Dal film Mattatoio numero cinque di George Roy Hill

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque di Kurt Vonnegut

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque è il romanzo capolavoro del grande Kurt Vonnegut. Parlando ancora di autori che sono in grado di raccontarci la guerra, di farcela sentire e capire, Slaughterhouse five, che parla della seconda guerra mondiale è molto diverso e molto più famoso del pur meraviglioso racconto sul Viet-Nam di Tim O’Brien, racconto di cui ho scritto nel mio ultimo articolo. La prima categoria di persone che, forse, dovrebbe leggere questo incredibile libro o anche rileggere, è formata dai tanti che ormai credono fermamente, in questo manicomio di mondo occidentale, che “la guerra è pace”, e quindi, più armi vengono inviate, ad esempio, agli ucraini, e meglio sarà per la pace attuale, loro e nostra. O ancora, più soldi regaleremo alla Nato e alle lobbies delle armi da guerra, più in pace e in salute saremo. In uno dei peggiori momenti, sia economici che sociali vissuti dal nostro paese, dopo più di due anni di pandemia che ha fatto arricchire pochi e distrutto tanti, invece di migliorare scuola, salute pubblica, welfare, aiutare tutti quelli che non appartengono alle classi privilegiate, il nostro Parlamento regala 14 miliardi alla Nato. Come ha detto Marco Travaglio: “Ai poveri che hanno fame gli darete un mitra, così se lo mangiano.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque. Foto di Kurt Vonnegut in un suo libro
Kurt Vonnegut

La maestria di Kurt Vonnegut

Dovrebbero leggerlo o rileggerlo anche tutti quelli che qui in Italia si considerano scrittori, giornalisti, che spesso non conoscono nemmeno la grammatica, categoria, quelli di scrittori, giornalisti e tanti altri che lavorano nell’editoria (editor, traduttori ecc.) che ormai appartiene ad una nicchia di potere, ormai in pianta stabile, per la serie “Hic manebimus optime”. Non c’è spazio per gli altri, per chi non appartiene alla nicchia. Se questo piccolo mondo antico e privilegiato almeno desiderasse provare a capire cosa significa scrivere, allora dovrebbero proprio leggere Kurt Vonnegut. Nello stile, nella narrazione, nelle finalità, nell’originalità e nella creazione di personaggi Vonnegut scrive come una divinità. La sua prosa è fluida e piena d’energia come un torrente di alta montagna, la sua grande capacità è quella di unire l’ironia al tragico senza mai sembrare sgradevole o volgare, il suo sound è come un electric jazz, tutti i suoi personaggi spiccano e prendono il volo, ed i protagonisti escono dalle pagine e te li ritrovi lì davanti, come fossero veri e vivi. Prendete Billy Pilgrim, da Mattatoio numero cinque: ha molto sia del principe Miškin di Dostoevskij che del clown di Boll eppure è unico, è solo ed esclusivamente Billy Pilgrim, un tipo di soldato gracile, mite, non particolarmente sveglio, buono, fuori di testa, il genere di soldato che in guerra dovrebbe morire dopo due giorni, ma invece sopravvive, grazie all’immaginazione, alla fantasia e a quei viaggi nel tempo oltre ai viaggi interstellari nel lontanissimo pianeta di Tralfamadore, che potrebbero essere veri oppure frutto della sua testa matta: Vonnegut non dice nulla su questo, lascia decidere il lettore.

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: Trafalmadore
Da Mattatoio numero cinque: il pianeta di Tralfamadore

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: So it goes

Fra i tanti brani che vorrei e mi piacerebbe scegliere, da Mattatoio numero cinque, inizierò con una scena post guerra, dove Billy è rinchiuso in un ospedale psichiatrico:

“L’uomo nel letto vicino a quello di Billy era un ex capitano di fanteria che si chiamava Eliot Rosewater. Rosewater era ammalato e stanco di esser sempre sbronzo. Fu Rosewater a far conoscere a Billy la fantascienza, e in particolare i libri di Kilgore Trout. Rosewater aveva sotto il letto una fantastica raccolta di paperback di fantascienza. Se li era portati in ospedale in un baule. Quei libri tanto amati e cincischiati mandavano un odore che permeava la corsia – un odore come di pigiami di flanella che non fossero stati cambiati da un mese, o di stufato irlandese. Kilgore Trout divenne l’autore vivente preferito di Billy, e la fantascienza diventò l’unico genere di storie che potesse leggere.

Rosewater era il doppio sveglio di Billy, ma lui e Billy avevano crisi simili. Entrambi avevano trovato la vita insensata, in parte a causa di quel che avevano visto durante la guerra. Rosewater, per esempio, aveva ucciso un pompiere di quattordici anni, che aveva preso per un soldato tedesco. So it goes. E Billy aveva assistito al più grande massacro della storia europea, il bombardamento di Dresda. So it goes. Ora stavano cercando di ritrovare il proprio io e il proprio universo. La fantascienza in questo senso era un grosso aiuto. Rosewater un giorno disse a Billy una cosa interessante a proposito di un libro che non era di fantascienza. Disse che tutto quello che c’era da sapere della vita lo si poteva trovare nei Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. «Ma quello ormai non basta più» disse Rosewater. Un’altra volta Billy sentì Rosewater dire allo psichiatra: «Credo che voialtri dovrete scovare un sacco di nuove meravigliose bugie, per far sì che alla gente non passi la voglia di vivere».”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: Dresda dopo il bombardamento del '45
Dresda dopo il bombardamento americano

L’infamia del bombardamento di Dresda

Del resto anche Vonnegut era quel genere di persona mite, piena di talento e priva di rabbia, dall’humor sottile ma costante, una caustica e satirica “macchina da guerra”, un ritmo pieno di idee brillanti, stravaganti, che eppure ci calzano, stranamente, come un guanto. Il suo libro è diventato un cult fra i libri anti-guerra prima di tutto, io credo, perché non è un’invettiva. Così come Ismahel ci racconta la guerra che Achab scatena contro Moby Dick, guerra in cui solo Ismahel potrà sopravvivere per raccontarla, senza aggiungere giudizi, anche Vonnegut – che nel ’45 era prigioniero di guerra dei tedeschi – è uno dei pochissimi sopravvissuti al terribile e infame bombardamento di Dresda fatto dagli americani, che rase completamente al suolo una città bella da togliere il fiato, dove morirono ben 135.000 persone quasi tutte civili (più o meno il doppio dei morti di Hiroshima, senza contare, certo, tutti i giapponesi morti orribilmente nei mesi successivi per le varie conseguenze delle radiazioni.) L’infamia americana qui sta anche nel fatto che Dresda era “città aperta” e, in conseguenza di questo status, non avrebbe mai dovuto essere sfiorata nemmeno da una mitragliata. Non c’era nulla di militarmente interessante da distruggere a Dresda, ma gli americani dimostrarono, ancora una volta, che a dispetto di ogni propaganda la guerra non sarà mai pace.

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: Frauenkirche distrutta nel bombardamento di Dresda
Dresda dopo il bombardamento: la Frauenkirche distrutta

La crociata dei bambini

Nel prossimo brano di Mattatoio numero cinque Billy è di nuovo in un ospedale, ma stavolta è un lurido campo di prigionia tedesco, dove viene aiutato dalle cure di un colonnello inglese:

“Il comandante degli inglesi venne all’ospedale a visitare Billy. Era un colonnello di fanteria fatto prigioniero a Dunkerque. Era stato lui che aveva dato la morfina a Billy. Nel campo non c’era un vero dottore, e così le faccende di medicina toccavano a lui. «Come sta il malato?» domandò a Derby. «Morto per il mondo.»

«Ma non morto davvero.» «No.» «Che bello non sentir nulla, ed essere considerato ancora vivo.» Derby a questo punto si mise tetramente sull’attenti. «No, no… per favore… resti lì. Con due uomini appena per ogni ufficiale, e tutti quanti malati, mi sembra che possiamo fare a meno delle solite formalità tra ufficiali e soldati.» Derby restò in piedi. «Lei sembra più vecchio degli altri» disse il colonnello. Derby gli disse che aveva quarantacinque anni: due anni più del colonnello. Il colonnello disse che gli altri americani si erano tutti rasati, che Billy e lui erano gli unici due ancora con la barba. «Sa,» disse «noi, qui, la guerra abbiamo dovuto immaginarcela, e io immaginavo che a farla fossero uomini abbastanza anziani come noi. Avevamo dimenticato che a fare le guerre sono i ragazzini. Quando ho visto quelle facce appena rase, è stato uno shock. “Dio mio, Dio mio,” mi sono detto «questa è la crociata dei bambini.”» Il colonnello domandò a Derby com’era stato fatto prigioniero, e Derby gli raccontò che era finito in mezzo a un gruppo d’alberi insieme a un centinaio di altri soldati spaventati. La battaglia durava da cinque giorni. I cento uomini erano stati spinti verso gli alberi dai carri armati. Derby descrisse l’incredibile atmosfera artificiale che i terrestri creano a volte intorno ad altri terrestri quando non vogliono che quei terrestri abitino più la Terra. Le bombe scoppiavano in cima agli alberi con un frastuono terribile, disse, facendo cader giù coltelli, aghi e lame di rasoio. Dei mucchietti di piombo rivestiti di rame si incrociavano tra gli alberi sotto gli scoppi delle bombe, sibilando via molto più veloci del suono. Un sacco di gente era stata ferita o uccisa. So it goes. Poi il bombardamento cessò, e un tedesco nascosto, con un altoparlante, disse agli americani di metter giù le armi e di venir fuori dagli alberi con le mani sopra la testa, se no avrebbero ricominciato a bombardarli e non avrebbero smesso finché non fossero stati tutti morti. Così gli americani misero giù le armi, e uscirono dagli alberi con le mani sopra la testa, perché volevano seguitare a vivere, se possibile.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: la passione dell’America per la guerra

 La guerra non ha morale, si sa, ma fin dagli inizi, quando l’America era ancora una colonia inglese, bisogna proprio dire che gli americani e la guerra andarono sempre in perfetto accordo, come fratelli gemelli, come pezzi di un puzzle che si incastrino perfettamente fra loro: videro quelle terre meravigliose e per prendersele tutte fecero un genocidio, quello dei nativi americani, genocidio che, per qualche strano motivo non li consegnò alla storia come mostri e nemmeno come “persone non esattamente perbene”. Perfino nella seconda guerra mondiale, dove il diavolo era evidentemente il nazismo, gli americani, entrati tardi in una guerra che non li interessava troppo, la utilizzarono per fortificare a livelli mai visti il proprio esercito e, una volta risultati vincitori, si presero più della metà del mondo. Non si preoccuparono mai di far spargere troppo sangue ai propri soldati, sangue che continuarono a spargere insensatamente anche in seguito, in tutte le assurde guerre intraprese, fra cui quella contro il Viet-Nam del nord, durata ben più della guerra di Troia. Però usarono “la vita dei propri soldati da salvare” come scusa ufficiale quando testarono l’atomica sui civili giapponesi.

Guerra e letteratura. Bambina sfigurata dall'atomica su Hiroshima
Bambina sfigurata ad Hiroshima

La dichiarazione del Presidente americano Truman dopo aver lanciato l’atomica su Hiroshima

Basta leggersi la dichiarazione da brividi che fece Truman al suo popolo dopo aver sganciato la prima atomica, quella su Hiroshima (bomba a cui avevano dato un nome, e per di più un nome da cartoon “Little boy”, Ragazzino, un po’ come Mickey Mouse o Donald Duck) per capire quanto andassero fieri di quello che avevano fatto:

“Sedici ore fa un aereo americano ha sganciato una bomba su Hiroshima, un’importante base militare giapponese. Quella bomba era più potente di ventimila tonnellate di trinitrotoluene. Aveva una potenza duemila volte superiore a quella del «Grand Slam» inglese, la più grande bomba mai usata nella storia militare. I giapponesi hanno cominciato la guerra con un bombardamento dal cielo, a Pearl Harbor; ora sono stati abbondantemente ripagati. E non è ancora tutto. Con questa bomba abbiamo creato un’arma nuova e rivoluzionaria, da aggiungere alla potenza crescente delle nostre forze armate. Ora queste bombe, nella loro versione attuale, sono in corso di produzione, e se ne stanno creando versioni ancor più potenti. È una bomba atomica. È un congegno in cui sono imbrigliate le forze fondamentali dell’universo. Le energie da cui il sole deriva il proprio potere sono state scagliate contro coloro che hanno scatenato la guerra…”

L'atomica su Hiroshima, 6 agoisto 1945
6 agosto 1945, la prima atomica sganciata dall’America su Hiroshima

Sono diventato il Tempo, colui che distrugge i mondi

A me la dichiarazione di Truman fa venire in mente una canzone di fine anni ’90, di un gruppo di nome Fluke, che dice: “Baby’s got an atom bomb, a motherfuckin’ atom bomb, twentytwo megatons, you’ve never seen so much fun” Tradotto: La ragazza ha una bomba atomica, una cazzo di bomba atomica, ventidue mega tonnellate, non ti sarai mai divertito così tanto. Invece a Oppenheimer, che l’aveva creata, l’atomica in azione fece venire in mente una citazione dalla Bhagavad-Gita: “Sono diventato il tempo, colui che distrugge i mondi” (anche se Oppenheimer utilizzò una traduzione sbagliata, e del tutto in contrasto con le nozioni basilari dell’induismo, dicendo -sono diventato Morte- invece che -sono diventato il Tempo. Ma, insomma, bisogna comunque apprezzare la buona volontà: dopo tutto Oppenheimer era un fisico, non uno studioso di sanscrito e indologia)

Billy e gli altri prigionieri escono dal rifugio

Ma tornando a Vonnegut, nella realtà lui e pochi altri soldati americani prigionieri a Dresda sopravvissero perché si trovavano all’interno della parte più sotterranea del mattatoio, il reparto 5, uno dei pochi angoli della città non toccati dal terribile incendio:

“«Dresda venne distrutta la notte del 13 febbraio 1945» cominciò Billy Pilgrim. «Noi uscimmo dal nostro rifugio il giorno dopo.» Raccontò a Montana delle quattro guardie che, nel loro stupore e nel loro dolore, somigliavano a un quartetto di dilettanti. Le parlò del macello con tutti i pali di cinta spariti, con i tetti e le finestre andati; le disse di quelle cose che parevano piccoli ceppi, e che erano persone rimaste prigioniere dell’incendio. So it goes. Billy le disse che cos’era accaduto agli edifici che prima formavano come delle scogliere intorno al macello. Erano crollati. Il legno si era consumato, le pietre erano cadute e si erano ammucchiate una contro l’altra fino a formare delle basse dune graziose.

«Era come sulla luna» disse Billy Pilgrim. Le guardie dissero agli americani di mettersi in file di quattro, ed essi ubbidirono. Li fecero marciare di nuovo verso il recinto per i maiali in cui avevano vissuto finora. I muri erano ancora in piedi, ma le finestre e il tetto erano andati giù e dentro non c’era altro che cenere, pezzetti informi di cibo e frammenti di vetro. A quel punto ci si rese conto che non c’era più né cibo né acqua, e che i sopravvissuti, se volevano continuare a sopravvivere, dovevano mettersi a camminare sulla superficie lunare, scavalcando una duna dopo l’altra. Il che fecero. Le dune erano lisce solo a distanza. Quelli che vi si arrampicarono sopra impararono che erano delle cose frastagliate e infide, calde al tocco, spesso instabili, pronte, quando venivano smosse certe rocce grosse, a rotolare ancor più giù e a formare dune più basse e più solide. Mentre la spedizione attraversava la luna nessuno parlò molto. Non c’era nulla da dire. Una cosa era chiara: nella città dovevano esser proprio morti tutti, e se c’era ancora qualche anima viva, rappresentava un’incrinatura in questa immagine. Non c’erano altri lunari. Dei caccia americani calarono sotto il fumo per vedere se qualcosa ancora si muoveva. Videro Billy e gli altri; li spruzzarono di proiettili di mitragliatrice, ma li mancarono. Poi videro dell’altra gente che si muoveva lungo la riva del fiume e spararono anche a loro. Ne colpirono alcuni. So it goes.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: la guerra contro i nazisti finisce

Una delle parti più commoventi di un libro che non è nato né per propagandare qualcosa, né per far commuovere o per far incazzare è la scena in cui Billy, appena finita la guerra ma ancora a Dresda, mentre si gode finalmente un momento di serenità, disteso al sole, si accorge della sofferenza dei cavalli che trainano il carro su cui stanno lui e gli altri americani e scoppia a piangere a dirotto, come Nietzsche a Torino che piange abbracciando il cavallo frustato dal vetturino:

“Ma i russi non erano ancora arrivati, neppure ora, due giorni dopo che la guerra era finita …

Quando giunsero al mattatoio Billy restò sul carro, a prendere il sole. Gli altri andarono in cerca di souvenir. In seguito, i tralfamadoriani avrebbero consigliato a Billy di concentrarsi sui momenti felici della vita, e di ignorare quelli tristi, di fissare lo sguardo solo sulle cose belle mentre l’eternità si fermava. Se gli fosse stato possibile realizzare questo tipo di selettività, Billy avrebbe scelto forse quel momento in cui se ne stava a sonnecchiare al sole nel retro del carro …

Il suo sonnecchiare si fece più leggero quando udì un uomo e una donna che parlavano in tedesco, in un tono di commiserazione. Stavano dolendosi liricamente con qualcuno. A Billy, prima che aprisse gli occhi, parve che quello avrebbe potuto essere il tono usato dagli amici di Gesù mentre ne tiravano giù il corpo devastato dalla croce. So it goes. Billy aprì gli occhi. Un uomo di mezza età e sua moglie stavano parlando sommessamente ai cavalli. Avevano notato quel che era sfuggito agli americani: che le bocche dei cavalli, ferite dai morsi, sanguinavano, che gli zoccoli erano rotti, cosicché ogni passo doveva essere un tormento, e che i cavalli erano mezzi morti di sete. Gli americani avevano trattato il loro mezzo di locomozione come se non fosse più sensibile di una Chevrolet a sei cilindri.

I due si mossero lungo il lato del carro, verso Billy, che guardarono con un’aria di condiscendente rimprovero; verso Billy Pilgrim, che era così lungo e fiacco, così ridicolo nella sua toga azzurra e colle sue scarpe argentate. Non avevano paura di lui. Non avevano paura di nulla. Erano medici: ostetrici tutti e due …

Tentarono di parlare a Billy Pilgrim in polacco, dato che era vestito in modo così tanto clownesco e che i poveri polacchi erano gli involontari buffoni della seconda guerra mondiale. Billy chiese loro in inglese cosa volessero, e loro lo rimproverarono subito, in inglese, a proposito dei cavalli. Fecero uscire Billy dal carro e gli fecero dare un’occhiata agli animali. Quando Billy vide in che stato erano i loro mezzi di locomozione, scoppiò in lacrime. Non aveva mai pianto per nient’altro, durante la guerra. In seguito, quand’era ormai un ottico di mezza età, a volte avrebbe pianto, quietamente e per conto suo, ma mai più così rumorosamente. Ecco perché l’epigrafe di questo libro è una quartina tratta da una famosa canzoncina natalizia. Billy piangeva molto poco, anche se gli capitò spesso di vedere cose per cui valeva la pena di piangere, e sotto questo aspetto, per lo meno, somigliava al Cristo della canzoncina:

The cattle are lowing, The Baby awakes. But the little Lord Jesus No crying He makes.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: ritratto di Kurt Vonnegut
Ritratto di Kurt Vonnegut

So it goes. Così va la vita

Non ho molte speranze riguardo alla specie umana, e dubito che possa cambiare idea chi pensa una cosa così evidentemente priva di senso come l’idea che spendere miliardi in armamenti possa essere funzionale alla pace. So it goes. Così va la vita. Ma se almeno una, o due persone, grazie a questo articolo leggeranno questo libro e lo ameranno, sarà qualcosa. Così va la vita.

Saggia tshirt su Kurt Vonnegut
Traduzione: Leggi Kurt Vonnegut Ascolta David Byrne Sii un buon essere umano
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