PrimaValle Epidemic 2

PrimaValle Epidemic 2. Madri amorevoli, prima della pandemia. “Quanno te pijo te corco.”

Estate 2019, pomeriggio inoltrato. Il sole brucia le piante e il piccolo giardino ha sete. Ettore sta innaffiando quando sente delle urla in strada. È una stradina piccola, isolata, ma lunga, e le macchine, spesso la percorrono a gran velocità.

Vede un bambino di sei, sette anni, che corre a piedi nudi sull’asfalto piangendo e urlando:

“Aiuto! Me pija, me pija!”

Dietro di lui, a una distanza di dieci, venti metri, arriva la madre: sui trent’anni, mediamente trippona, bionda e incazzata. Non corre, forse perché ha le scarpe coi tacchi o solo perché non ha nessuna voglia di correre. Anche perché sta sudando. Fino a un anno prima c’erano pini secolari a regalare ombra, ma adesso il nostro consorzio, che è anche il più merdoso e sfigato consorzio della terra li ha tutti estirpati.

La madre, però, cammina veloce gridando:

“Porcoddinci, mo’ quanno te pijo te corco. Giuro che te corco!”

PrimaValle Epidemic 2 storielle maleducate. Bambino che scappa dalla madre

Il ragazzino sente la madre avvicinarsi pericolosamente e la sua disperazione cresce:

“Ahhhhh! AAAhhhhh! Me pija, me pija!!!!!”

Il bambino è ormai arrivato alla fine della stradina, che sfocia in una rotonda da cui le macchine imboccano, senza mai rallentare, nonostante la loro visuale sia del tutto coperta da una di quelle campane verdi dell’AMA, da tempo strapiena di vetro, che nessun netturbino si ferma a svuotare ormai da anni. Un’auto lo sfiora e il bambino si blocca per qualche istante. La madre lo ha quasi afferrato, ma lui, rapidissimo, scarta e riprende a correre tornando indietro e continuando a urlare e a piangere. Lei si ferma un attimo. Scuote la testa. Fa caldo.

“Mo’ quanno te pijo t’ammazzo, porcoddue! Te strappo le gambe e te ce pijo a carci!” dice ad alta voce, ma senza urlare, rivolta più a se stessa che al figlio. Poi l’inseguimento ricomincia.

Madri amorevoli, durante la pandemia. “Il bambino nel carrello.

Sono in fila all’Eurospin. Siamo ancora al periodo della “prima vera stretta in seguito a Covid”, quando tutti cercavano di seguire religiosamente le regole del governo. Quindi ci fanno entrare in quattro, cinque per volta. In questi giorni, invece, ci mandano dentro in venti, trenta, con la stessa grazia con cui spingerebbero una mandria di mucche su di un carro merci. Vabbè. In fila dietro di me c’è madre con figlio di quattro, cinque anni al seguito, seduto nel carrello.

“Mamma, mi prude il naso”

“Grattatelo e rimettete la mascherina” risponde lei.

“Mamma, c’è tanto vento” si lagna il bambino.

“Allora infilate er cappello e stà bono” sibila la donna.

“Ma mamma, vojo scenne dar carello, m’annoio…” protesta lui sempre più insistente.

La madre ha smesso di rispondere. Io, che notoriamente sono curiosa come un gatto, mi giro fingendo di guardare il meraviglioso panorama e la vedo che si guarda intorno. Lei non lo sa, ma io la leggo come un libro aperto: sta di sicuro cercando un posto dove abbandonare il figlio scassacazzo senza che si possa risalire a lei.

PrimaValle Epidemic 2, Bambino nel carrello del supermercato

Finalmente entriamo. Dopo un’ora di attesa adesso ci sono anche i commessi dell’Eurospin che ci mettono fretta. Gli manca solo il pungolo elettrico, o forse ce l’hanno ma Conte non gli ha ancora dato il permesso di usarlo. Una voce melliflua ripete da quella che una volta era una radio “Sbrigatevi, così che gli altri in fila possano accedere il prima possibile” o qualcosa del genere. Come a dire:
“Adesso che hai fatto ‘n’ora de fila pija ‘n pacchetto de patatine, paga, e poi vattenaffanculo!”

Io, per non sentirli, mi metto le cuffie nelle orecchie con “Highway to Hell” degli AC/DC a tutto volume, canzone che mi sembra piuttosto adeguata al luogo. Riempio il carrello con quello che trovo e a un certo punto faccio per girare verso un altro corridoio ma qualcosa mi blocca il passaggio: in un incrocio fra file di scaffali emerge ingombrante e fiero il carrello col bambino dentro. Lui, ormai del tutto privo di mascherina, sembra lasciato lì, in balìa di se stesso e di tutti quelli che, se vogliono passare, devono praticamente strisciargli addosso. Mi guardo in giro ma non vedo la genitrice nei paraggi. Alla fine la madre deve aver deciso di abbandonarlo al Destino: “Se Covid ha da esse, allora sia!”

Guardo fisso il bambino negli occhi, e lui guarda nei miei. Un po’ tipo duello western, alla Sergio Leone. Avete presente “Per qualche dollaro in più” il duello finale fra Gian Maria Volonté e Lee Van Cleef : primo piano su Volonté, primo piano sugli occhi di Van Cleef, con la musichetta del carillon in sottofondo. Senza carillon, ma uguale: nessuno di noi abbassa lo sguardo, ma telepaticamente abbiamo un dialogo:

Sergio Leone, “Per qualche dollaro in più”

“Dove cazzo sta tu’ madre?” chiedo io.

“Boh? Quella stronza da mo’ che se n’è annata…”

“Perché non hai la mascherina?” lo incalzo.

“Perché mi prude il naso e lei non è più qui a rompermi i coglioni” dice il bambino infilandosi due o tre dita nelle narici.

“Tu lo sai, vero, che se starnutisci qui dentro, senza neanche la mascherina, gli altri ti salteranno addosso come iene sulla carcassa di uno gnu?”

“Che cazzo è uno gnu?” domanda il bambino.

“Ma non lo guardi National Geographic Channel alla tv?” domando stupefatta.

“Boh?! Mi madre me fa guardà Grande fratello Vip…”

“Allora lo sai cos’è uno gnu. Hai presente Valeria Marini?”

“Quella coi piedoni” dice lui sicuro.

“Bravo!” dico io. Ma la connessione telepatica cade, e capisco che per passare da lì ho solo due scelte: o appiccicarmi al bambino e alle sue caccole, o bypassarlo facendo il giro di Peppe. Senza il minimo dubbio scelgo Peppe.

 “La casa in Circonvalla però c’ha più stile”

J-AX (Più Stile)

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