro auto e le loro armi, ma Dio mi è testimone: stava sempre a lamentarsi. Insomma, una grande scassacazzi, agente”. Il Detective Omissis ha fatto notare che lui non è agente ma Detective e ha incalzato il detenuto: “Non è forse vero che quella notte ha passato ore a scavare, nella sua proprietà, una fossa lunga come la vittima e profonda 6 piedi?” Il detenuto ha annuito con la testa e poi ha detto “Sì. Dovevo sopprimere il cane. Mi aveva morso e non potevo più fidarmi, quindi ho deciso di sparargli”. Il Detective: “E allora come mai dentro alla fossa abbiamo trovato la vittima, Pretty Polly Omissis con un colpo di fucile che l’ha centrata in piena nuca?” Il detenuto William Omissis ha aperto le braccia: “A un certo punto Pretty Polly se n’è andata, ma non me n’ero accorto. Lì fuori era buio, Detective, non c’era luna, non c’erano stelle, ho visto qualcosa correre e ho pensato a un coyote o al cane che cercava di fuggire, e per sicurezza ho sparato. Qui da noi si fa così: prima si spara e poi, in caso, ci si scusa… Mai avrei pensato che potesse essere la mia amata Polly!” Il detenuto si è messo a piangere e il Detective ha interrotto l’interrogatorio.

Perché le sinossi sono nemiche della letteratura: Willie scava la fossa
Perché le sinossi sono nemiche della letteratura: Willie scava la fossa

Crime & Drug Story

È quasi mezzanotte e Pretty Polly si è appena messa un vestito corto nero, scarpe con tacchi a spillo e si è pettinata i lunghi capelli biondi con ciocche azzurre. I suoi tatuaggi sono tutti bellissimi e in vista e lei si prepara per andare al pub a spacciare. A quel punto sente un rumore subito fuori della porta di casa. Rimane un attimo in silenzio, poi prende la sua vecchia ma fidata Glock e ci infila il caricatore. Mentre sta per uscire, arma in mano, qualcuno le sfascia il suo vaso di vetro sulla testa e Pretty Polly sviene. La suoneria del cellulare che suona la risveglia, e scopre di avere le mani legate, il sangue che le cola dalla ferita, un gran mal di testa e quello schizzato di Willie sta proprio lì, davanti a lei.

“Ma che suoneria di merda, Polly! Musica elettronica, la odio – dice Willie – vuoi sapere che suoneria ho io?”

Polly non apre bocca ma, per esperienza, sa che parlare con Willie è inutile. L’uomo spinge un paio di tasti sul cellulare e la musica di “Proud Mary” dei CCR suona con vigore.

“Questa è musica, Gesù!” esclama soddisfatto.

“Willie, che cazzo vuoi?” domanda lei, mentre il sangue continua a scenderle dalla testa proprio nell’occhio destro.

“Che voglio, Polly? Tutto: i soldi, il Vicodin, la meth.”

“Niente meth, l’ho venduta da giorni e ancora non ho ricaricato – dice lei – i soldi stanno in borsa. Di Vicodin ce ne sono forse un paio di pillole in bagno, prendi quello che c’è e vattene affanculo.”

“No, no, no, Pretty Polly. Non mi devi mentire, così non si arriva a niente. Vieni con me fuori”

Impugnando la Glock di Polly, Willie la costringe a uscire in giardino, dove ha appena scavato una specie di fossa.

“E questa che cazzo è?” dice lei.

“Mentre aspettavo che ti svegliassi ho dato una rapida occhiata in casa e non ho trovato niente di appetibile. Allora, per passare il tempo, ho scavato questa, così puoi decidere se finirci dentro o se darmi quello che voglio. Nel secondo caso potrai usarla per farci un orto…”

Pretty Polly sa bene che anche se desse a Willie soldi e droga, sempre morta nella fossa finirebbe. Perciò deve pensare, deve pensare in fretta.

“Cazzo, Willie, mi gira la testa” sussurra accasciandosi e finge di svenire. Come lui si avvicina e cerca di ritirarla su, lei gli infila con tutta la forza che ha il tacco a spillo nel piede e lui urla forte. La pistola cade nella fossa e Polly, ancora legata, si toglie le scarpe e inizia a scappare, correndo a piedi nudi. Willie salta dentro la fossa, recupera la Glock e da lontano vede le ciocche azzurre e fluorescenti che Polly si è appena fatta. Mira e spara.

Le scarpe di Pretty Polly

De André style

Questa di Pretty Polly è la storia vera, che s’innamorò di Willie a primavera

E lui, quando la vide così bella, la fece diventare “la sua stella”

C’era la luna e Willie era infuriato le fratturò sei ossa di filato

C’era la luna e Polly era assai scossa lui le scavò in giardino una gran fossa

Ma, come tutte le più belle storie, lei morta e lui in galera, senza glorie.

Olfattivo

Pretty Polly aveva quell’odore di genziana mista a biancospino, mentre Willie, beh, Willie, sapeva di muschio, muschio bianco ma con una punta d’aceto balsamico, come se lo avesse bevuto al posto del caffè. Poi, all’improvviso, quell’odore di sangue, quell’odore di sangue che è così dolce solo quando il sangue che esce è tanto e caldo ed è un odore forte ma di breve durata e che qualsiasi squalo bianco, dall’odore di pesce marcio misto a un profumo salmastro ti saprebbe descrivere bene. E poi un odore fortissimo di terra, di terra bagnata, assieme a quel sentore di muffa che c’è sempre, nelle giornate umide, e di ciuffi d’erba che vengono estirpati insieme alla terra, e anche un leggerissimo profumo di margherite piccole e selvatiche. D’un tratto, odore di polvere da sparo, come un manto che copre ogni cosa e non fa passare altri odori e poi, sottoterra, odore di decomposizione umana, un odore nemico dell’olfatto della nostra specie, ma una festa per insetti e vermi che lo seguono come bambini al suono del pifferaio magico, che profuma di krapfen e zucchero.

Perché le sinossi sono nemiche della letteratura: l'odore del sangue caldo
Perché le sinossi sono nemiche della letteratura? Il dolce odore del sangue caldo

Cioè, quindi

Pretty Polly, cioè la fidanzata di Willie, quindi sua moglie, cioè la sua donna, si lamentava perché Willie, cioè, le dava un sacco di botte quindi il corpo, cioè, le faceva quindi male e cioè ogni centimetro di pelle, quindi ossa, lividi, e cioè chi più ne ha più ne metta. Willie quindi, che cioè, non era proprio, cioè, una gran brava persona, quindi era stufo, cioè, di Pretty Polly e cioè aveva deciso, quindi, di liberarsene. Pretty Polly cercò, cioè, di salvarsi la vita, cioè lo pregò di non ucciderla, cioè e quindi questo lo fece, cioè, ancora più incavolare, quindi uscire, cioè, di senno. Allora Willie, cioè, scavò cioè una fossa per buttarci, quindi, Pretty Polly e mentre Polly, cioè, cercava quindi di scappare, Willie, cioè, sparò alla ragazza che finì, quindi, cioè, dentro la fossa, quindi e cioè, morta. Willie, cioè, andò quindi in galera e continuò a pensare quindi, cioè, alla sua Pretty Polly.

Te dico fermete!

No perché a ‘na certa, aho, anch’io te dico “Fermete!” quanno sto stronzo nun la smette de pjamme a pizze ‘n faccia manco fossi quer cazzo de pungibo daa palestra sua, allora j’ho detto “A Uilli, mo’ m’hai proprio rotto er cazzo, sì continui a sto modo te manno affanculo e poi pe’ me sei morto. Come ‘na cazzo de tomba, m’hai capito amo’?” E lui, pe’ tutta risposta, me dà ‘na sveja che me stenne, guarda, te ggiuro, so’ ita lunga e piagnevo dar dolore ma ‘sto pezzo demmerda daje, nun era contento. M’ha tirata pei capelli fino ar giardinetto dietro ar cortile e m’ha detto “E mo’ scava, Polli”. M’ha tirato ‘na vanga e ho dovuto scava’, guarda, scavavo e frignavo, sarà passato ‘n cazzo de secolo, daje a scavà, sta buca de li mortacci sua nun j’annava mai bene e quella cazzo de tera era puro dura! Alla fine Uilli guarda sta fossa come si finarmente je va bene, poi pja la vanga e me tira na vangata in testa e so’ svenuta. Poi me deve ave’ ricoperta de tera, ma tanta, perché ho provato a levalla co e mano ma gnente, nun ce riesco. Ma poi m’accorgo che sto gran cojone m’ha lasciato er cellulare ‘n tasca e ‘n ce se crede, oh, c’è campo puro qui sottoteraaa! Però sbrighete, che mica se respira bene, quassotto…”

Il significato dei miei indegni “esercizi di stile” è stato di far capire come, ad un’unica sinossi, possano corrispondere centinaia di narrazioni diverse, del tutto differenti l’una dall’altra. Una storia cambia completamente a seconda di come viene raccontata e la letteratura è questo: la personalissima narrazione, anche della stessa storia, che ogni autore mette in campo a seconda del suo gusto, talento, immaginazione, competenza e conoscenza. Nessuna ridicola sinossi potrà mai farti capire qualcosa del romanzo o racconto di cui parla, di conseguenza la “scusa delle sinossi” è un classico stratagemma che molti editori utilizzano perché non sono abbastanza potenti da poter dire “Non inviateci manoscritti, non li leggeremo mai” come invece già fanno con l’arroganza del Potere, ma almeno in sincerità, in molti, a iniziare da Feltrinelli. L’editoria mondiale che tratta libri è moribonda, anche perché i nuovi libri che vengono pubblicati sono noiosi e insensati, ma quella italiana si divide in due: 1- gli editori minori che ormai pubblicano qualsiasi cosa a pagamento; 2- gli appartenenti ai grossi gruppi che pubblicano principalmente autori stranieri e, riguardo agli autori italiani, hanno una politica molto semplice: pubblicano autori che sono famosi già da decenni, oppure giornalisti, comici o amici di qualche potente. Questa è proprio una vergogna nazionale, una delle tante vergogne nazionali ma particolarmente disgustosa.

Signori Editori italiani: vergognatevi!

Le nuove pubblicità create per disgustare

Le nuove pubblicità create per disgustare non sono molte. All’epoca della seconda ondata di Covid, la pubblicità nel nostro paese per lo più rimane fedele a se stessa. Continuiamo a vedere advertisement tutti uguali, che ci mostrano auto che corrono veloci e libere come la luce in un mondo totalmente privo di altre automobili e di altri esseri umani: un mondo che spazia da città a foreste, da fiordi norvegesi a praterie dove improbabili cavalli bradi galoppano al fianco dell’ auto, un mondo così inverosimile da risultare inquietante, un po’ come uno scenario da “the day after”, non fosse per l’insensata felicità provata da chi guida quell’unica e forse ultima auto sulla faccia del pianeta.

Nelle pubblicità continuiamo a vedere famiglie felici, bambini sovreccitati, papà sorridenti che fanno colazione con biscotti (forse impastati col peyote) o pranzano con schifezze precotte; e poi donne che lavano, stirano, eliminano fino all’ultimo granello di polvere dalla casa, il tutto gioiosamente e con un senso di assoluta soddisfazione e sazietà che di solito le donne non provano neanche dopo aver fatto sesso. Continuiamo a vedere capelli al vento, belle ragazze seminude e testimonial fastidiosamente deficienti.

Le nuove pubblicità

Eppure, ci sono pubblicità nuove che fanno capolino in mezzo a tutta questa normalità ostentata e si rivolgono a quella parte dell’essere umano che cerchiamo di tenere nascosta, quella parte dell’animo di cui nessuno va fiero, che fa sì che si venga attratti da ciò che è disgustoso, scioccante o molto volgare. Siamo sempre nel campo della finzione, ovviamente, e di sicuro i nuovi commercial disgustosi non rappresentano un upgrade e nemmeno una trasformazione, a meno che una necrosi sopraggiunta dopo una ferita non si possa considerare una sorta di bel cambiamento. Proprio come dice Zero Calcare “Qua nessuno cambia. Tutt’al più marcisce.”

Zero Calcare “Scheletri”

Tena: la gioia dell’incontinenza

Fra queste pubblicità la prima che vado a citare è il nuovo advertising dell’azienda Tena, leader nella vendita di assorbenti e speciali mutande per incontinenti urinari. Per “raccontare” il loro prodotto da un punto di vista diverso, i pubblicitari hanno creato una campagna nobilitante dal nome #Senzaetà e hanno addirittura ingaggiato Yorgos Lanthimos, iper-estetico regista venerato da cinefili di tutto il mondo, famoso per film come “The Lobster” o “Il sacrificio del cervo sacro” oltre che per la capacità – appena un tantino presuntuosa – di dilatare il tempo fino a spalancare le porte dell’inferno (l’inferno della noia: guardate il suo “La Favorita” e poi ditemi che non avreste preferito una seduta dal dentista…)

Le nuove pubblicità create per disgustare: Tena 2020
Le nuove pubblicità create per disgustare: Tena 2020

In questo advertising Lanthimos ci mostra, all’interno di una scenografia da bordello di lusso e con una fotografia fra il patinato e il perverso, un piccolo gruppo di donne anziane mezze nude ma con addosso, però, mutande e/o assorbenti Tena. Le signore ballano, si spogliano e sdraiate a letto si carezzano, mentre la camera, con la precisione di una colonscopia, fruga nei loro corpi individuando flaccidità muscolare e rugosità della pelle nelle donne bianche e tutto il grasso possibile nella donna nera. Allo stesso tempo le donne Tena ci “raccontano” che nei loro corpi si sentono benissimo, che fanno molto più sesso adesso di quando erano giovani e che sì, certo, sono incontinenti ma la cosa non crea loro nessun problema. Una dice, ridacchiando allegramente “Io le chiamo le mie gocce della risata.” E un’altra “Io le mie gocce dello starnuto!”

Le nuove pubblicità create per disgustare: Tena 2020 girata da Lanthimos

Ovviamente quello che Tena racconta è insopportabilmente falso. Nessuno è #senzaetà, purtroppo; nessuno si piscia sotto pensando con gioia “Che bello! Le mie gocce del solletico” e vedere il proprio corpo che diventa flaccido e rugoso non credo possa essere mai piacevole. Infine, questo voler mettere insieme l’incontinenza con il sesso è davvero la parte più ripugnante di tutta la grande menzogna e, in questo caso, è la parte che fa scattare il senso del disgusto in chi guarda, e grazie al disgusto ne ottiene l’attenzione.

Nuvenia: cantare inni gioiosi alla vagina

Dopo gli assorbenti per incontinenti ecco arrivare anche gli assorbenti per mestruazioni di marca Nuvenia, con un nuovo spot tutto centrato sull’organo sessuale femminile e, anche qui, affiancato da una campagna nobilitante intitolata “Viva la Vulva” che si propone di “cantare inni gioiosi” alla vagina. Prima considerazione: il termine “vulva” è terribile, ridicolo, foneticamente fastidioso – con tutte quelle v – e se proprio volevano osare allora era meglio il classico “viva la fica” da scritta sui muri. Seconda cosa: le mestruazioni, almeno dalla maggioranza delle donne sono vissute come un incubo, e quando provi dolori lancinanti o mal di testa feroci tutto vorresti fare tranne cantare inni alla vagina. Ma il commercial, in parallelo alla gioiosa campagna, rappresenta la vagina come fosse la simpatica protagonista di un cartoon; ce la mostrano travestita da pesca, da conchiglia, da pupazzo di lana e mentre fa capolino da un assorbente con ali attaccato ad una mutanda. In questo spot l’organo sessuale femminile, pur essendo giovane, viene del tutto separato anche solo dall’idea di sesso, e la novità dello spot non è quindi giocata sulla morbosità, ma sul rendere pubblico e visibile ciò che – solitamente – è privato e nascosto e quindi si basa sullo “shock”. La visione della vagina, sia pure in versione quasi comic è risultata però troppo scioccante alle tante persone che si sono infuriate sui Social e su internet in genere – il nostro è un popolo bacchettone, i “creativi” non lo sapevano? – dove lo spot è stato così tanto osteggiato che credo abbia avuto vita breve.

Le nuove pubblicità: Nuvenia e la vagina-conchiglia

Le nuove pubblicità create per disgustare: l’Arte del sedere

Dopo il “disgusto” e l’effetto “shock” passiamo al cattivo gusto, con il nuovo advertising Poltronesofà, dove continua l’interminabile pantomima degli artigiani, che dopo averci tormentato per anni con quel marchio tanto “italiano e di qualità” si convertono, tout court, alla volgarità. “L’Arte del Sedere” è il titolo ammiccante del nuovo commercial, che inizia con lo sguardo rapace di uomini al bar che osservano sederi femminili. Il doppio senso – tanto più cafone perché di bassa lega – fra sedere come verbo e sedere come sostantivo dovrebbe catturare l’attenzione delle persone, sedute sul divano davanti alla Tv fra un lockdown e l’altro e invogliarle ad acquistare un altro divano. Le donne si sono offese sui Social e Poltronesofà ha dovuto chiedere scusa. Forse adesso ripartiranno dalla Ferilli, sempre che non venga anche lei cooptata da Tena…

Cinismo e sarcasmo

Per finire, ecco la pubblicità di Exequia, marchio che appartiene a un’azienda big delle pompe funebri: proprio mentre ai normali morti si aggiungono quelli da Covid, Exequia decide di sfondare il muro dell’ipocrisia puntando su una pubblicità cinica, diretta e sarcastica, che viene distribuita principalmente tramite cartelloni pubblicitari e internet. Lo slogan principale è: “C’è chi bara e chi non bara” accompagnato dalla foto di una bara, a volte infiocchettata di rosso tipo confezione regalo, e poi: “Nel momento del lutto, attenti agli avvoltoi” con la fornitura completa di Mercedes, 4 valletti e “bara in omaggio” per soli 1250 euro. Ci sono anche delle varianti negli slogan, come “Regaliamo monolocale. Seminterrato” o “Garantiamo sonni profondi” e ancora “Fuoritutto! Ma tu resti dentro.” A me, non lo posso negare, questa pubblicità non dispiace. Gli slogan sono divertenti e tutto l’insieme è tanto sarcastico quanto economicamente competitivo, in un ambito volutamente cinico. Non a caso, fra le varie pubblicità citate, questa, pur parlando di morte, è l’unica che non si affida alla finzione. È l’unica che non si è fatta affiancare da campagne nobilitanti quanto ipocrite né ha dovuto chiedere scusa al pubblico infuriato.

Qualche volta, perfino nella pubblicità, intelligenza e non-ipocrisia si rivelano vincenti. Perché non applicare questo concetto anche a giornalismo, cultura e politica?

Colori aposematici e tenebra nei cuori

Quello che balza subito al mio occhio, tanto nelle elezioni presidenziali dei Disunited States of America quanto nel DPCM appena firmato (con o senza dedica?) da Conte, è l’uso un po’ insensato dei colori. Intanto mi domando perché mai il colore rosso sia ancora il colore dei repubblicani in America, quando il rosso è principalmente simbolo dell’esatto contrario, come, ad esempio, la classica bandiera rossa comunista, il colore della Cina e, fino al 1989, dell’Unione Sovietica. Non erano gli americani ad avercela a morte, già dal secondo dopoguerra, con i Reds, che era il modo in cui chiamavano e chiamano i comunisti (o chiunque non sia un fondamentalista ultra-conservatore?)

Senza parlare del fatto che, in una visualizzazione a due o anche tre dimensioni, il rosso è un colore dominante, mentre il blu, pur essendo simbolo di spiritualità o forse proprio per quello, è recessivo. In poche parole: il rosso spicca, ti entra nell’occhio, mentre il blu sparisce. Passiamo alla cartina italiana appena uscita dal nuovo DPCM, che suddivide le regioni per colori (che – attenzione – possono mutare di giorno in giorno); ancora il rosso, qui inteso aposematicamente come forte pericolo, insieme ad arancione e giallo. Prima c’era anche il verde, ma hanno deciso di accantonarlo: in ogni caso quello attuale è un bellissimo trio di colori da pappagallo, da uccello tropicale o da rana delle frecce ricoperta di curaro.

Colori aposematici e tenebra nei cuori: i colori italici dopo DPCM 4 njovembre 2020
Una delle varie cartine delle regioni italiane per colore, dopo il DPCM del 4/11/2020

Il colore nero

A me viene da reagire come i Rolling Stones: “Paint it black”, visto che il nero, inteso come colore delle tenebre, è quello che rappresenta meglio l’attuale mondo in cui qualche spirito demoniaco ha fatto sì che noi si debba vivere. Vedo tenebra nella mente di chi ci governa specificando, però, che gli oppositori fascio-populisti una mente nemmeno la possiedono.

Antico e bellissimo live degli Stones, con Brian Jones indimenticabile

Tenebra nelle nostre vite, costretti a un incomprensibile coprifuoco alle 22 (tutti su Facebook dopo Carosello), impossibilitati perfino ad entrare in banca dove abbiamo gli ultimi spicci perché si deve prendere appuntamento ma, ehi, tu provi a telefonare e nessuno ti risponde!!! Tipico loop italiano, paese molto poco working e per niente smart. E poi le stravaganze: perfino nelle regioni pericolosamente rosse i parrucchieri vanno bene ma i ristoranti no. Perché? Non si sa: just for the fuck of it.

Colori aposematici e tenebra nei cuori: impossibilitati a…

Siamo impossibilitati a utilizzare il nostro “meraviglioso sistema di salute pubblica” perché tutto ciò che non è Covid te lo rimandano alle calende greche: mammografia per sospetto tumore? Aspetta un anno oppure vai da un privato. Ma se i soldi per il privato mi mancano e nel frattempo il tumore crea metastasi? Allora muori, ma fallo in silenzio per favore, se no disturbi gli eroici medici che, fra un’intervista TV e l’altra curano il Covid.

I ragazzi sono impossibilitati a condurre una vita che abbia almeno un barlume di normalità, nonostante abbiano il diritto inalienabile di incontrare altri ragazzi (se non vogliamo crescere una generazione di sociopatici), di studiare in presenza, perché con la Dad diventeranno tutti ignoranti come sono ignoranti i giovani americani ma senza il vantaggio di essere americani. Ormai i ragazzi italiani sono i figli di un dio minore in un paese di vecchi egoisti e potenti, che per continuare la loro bella vita sono disposti a cancellare due generazioni di giovani, un po’ come fanno quei leoni maschi che uccidono i leoncini appena nati per eliminare possibili rivali.

Luoghi come Asl, circoscrizioni, commissariati, per non parlare delle varie aziende che gestiscono elettricità, gas, acqua e fibra: sono tutti diventati off limits, ormai veri blindspot. Era impossibile comunicarci già prima della pandemia, ma da quando c’è lo “smart working” riuscire a proferire verbo con i loro impiegati/operatori – quando sono in grado di parlare l’italiano – ha a che fare col mistero dei miracoli. Magari Bergoglio può illuminarci su come fare.

Per non parlare dell’impossibilità di incontrare amici se non su internet, oppure di notte, nei sogni (a quando un coprifuoco anche su quelli? Divieto di sognare dopo le ore xy e portare sempre la mascherina, anche in sogno, oppure multa) e molti di loro, quando riesci a incontrarli, nella realtà, si tengono un po’ a distanza – a due palmi dal culo, come diciamo a Roma – perché hanno paura, e non li biasimo di sicuro.

Uscire dalla foresta

Colori aposematici e tenebra nei cuori: Cuore di Tenebra

La mia esperienza di vita, se mi ha insegnato qualcosa (e non è detto) è che non tutti gli ostacoli li puoi scansare, non tutti i pericoli li puoi tenere a distanza rinchiudendoti in qualche buco, piccolo o grande che sia. Se proprio vuoi ritrovare la via che ti porti fuori dalla foresta, la foresta la devi attraversare. Ci devi passare in mezzo, con tutti i rischi che comporta, e se sarai coraggioso e fortunato, allora, forse, tornerai a casa. Perché di una cosa sono assolutamente sicura: la paura ti porta dritto nella tenebra più nera o aposematica che sia. Io non ho mai avuto paura del Covid ma il mio non è un merito, è solo un fatto. Vedo però la paura, la paura del virus, della gente, del domani quale che sia il domani, crescere, intorno a me e nel mondo, come una nebbia densa e tossica che ci avvolge, ci avvolge e piano piano penetra dentro, viene inoculata nel sangue e raggiunge il cuore. E quando raggiunge il cuore ti possiede, e alla fine resta solo l’orrore.

Da “Cuore di Tenebra” di Joseph Conrad:

“Sarebbero state ancora più impressionanti, quelle teste sui pali, se le facce non fossero state rivolte verso casa. Solo una, la prima che avevo visto, era voltata dalla mia parte. Non rimasi così sconvolto come potete pensare … Tornai deciso alla prima che avevo visto ed eccola lì, nera, rinsecchita, infossata, con le palpebre chiuse; una testa che sembrava dormisse in cima a quel palo, e con le labbra rattrappite e aride che mostravano una sottile e bianca fila di denti, sorrideva anche, sorrideva in continuazione a qualche interminabile e lieto sogno di quel sogno eterno.”

“Fear inoculum” canzone meravigliosa e anticipatrice dell’incubo, nonché ultimo lavoro dei Tool, del 2019, qui in un live
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