IL VENTO E’ MIA MADRE

Proud Native Girl by Sandra Azzaroni

Il vento è mia madre è un libro scritto da Bear Heart, un nativo americano della tribù dei Creek (il loro vero nome era Muskogee, ma gli europei li chiamarono “gli Indiani che vivono fra i torrenti” da cui Creek, cioè torrente) che forse è stato uno degli ultimi veri “uomini-medicina” che si sono tramandati da secoli oralmente e soprattutto con l’esperienza la loro conoscenza eccezionale, una conoscenza di cure molto potenti collegata strettamente alla Natura, e, nel particolare, alla Natura specifica della loro terra. Bear Heart, nato nel 1918, si chiamava Nokus Feke Ematha Tustanaki che significa, appunto, Bear Heart in inglese o Cuore d’Orso in italiano.

I racconti dell’uomo-medicina, che andò a combattere per gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, oltre a parlare della sua vita e del suo popolo nel periodo che va dagli anni ’30 ai ’60, tornano indietro nel tempo.

Il vento è mia madre

L’impianto sociale delle tribù native

Il suo racconto ci narra di come era la vita dei nativi grazie all’impianto sociale delle tribù indiane, prima di essere completamente schiacciati dagli europei e poi dagli americani (in realtà sempre gli stessi, visto che un nome non può cambiare un popolo più di quanto non possa farlo il colore di una bandiera.). L’impianto sociale delle tribù native era ciò che le trasformava in autentiche famiglie allargate e questo impianto era basato sull’appartenenza alla loro terra e sul rispetto assoluto nei confronti della terra e della natura. Tuttavia potremmo imparare ancora molto dagli insegnamenti degli Indiani d’America: a partire dal loro particolare approccio nei confronti della vita e dal modo di correlarsi con la Terra e con gli altri esseri viventi, che è decisamente l’opposto di quello che pratica la società occidentale, che ha anche la spocchia di chiamarlo “il migliore dei mondi possibili”. Cuore d’Orso è stato uno degli ultimi Nativi americani educati secondo la tradizione degli uomini-medicina che desideri condividere la sua saggezza, senza mai un briciolo di arroganza o di supponenza.

Il vento è mia madre: il genocidio degli indiani

Il momento più toccante del libro è quando parla di come, nel 1830 circa, gli indiani appartenenti alla sua tribù e ad altre vennero scacciati dalle proprie terre e massacrati. Nei confronti di tutti i nativi americani, gli americani hanno compiuto un vero e proprio genocidio. Complimenti agli americani, quindi, perché portare a termine un genocidio non è facile. Hitler non c’è riuscito. Gli Stati Uniti d’America sono l’unico paese al mondo che sia riuscito a compiere un genocidio e a sganciare ben due bombe atomiche sulla popolazione civile (giapponese), e adesso hanno il coraggio di presentarsi a un mondo sempre più supino e subalterno come “i buoni”. Ed ecco quindi come “i buoni” hanno sparso la loro bontà, prima di iniziare ad “esportare democrazia”. Bear Heart racconta il massacro dei suoi antenati in prima persona, e questo ci aiuta a capire qual era e quanto fosse forte il sentimento dei nativi nei confronti di antenati e di altri nativi.

Il sentiero delle lacrime, più noto come The Trail of Tears

Il vento è mia nadre: Indiani Muskogee in Oklahoma nel 1833
Il vento è mia madre: Indiani Muskogee in Oklahoma nel 1833

“Nel 1832 il presidente Andrew Jackson firmò una legge [Indian Removal Act, una delle leggi più fasciste che siano mai state create in un qualsiasi paese del mondo, a maggior ragione se si considera che fu fatta per togliere ai Cherokee le loro terre che erano piene d’oro; inoltre Jackson fu il primo presidente americano del Partito democratico…vien da dire “buon sangue non mente”N.d.A.]. Questa legge costrinse le tribù native ad abbandonare il sud-est degli Stati Uniti e fu allora che i Muskogee vennero cacciati assieme ai Chickasaw, ai Choctaw e ai Cherokee. Percorremmo a piedi tutto il tragitto che separava le nostre case natali dal territorio che il Governo ci aveva assegnato, il cosiddetto Territorio indiano, che in seguito sarebbe stato battezzato Oklahoma, una parola choctaw che significa “terra dell’uomo rosso”. La storia ha registrato questo avvenimento, ma non tutte le emozioni che lo accompagnarono, quello che il nostro popolo provò, quello che fu costretto a lasciarsi alle spalle, le difficoltà che dovette superare. Fu un trasferimento forzato: non avevamo altra scelta. Se qualcuno di noi rifiutava di abbandonare le proprie case, i soldati strappavano un bambino dalle braccia della madre e gli fracassavano la testa contro un albero, dicendo: “Se non ve ne andate, tutti gli altri bambini faranno la stessa fine”. Alcuni soldati sventrarono con le loro sciabole delle donne incinte. Fu così che la nostra gente fu costretta ad abbandonare la propria terra.

Acquarello su Trail of tears
Il vento è mia madre: acquarello su Trail of Tears

La nostra gente fece a piedi camminando dall’alba al tramonto, circondata come un gregge da soldati a cavallo. Quando i nostri vecchi cadevano, morti, non ci veniva concesso nemmeno il tempo necessario per offrire loro una sepoltura decente. Molti dei nostri cari vennero gettati nei burroni; i loro corpi furono coperti soltanto da qualche frasca, perché ci impedivano di fermarci. Fu un lungo cammino, la gente era sfinita, i bambini non riuscivano a tenere il passo degli adulti, quindi questi erano costretti a portarli in braccio o sulla schiena. Erano talmente sfiniti da non avere la forza di reggerli, tanto che alcuni bambini e madri dovettero essere abbandonati. Queste sono solo alcune delle avversità che il nostro popolo dovette sopportare lungo il cammino e queste ingiustizie provocarono molti lamenti e pianti. Quella strada venne da noi battezzata “il sentiero delle lacrime”.

Il vento è mia madre: the trail of tears
The trail of tears photo by the Indigenous Foundation

Un uomo che da bambino aveva percorso quel lungo cammino mi ha raccontato la storia. A un certo punto del percorso, la tribù con quei pochi cavalli che aveva venne caricata su dodici battelli decrepiti per attraversare il Mississipi. Il battello su cui era imbarcato cominciò ad affondare: lui riuscì ad afferrare la sua sorellina, montò a cavallo e puntò verso la riva, mentre i soldati lo inseguivano perché gli Indiani non avevano il permesso di montare a cavallo. Cercò di andare più veloce, ma il cavallo doveva nuotare ed era terrorizzato dall’acqua, per cui avanzava lentamente. L’uomo aveva visto quanto potevano essere brutali i soldati e sapeva che i battelli erano stati sovraccaricati intenzionalmente per farli affondare con il loro carico umano, perciò cercò di fuggire. All’improvviso qualcuno sbucò dietro di lui su un altro cavallo e gli strappò dalle braccia la sorellina. -Quando raggiunsi la riva piangevo disperatamente, perché ero convinto che fosse stato un soldato a prendersi la mia sorellina, ma poi mi accorsi che era stato uno dei nostri che voleva aiutarmi-. Molti di noi morirono, mentre attraversavano il Mississippi. Quando i sopravvissuti raggiunsero la riva erano completamente inzuppati e faceva molto freddo, perché era inverno. Qualunque fosse il tempo che incontravano, dovevano andare avanti, camminavano fra la neve senza scarpe. La mia trisavola si congelò i piedi, poi subentrò la cancrena che le fece staccare letteralmente i piedi dalle gambe. Ora è sepolta a Fort Gibson, in Oklahoma, ma sulla sua tomba non c’è scritto alcun nome; molti altri come lei giacciono sepolti in tombe senza nome. Non so quale sia la sua tomba, so solo che si trova in mezzo a quelle.

Il vento è mia madre: Bear Heart

Anche quando arrivammo sul posto assegnatoci, i problemi non finirono. I nostri bambini, di tutte le età, vennero strappati alle famiglie e furono chiusi in collegi, nei quali non potevano parlare la loro lingua, ma venivano obbligati a parlare inglese. Erano scuole governative: i bambini dovevano entrare e uscire dalle aule marciando, dovevano rifarsi il letto, tagliarsi i capelli corti (contro le loro tradizioni e religioni) comportarsi come se fossero in un campo militare. Questi sono solo alcuni dei soprusi che abbiamo dovuto sopportare. Eppure, ancora oggi, nelle nostre cerimonie la nostra gente prega per il bene di tutta l’umanità, che questa sia nera, gialla, rossa o bianca. Com’è possibile, avendo alle spalle un passato del genere, che la nostra gente esprima un tale amore?”

Il vento è mia madre: Oklahoma

Per quanto riguarda l’Oklahoma, rimase territorio indiano per poco tempo. Con la guerra di secessione, appartenendo l’Oklahoma al sud, con la sconfitta dei confederati gli americani vincitori ne approfittarono per togliere buona parte del territorio agli indiani. Poi, nel 1870, con la costruzione della ferrovia, il governo favorì fortemente la colonizzazione del territorio (non è impressionante vedere come la parte peggiore della storia si ripete all’infinito?).

Col tempo la maggior parte dei nativi americani, diventati davvero pochi, sono stati infilati in piccole briciole di terra chiamate riserve, e se all’inizio hanno cercato di mantenere in vita le proprie tradizioni, piano piano in molti se ne sono decisamente distaccati. Quell’impianto sociale così importante era stato strappato e fatto a pezzetti dai “buoni”. Negli ultimi decenni, tranne rare eccezioni, queste riserve sono diventate o ghetti dove i nativi vivono in miseria e disperazione o piccoli angoli di “capitalismo” dove trionfano i casinò e quello che rimane degli antichi usi e costumi indiani sta nei negozi di souvenir.

#nativi americani #genocidio indiani #The Trail of Tears #Il governatore della Florida De Santis dice “Non è vero che gli Stati Uniti sono stati costruiti su terre rubate” #la storia si ripete

Philip K. Dick e Barbie

Nel titolo “Philip K.Dick e Barbie” mi riferisco proprio a Lei, la Barbie bambola nata biondissima con occhi azzurri e ben presto raggiunta da un piccolo esercito di sorelle uguali ma con colori diversi: Barbie dai capelli platino, bruni, rossi, Barbie afro e asiatiche. E poi, la Barbie maschio, cioè Ken, il bellissimo Ken, eterno fidanzato di Barbie. La data di nascita di Barbie è il 1961, e considerando il miliardo di bambole vendute da allora ad oggi, 2023, possiamo senz’altro dichiararla Sua Maestà la Regina delle Bambole.

Philip K. Dick e Barbie: la classica Barbie bionda
La tipica Barbie bionda

Philip K. Dick e Barbie

Ma la domanda che rimane è: che cosa aveva a che fare Dick con Barbie? Un colpo di fulmine, una cartolina dal giardino dell’Eden, una sorta di epifania che gli aveva mostrato con chiarezza come la figura sexy e il visetto innocuo di un gruppo di bambole diverse solo nei vestiti erano forse l’altra faccia del Male, ben mimetizzato… Di sicuro era qualcosa di così potente da ispirargli la creazione di uno fra i suoi racconti più belli (I giorni di Perky Pat) seguìto da quello che oggi chiameremmo uno “spin off” estrapolato da Perky Pat, e nello specifico “Le tre stimmate di Palmer Eldritch”, romanzo allucinato e indimenticabile.

Da Barbie a Perky Pat

“… Suo padre e sua madre, intanto, lo disturbavano discutendo rumorosamente con i Morrison dall’altra parte del tramezzo. Giocavano di nuovo a Perky Pat. Come sempre.

Quante volte avrebbero oggi ripetuto quello stupido gioco? Si domandò Timothy. Infinite, probabilmente… E non erano gli unici: aveva sentito dire dagli altri ragazzi, del suo pozzo e di altri, che anche i loro genitori trascorrevano la maggior parte della giornata giocando a Perky Pat, e talvolta andavano avanti fino a notte inoltrata.

… No, nessun carrello – obbiettò la signora Morrison – È sbagliato. Lei dà la sua lista al droghiere e pensa a tutto lui.

Questo succede solo nei piccoli negozi del quartiere – spiegò sua madre – Ma questo è un supermercato, si capisce dall’occhio elettronico alla porta.

Io sono sicura che tutte le drogherie avevano l’occhio elettronico alla porta – insistette ostinata la signora Morrison…

Vadano tutti a quel paese, pensò Timothy, usando l’espressione più forte conosciuta da lui e dai suoi amici. E poi, che diavolo era un supermercato?

(da “I giorni di Perky Pat” di P.K. Dick)

Philip K. Dick e Barbie: la prima Barbie creata nel 1961
La prima Barbie creata nel 1961

Philip K. Dick e Perky Pat

 Lo stesso Dick ci racconta come fosse la sua vita nel 1963, con la prima di cinque mogli e quattro figlie:

“L’idea di Perky Pat si è presentata alla mia mente quando ho visto le mie figlie giocare con le Barbie. Chiaramente quelle bambole dall’anatomia iper-sviluppata non avrebbero dovute esser create per i bambini. Barbie e Ken erano due adulti in miniatura, a cui bisognava comprare abiti nuovi all’infinito perché continuassero a vivere nel lusso a cui erano abituati. Ebbi visioni di Barbie che pretendeva pellicce di visone; avevo paura che mia moglie mi trovasse con Barbie e mi sparasse. Avevo a che fare di continuo con lei e i suoi costosi acquisti, e ho sempre pensato che almeno Ken avrebbe dovuto comperarsi i vestiti con i suoi soldi.”

I primi anni ’60 furono forse il periodo più prolifico letterariamente parlando per Dick. La moglie lo costrinse ad andare a lavorare fuori casa, e lui affittò una specie di baracca in campagna a 25 dollari al mese, dove si distraeva ascoltando il campanaccio delle pecore e sentiva la mancanza delle figlie. Avrebbe tanto voluto veder apparire dalla porta Barbie, ma invece la sua immaginazione infinita e fortemente contagiata dall’angoscia creò Palmer Eldritch

Philip K.Dick e Barbie
Philip K. Dick

La faccia metallica di Palmer Eldritch 

“Un giorno camminavo sulla stradina di campagna, diretto alla mia baracca, con la prospettiva di scrivere per otto ore. Alzai gli occhi al cielo e vidi una faccia. Non la vidi realmente, però c’era, e non era una faccia umana; era un immenso volto che esprimeva la perfetta malvagità. Era immensa; riempiva un quarto di cielo. Aveva scanalature vuote al posto degli occhi. Era metallica e crudele e, cosa peggiore di tutte, era Dio.”

Dick continuò spiegando che Perky Pat rappresentava la seduzione femminile, l’eterno femminino, e quindi nasceva dal desiderio, mentre Palmer Eldritch nasceva dalla paura provata da bambino quando il padre abbandonò lui e sua madre: di conseguenza emergeva dall’angoscia più profonda. Ma Dick, come i grandi scrittori, come tutti i geni, è sempre stato umile. In realtà, infatti, c’è molto di più in entrambe le opere.

Philip K. Dick e Barbie: Perky Pat e Palmer Eldritch

Nei giorni di Perky Pat troviamo una Terra post guerra nucleare, soffocata da una temperatura invivibile e un Sole killer. Gli umani che in Perky Pat vivevano ancora su Terra, sia pure in loculi simili a tombe, in Palmer Eldritch vivono su Marte, comunque rinchiusi nei loro buchi-rifugio nel terreno, sempre in fissa col loro gioco, ormai tristemente abituati all’ambiente, reso tale dalle bombe nucleari molto potenti degli extraterrestri che hanno vinto la guerra contro gli umani. Extraterrestri che però continuano a gettare agli umani più disperati pacchi pieni di cibo, di banconote e di roba tecnologica, utile per ricreare e ricostruire, infatti sono chiamati “benefattori” dalla gente dei rifugi sottoterra; gli umani, però, smontano tutto ciò che è tecnologia e lo utilizzano per giocare a Perky Pat, creare cancelli elettrici con telecomando, macchine sportive ed elettrodomestici, cucire abiti, e rendere sempre più perfette le loro “composizioni”, ovvero il piccolo meraviglioso mondo della capricciosa bambola e del suo fidanzato, il tutto in una via di mezzo fra un’anticipazione dei giochi di ruolo e il classico, antico gioco infantile con le bambole.

L’atmosfera di Perky Pat è triste, squallida, insensata, ma il feeling che regna in Palmer Eldritch, dove in parte ritroviamo alcuni dei personaggi di Perky Pat, è molto peggio. C’è solo violenza, sopraffazione, e l’unica speranza di un domani migliore è affidata alla droga. Il gioco con le bambole continua, ma il gioco da solo ormai non basta più. Il divertimento è affidato a una droga, il Can-D (Candy, caramella) grazie a cui gli umani credono davvero di essere Perky Pat e fidanzato e di vivere una vita normale su un pianeta normale nei panni di giovani belli e pieni di soldi. In questo modo gli umani veramente ricchi che vivono su altri pianeti ancora abitabili riescono a spremere anche i poveri abitatori di tunnel polverosi.

Ben presto scoppia una sorta di guerra fra i due principali capitalisti-spacciatori: da una parte quelli che vendono il Can-D e creano tutto ciò che può servire a Perky Pat; dall’altra c’è Palmer Eldritch che insieme ad una nuova bambola spaccia una droga tanto pazzesca quanto pericolosa, il Chew-Z (Chewzy, gommosa). La differenza fra i due stupefacenti è fondamentale: il Chew-Z è quella che chiamano una droga “di traslazione”, ovvero una droga che “ti riporta” in qualsiasi parte del tuo passato tu abbia vissuto qualcosa di importante che non sei riuscito a concludere, o ti fa incontrare qualcuno di molto importante che hai perso, qualcuno che vuoi assolutamente rivedere perché non hai possibilità di farlo nella realtà. Traslazione che ti porta ad un’astinenza terribile e che, allo stesso tempo, dà senso a una vita fatta di nulla. Un senso finto a cui però nessuno riesce a resistere.

Philip K. Dick e Barbie: Barbie e Ken
Philip K. Dick e Barbie: Barbie e Ken

Palmer Eldritch, un Dio uscito dall’Inferno

Passare ad una droga diabolica tramite una bambola Barbie, ecco qualcosa che solo la mente di Dick, geniale e abituata agli specchi dell’inferno, avrebbe potuto immaginare.

“Mi hai svegliato – disse a Anne, rendendosi conto di quello che lei aveva fatto; provò un enorme, rabbioso disappunto. In ogni caso, la traslazione per il momento era finita, ed era tutto…

“È stato bello? – chiese Anne, comprensiva. Toccò la tuta di lui- è venuto a far visita anche al nostro rifugio. L’ho comprato. Quell’uomo con quei denti e quegli occhi strani”

“Eldritch, o un suo simulacro – gli dolevano le giunture, come se fosse stato seduto sulle gambe per ore, ma vide che al massimo era passato un minuto – Eldritch è dappertutto – disse ad Anne – Dammi il tuo Chew-Z – le disse.”

“No.”

Lui si strinse nelle spalle, nascondendo il disappunto, l’acuto effetto fisico dell’astinenza…

“Dimmi com’è” disse Anne.

Barney disse: È un mondo illusorio nel quale Eldritch occupa le posizioni-chiave, come una divinità; ti offre la possibilità di fare quello che in realtà è impossibile: ricostruire il passato come avrebbe dovuto essere. Ma è difficile anche per lui. Ci vuole tempo” Quindi tacque; rimase seduto a strofinarsi la fronte dolorante.

“Vuoi dire che non si può, come nei sogni, allungare la mano e prendere ciò che si vuole?”

“È assolutamente diverso dal sogno – era peggio, si rese conto – più che altro una specie di inferno – pensò – Sì, è così che dev’essere l’inferno: ripetitivo e inesorabile”…”

(da “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” di P.K.Dick) 

   

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

CHE COSA VUOL DIRE PER TE ESSERE DONNA?

“Che cosa vuol dire per te Essere Donna?” è una domanda da porre tanto alle donne quanto agli uomini. La storia della Donna si può riassumere facilmente: negli ultimi millenni la Donna è stata considerata alla stregua di un animale, di una pecora che finché produce lana e latte può essere tollerata, e proprio come un animale, fino a poco fa non ha avuto alcun diritto. Nonostante l’angolo buio e punitivo in cui è stata relegata, la Donna, piano piano, come le formiche che portano con estrema fatica piccoli pezzi di cibo al formicaio, briciole, pezzetti di foglie, di fungo, di insetti morti, tutte cose che pesano più di chi le trasporta sulla schiena, è riuscita a portare nel suo “formicaio segreto” nuove leggi, nuovi accessi alla vita pubblica, alla società, nuovi riconoscimenti, che, sempre con estrema lentezza, hanno creato un piccolo buco nel muro di gomma del patriarcato.

E grazie a quel buco, che col tempo si è allargato, gli obiettivi conquistati dalle donne sono stati grandi, ma il percorso verso la parità è ancora lungo.

Che cosa vuol dire per te essere Donna? Donne discriminate e/o umilite

Che cosa vuol dire per te essere Donna?

Purtroppo la cosa peggiore che ancora manca a noi donne è la connessione con noi stesse. Ci hanno insegnato che l’uomo deve sempre mostrare forza e superiorità e la donna deve sempre essere condiscendente, conciliante, disponibile, docile: questo non ha portato niente di buono né all’uomo né alla donna. Sono tante le donne che emulano il potere maschile per farsi strada in campi come la politica: cipiglio sempre più incazzato, pugno di ferro, vecchi mantra ormai fuori dalla storia urlati a loop, tipo “Dio patria famiglia”, oppure, donne semplicemente finte, manipolatrici, pronte a mostrare la vera faccia solo quando ti stanno pugnalando alla schiena (ecco due esempi di quelle che io chiamo Donne-uomo).

Così come sono tante le donne che trovano lavori importanti e molto ben retribuiti succhiando il sangue dell’uomo, in quanto mogli, figlie o amanti di uomini di potere (le classiche Donne-vampiro). E allo stesso tempo sono molte le donne che vivono chiuse e perse dentro a realtà orribili, e non credono più che esista una via di fuga (loro sono le Donne-vittima).

In questo biblio-trip incontreremo tanti tipi di Donna, brevi immagini prese dal teatro, da libri, da lettere, da serie tv, tramite monologhi, dialoghi, riflessioni. Ognuna può rappresentare una delle tante risposte alla domanda da mille risposte: “Che cosa vuol dire per te essere donna?”

Donne e Lupi

Che cosa vuol dire per te essere Donna? Donne e Lupi

“I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso, e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell’arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieri e molto coraggiosi. Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate, tormentate e falsamente accusate di essere voraci ed erratiche, tremendamente aggressive, di valore ben inferiore a quello dei loro detrattori. Sono state il bersaglio di coloro che vorrebbero ripulire non soltanto i territori selvaggi ma anche i luoghi selvaggi della psiche, soffocando l’istintuale al punto da non lasciarne traccia. La rapacità nei confronti dei lupi e delle donne da parte di coloro che non sanno comprenderli è incredibilmente simile.”

(da "Donne che corrono coi lupi" di Clarissa Pinkola Estès)

La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio

“La mia notte è senza luna. La mia notte ha grandi occhi che guardano fissi una luce grigia che filtra dalle finestre. La mia notte piange e il cuscino diventa umido e freddo. La mia notte è lunga e sembra tesa verso una fine incerta. La mia notte mi precipita nella tua assenza. Ti cerco, cerco il tuo corpo immenso vicino al mio, il tuo respiro, il tuo odore. La mia notte mi risponde: vuoto; la mia notte mi dà freddo e solitudine.

Cerco un punto di contatto: la tua pelle. Dove sei? Dove sei?

Mi giro da tutte le parti, il cuscino umido, la mia guancia vi si appiccica, i capelli bagnati contro le tempie. Non è possibile che tu non sia qui.

La mia mente vaga, i miei pensieri vanno, vengono e si affollano, il mio corpo non può comprendere.

Il mio corpo ti vorrebbe.

Il mio corpo, quest’area mutilata, vorrebbe per un attimo dimenticarsi nel tuo calore, il mio corpo reclama qualche ora di serenità.

La mia notte è un cuore ridotto a uno straccio.”

(da una lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera)

Che cosa vuol dire per te essere Donna? Clitennestra

he cos vuol dire per te essere Donna? Clitennestra uccide Agamennone
Clitennestra uccide Agamennone

Lento, si spalanca il portale della reggia. Dentro, tre figure. Riverso in una conca lucente, avvolto in un largo drappo chiazzato di sangue, il corpo di Agamennone. Accanto, abbattuta, Cassandra. Li sovrasta – l’arma è ancora in mano – Clitennestra, superba.

Clitennestra:

In passato molte parole ho detto sfruttando un’occasione: ora, non avrò scrupoli a smentirle. Come può, uno, tramando ostili colpi a gente ostile che si presenta con la faccia amica, gettare rete di sventura, altezza che nessun balzo varca? Da troppo tempo non mi usciva dalla mente questa gara di morte. Ora il premio della lotta, la vittoria: tardi, ma alla fine è giunta! Qui mi ergo, dove vibrai l’arma, dove ho saldato il mio impegno. Ho agito, ho avuto successo, non voglio celarlo: né scampo per lui, né riparo al colpo fatale. Un volo di rete, inestricabile – come a una mattanza – e lo ingabbio, sfarzo doloroso di stoffe. Io due squarci. Due rantoli, lui, fascio di membra snervate, lì al suolo. È steso. Un terzo colpo gli assesto. Grato ossequio a Zeus dell’abisso, patrono dei morti. Sfoga l’anima crollando – una boccata precipitosa di sangue e spira. Mi schizza di fosche stille – velo di rugiada scarlatta che mi fa lieta, come la semente del grano, quando nel pieno sbocciare dei chicchi s’ingemma del rorido dono del cielo. Questi gli eventi, degna nobiltà di Argo. Esultate se vi piace. Io me ne glorio. Se mai fosse buon momento per libare su un ucciso, ora sarebbe giusto, legittimo, anzi. Quest’uomo ha colmato il calice di troppi crimini, qui nella reggia: al suo ritorno gli è toccato svuotarlo.

Coro:

Ci scuote la tua lingua sfacciata, questa voce superba contro lo sposo.

Clitennestra:

Mi state saggiando: quella donna insensata, pensate. Io però con cuore immoto mi rivolgo a gente che intende. Tu mi assecondi, sei disposto? Mi critichi? È lo stesso. Ecco Agamennone, sì mio marito. Morto. Colpo di questa abile mano, autrice di vendetta. Questi i fatti.                                                                                                                                     

Coro str. I:

Regina, che tossico frutto della zolla inghiottisti, che filtro stillato dall’onda salmastra per commettere l’assassinio? Per spezzare, troncare l’imprecazione che sale dal paese? Sarai fuorilegge, sotto un carico d’astio ti schiaccerà la tua gente.

Clitennestra:

 Adesso tocca a me fuggire il paese, affrontare l’astio, la pubblica esecrazione: così così tu ora sentenzi. Non facesti contrasto in passato a quest’uomo. Lui, senza scrupolo – non conta la morte di un’agnella, quando il pascolo trabocca di mandrie ricciute – immolò la sua figlia, frutto doloroso e adorato del mio parto. Doveva affascinare, in Tracia, il calo di vento. A lui no, non toccava l’espulsione da questo paese, a fargli scontare il crimine osceno. Alle mie azioni, invece, tendi le orecchie, e ti fai giudice senza pietà. Ora ascolta. Limita le minacce, potrai darmi ordini, ma solo piegandomi con le tue mani: io, per me, sono pronta, da pari a pari. Régolati. Certo, se dio decide l’opposto, apprenderai la dura lezione di un tardivo equilibrio di mente.

Coro ant. I:

Sei spavalda di cuore e alzi la voce arrogante. Delira il tuo spirito per il cruento colpo di fortuna. Ombra fosca di sangue – la vedo – ti scintilla negli occhi. Hai vuoto d’amore, intorno: devi espiare il colpo con colpo di risarcimento.

Clitennestra:

E tu considera la santa base dei miei giuramenti: su Equità che rese giustizia a mia figlia, su Perdizione punitrice divina, su Erinni cui dedico quest’uomo scannato, mai varcherà la mia soglia il brivido della paura…

(da “Agamennone” di Eschilo)

Dimmi cosa cazzo fare, Padre

“Fleabag” serie TV

“Qualcuno che mi dica cosa indossare ogni mattina.

Voglio qualcuno che mi dica cosa mangiare, cosa amare, cosa odiare, per cosa arrabbiarmi, cosa ascoltare, quale band seguire, quali biglietti comprare, su cosa scherzare, su cosa non scherzare. Voglio che qualcuno mi dica in cosa credere, per chi votare, chi amare e come dirglielo.

Io voglio che qualcuno mi dica come devo vivere la mia vita, perché finora ho sbagliato tutto.

Per questo molti cercano persone come te nella vita.

Perché tu dici loro come vivere.

Dici loro cosa fare e cosa otterranno alla fine.

E anche se non credo alle tue stronzate, e so che scientificamente niente di ciò che farò, farà la differenza, ho paura lo stesso! Perché ho paura lo stesso?

Quindi dimmi cosa fare. Dimmi cosa cazzo fare, Padre.”

(da Fleabag, serie TV britannica)

Che cosa vuol dire per te essere Donna?La Marchesa de Merteuil

“Le Relazioni Pericolose”

“Non avevo scelta, sono una donna. Le donne sono obbligate ad essere molto più abili degli uomini. Potete guastarci la reputazione e la vita solo con poche parole ben scelte, quindi è chiaro che io non ho dovuto inventare solo me stessa , ma espedienti  di fuga cui nessuno aveva mai pensato e ci sono riuscita perché   io ho sempre saputo di essere nata per dominare il vostro sesso e per vendicare il mio.”

“Si, ma in che modo mi domando”

“Quando feci l’ingresso in società avevo 15 anni e io già sapevo che il ruolo a cui ero condannata, vale dire stare zitta e obbedire ciecamente, mi dava l’opportunità ideale di ascoltare e osservare, non quello che mi dicevano che non era di alcun interesse, ma tutto quello che la gente cercava di nascondere ed ho esercitato il distacco. Imparai a sembrare allegra mentre sotto la tavola mi piantavo la forchetta nel palmo della mano e finii per diventare una virtuosa nell’inganno.

Non era il piacere che cercavo, era la conoscenza e consultavo i più rigidi moralisti per la scienza dell’apparire, i filosofi per sapere cosa pensare e i romanzieri per capire come cavarmela. E alla fine io ho distillato il tutto in un principio meravigliosamente semplice: VINCERE o MORIRE.”

“Così siete infallibile, vero?”

“Se io voglio un uomo è già mio, se ha qualcosa da dire, si accorge che non può e tutta la storia è qui.”

(da film tratto da "Le Relazioni Pericolose" di Laclos)

Dondolala via

“Dondolo” monologo di Samuel Beckett interpretato da Piera degli Esposti

Fate buon viaggio

“Certo che è faticoso essere una donna. Paure, vincoli, imperativo del silenzio, richiami a un ordine che ha fatto il suo tempo, tripudio di limitazioni imbecilli e sterili. Sempre delle estranee, a sobbarcarsi il lavoro sporco e fornire la materia prima tenendo il profilo basso…Ma in confronto a quello che significa essere un uomo sembra un gioco da ragazzi… Perché alla fin fine non siamo noi le più terrorizzate, e neanche le più disarmate o impedite.

 Il sesso della sopportazione, del coraggio, della resistenza è sempre stato il nostro.

Non che abbiamo avuto scelta, sia chiaro.

Il coraggio vero. Confrontarsi con ciò che è nuovo. Possibile. Migliore. Crisi del lavoro?

Crisi della famiglia? Buone notizie.

Che automaticamente rimettono in discussione la virilità. Altra buona notizia. Ne abbiamo fin sopra i capelli di queste stronzate.

Il femminismo è una rivoluzione, non una riorganizzazione delle indicazioni di marketing, non una vaga promozione della fellatio o dello scambismo, non si tratta soltanto di migliorare gli stipendi integrativi. Il femminismo è un’avventura collettiva, per le donne, per gli uomini e per gli altri. Una rivoluzione, ben avviata. Una visione del mondo, una scelta. Non si tratta di opporre i piccoli vantaggi delle donne alle piccole conquiste degli uomini, ma di far saltare tutto.

E con questo, ciao ragazze, fate buon viaggio…”

(da King Kong Theory, libro di Virginie Despentes)

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

Animali che amano drogarsi

Gatto che mastica Nepeta Cataria

Molte persone non immaginano che al mondo esistono tantissimi animali che amano drogarsi. Del resto la maggioranza degli uomini pensa all’atto del drogarsi come a qualcosa di perverso, malato e appartenente solo alla specie umana, così come credono che la droga sia una sostanza di solito chimica che induca alla dipendenza. In realtà la maggior parte delle droghe non dà dipendenza, e in molte società tribali l’atto di drogarsi è ancora collegato a riti sacri o curativi, a “cibo per l’anima” come nel caso dellayahuasca, usata principalmente nella foresta amazzonica del Perù e del Brasile. Ma quello che soprattutto cambia le carte in tavola è che l’atto del drogarsi appartiene tanto all’uomo quanto agli animali, e non parlo di animali che vengono drogati dall’uomo in laboratorio, resi cocainomani, eroinomani dall’uomo, oppure utilizzati in esperimenti, come i famosi test fatti sui ragni Zilla, che creavano ragnatele differenti a seconda delle droghe a cui venivano sottoposti.

Animali che amano drogarsi: esperimenti sui ragni Zilla
Esperimenti su ragni Zilla: le ragnatele cambiano a seconda delle droghe cui sono stati sottoposti

In questo articolo parleremo invece di animali che amano droghe che trovano da soli in natura, e la cosa più incredibile è che non esistono categorie animali che non amino drogarsi: si va dagli insetti fino ai mammiferi, passando per rettili ed uccelli. La natura, in breve, oltre ad essere piena di medicine naturali, che gli animali usano per curarsi, è anche un enorme dispensario di droghe per tutti gli animali della Terra.

Le “locoweed” e il “locoismo”

Locoweed in italiano possiamo tradurlo con “erba pazza” oppure “erba che ti fa diventare pazzo” e si tratta di almeno una quarantina di piante selvatiche appartenenti alle Leguminose, che sugli animali hanno effetti psicoattivi. Queste piante si trovano soprattutto nell’America del nord, e gli animali che le amano e le cercano sono molti: galline, conigli, cavalli, maiali, mucche, pecore. Di solito procurano agli animali che le mangiano una sorta di   ebbrezza, che può essere più o meno forte. La chachaquila, ad esempio, che i bovini mangiano particolarmente volentieri, produce un singolare tipo di ebbrezza, accompagnato da allucinazioni e stati di eccitazione. Un’altra, chiamata dai messicani “garbancillo” fa davvero un brutto effetto agli animali: se sono in astinenza dimagriscono rapidamente, non vogliono stare in mezzo alla mandria, a volte si bloccano e non si riesce più a farli muovere. Appena mangiano di nuovo la loro erba amata tornano ad essere vivaci e allegri. Quando un animale sperimenta gli effetti delle locoweed, poi ne diventa consumatore abituale. E i piccoli nati da madri “locoweed dipendenti” diventano consumatori anche loro. La brama con cui gli animali cercano la loro erba li rende straordinariamente tenaci; è accaduto che mentre i mandriani sradicavano tutta l’erba pazza dal pascolo e la rinchiudevano in grossi sacchi, cavalli e mucche rovesciarono i carri su cui erano stati stipati i sacchi e tirarono fuori dai sacchi l’ambita erba.

Pecora che ha mangiato locoweed

Ma non esiste solo l’America settentrionale. In Australia c’è una leguminosa, la Swainsonia galegifolia  che attira intere mandrie ed è allucinogena. In Europa, una delle «erbe pazze» più comuni è la ginestra, una leguminosa che può indurre anche nell’uomo effetti psicoattivi o tossici, a seconda della dose. Sembra che le pecore delle lande tedesche la amino particolarmente, e gli animali che la mangiano con avidità entrano in uno stato di eccitazione, e subito dopo perdono coscienza. Questo può farli cadere vittime di predatori.

Animali che si ubriacano

In Africa gli elefanti sono ghiotti di frutti da palma come il doum, la marula, il mgongo, tutti frutti che fermentano velocemente, e fermentando creano alcool etilico concentrato fino al 7%; all’interno dell’apparato digerente il processo di fermentazione continua, creando ancora altro alcool. Quando tutto il branco è ubriaco diventa piuttosto pericoloso. Gli elefanti ubriachi sono eccitati, agitati, balzano per un rumore improvviso o per un movimento rapido, e di base si spaventano per nulla, cosa che, per difesa, li fa diventare aggressivi.  

Elefanti ubriachi svenuti
Elefanti ubriachi svenuti

Anche gli elefanti indiani cercano i frutti fermentati caduti a terra. Soprattutto vanno matti per il frutto fermentato del durian, famoso per essere molto grosso e molto puzzolente. Il durian, oltre agli elefanti, è amato da molti animali, come vari tipi di scimmie e volpi volanti. Perfino le tigri di Sumatra, che ovviamente sono carnivore, amano moltissimo il frutto del durian. Ci sono stati diversi casi di persone che trasportavano al villaggio cesti pieni di durian appena raccolti; le tigri li aggredivano, ma non per ucciderli: si prendevano i durian e se ne andavano. L’effetto del durian è molto più forte di quello degli altri frutti fermentati: gli elefanti ondeggiano finché non cadono al suolo. Le scimmie perdono la coordinazione. Le volpi volanti, che si cibano del durian di notte, perdono il sistema radar che fa orientare nel volo tutti i pipistrelli e cadono a terra.

Frutto Durian

Gli animali attratti dall’alcool sono tanti. Le lumache, ad esempio. Tempo fa i contadini, prima che l’agricoltura funzionasse solo ad anti-parassitari, per disinfestare gli orti dalle lumache mettevano nei campi dei contenitori bassi e larghi in cui versavano un po’ di birra o vino. Il giorno dopo trovavano mucchi di lumache, tutte appiccicate e inebriate, perciò incapaci di muoversi. Altra cosa che i contadini facevano era “invitare” i ricci, fantastici insettivori, a stabilirsi nel loro orto. Deponevano al centro dell’orto una ciotola con acqua e vino e una manciata di larve, e i ricci accorrevano felici! 

Animali che amano drogarsi: riccio ubriaco
Animali che amano drogarsi: Riccio ubriaco

Animali che amano drogarsi: Droghe e felini

Diversi tipi di felini amano mangiare vari tipi di erbe inebrianti. Il rapporto più famoso è fra la Nepeta Cataria della famiglia delle Labiatae, detta Cat-Nip e i gatti. Prima di tutto non bisogna confondere la Nepeta con l’erba gatta, che è un’erba medica, che i gatti usano per vomitare quando hanno bisogno di ripulire lo stomaco. La Nepeta ha la capacità di rendere i gatti felici e in salute e quando la trovano in qualche prato o giardino accorrono. Inoltre è un afrodisiaco e un allucinogeno. Un’altra erba che dà ai gatti ebbrezza e stordimento è la valeriana, un po’ come l’hascish per l’uomo. I gatti giapponesi invece masticano le foglie del matatabi, e poi restano sdraiati sulla schiena con le zampe per aria, in una sorta di estasi.

Animali che amano drogarsi: Gatto e Nepeta Cataria
Gatto e Nepeta Cataria

Climi freddi, animali e funghi allucinogeni

Una delle “passioni” più note al mondo è quella delle renne siberiane per il fungo allucinogeno Amanita muscaria (agarico muscario), ovvero il classico fungo dal cappuccio rosso e i pois bianchi. Il più piccolo morso di Amanita muscaria regala alle renne uno stato di ebbrezza molto evidente: corrono dappertutto senza ragioni apparenti, fanno rumore, si isolano dal branco.

Altri amanti dell’Amanita muscaria sono i caribù del Canada. Quando si muovono i caribù si incamminano in una lunga fila indiana, ma se passano nei pressi di qualche Amanita, le femmine adulte escono dalla fila e corrono a mangiarsi gli amati funghi. Dopo un paio d’ore questi caribù abbandonano il gruppo correndo in maniera goffa. In questo modo sia le madri appartate che i cuccioli, lasciati soli dalle madri, rischiano di finire in bocca ai lupi.

Nei prati alpini crescono funghi allucinogeni di genere Psylocibe semilanceata per cui vanno matte le capre, che sono in grado di divorarne quantità epiche. Bisogna anche dire che le capre, fra tutti gli animali, sono forse quelle che apprezzano praticamente ogni droga che sono in grado di trovare, dovunque vivano.

Amanita Muscaria
Amanita Muscaria

Le capre, i mammiferi più “tossici” del pianeta.

Abbiamo visto come sulle Alpi le capre riescano ad ingozzarsi di funghetti allucinogeni. Passando invece sugli altopiani etiopi, potremmo vedere le capre, dopo una dura giornata di salite ripide sulle montagne e poi discese e ancora salite, nutrirsi con gioia di bacche rosse e infine, invece di dormire stremate, passare la notte rincorrendosi l’un l’altra, belando e saltellando sotto alla luna. Lo strambo comportamento delle capre è dovuto alle bacche rosse che sono bacche della pianta del caffè.

Nello Yemen le capre invece mangiano il khat, una  pianta dalle proprietà euforico-eccitanti  

che viene masticata da milioni di umani che vivono in quella parte d’Africa, ed anche esportata in altri paesi del mondo. Sappiamo – dallo Yemen – che gli umani iniziarono a mangiare il khat dopo aver visto l’effetto che faceva alle capre.

Il «fagiolo del mezcal» – che poi è il seme della leguminosa Sophora secundiflora  invece è utilizzato sin dalla più remota antichità dagli Indiani delle Pianure del Nord America nel corso delle loro cerimonie religiose. È una droga fortemente allucinogena e molto pericolosa, il cui uso non troppo attento può facilmente uccidere. Essa fu a un certo punto sostituita per le cerimonie dei nativi americani dal cactus del peyote, più sicuro e in grado di regalare visioni migliori.

Le capre, comunque, mangiavano di gusto sia la pianta che i suoi fagioli, poi iniziavano a cadere e rialzarsi per ore e ore, sotto al sole, ma senza mostrare alcun sintomo di avvelenamento.

Animali che amano drogarsi: capra e pianta del caffè
Capra che mangia pianta del caffè

Animali che amano drogarsi: pettirossi e altri uccelli

Nel mese di febbraio avviene, nel nord America, la grande migrazione dei pettirossi americani verso la California. Appena arrivano alla “terra promessa” le migliaia di pettirossi si appollaiano su degli alberelli chiamati California holly ed iniziano ad ingozzarsi dei frutti rossi degli alberi, bacche chiamate “toyon” dagli Indiani della regione. Per circa tre settimane avviene una sorta di “baldoria dionisiaca” fra i pennuti, che, completamente strafatti, fanno stupidi giochi fra di loro, svolazzano senza sapere dove stanno andando ed entrano nelle case, nelle macchine, fino a che iniziano a cadere dai rami. Alcuni barcollano e non riescono a volare, altri hanno il becco che strabocca di frutti perché hanno già stomaco ed esofago pieni e non riescono a far entrare più nulla. Alcuni svolazzano a mezza altezza e vengono investiti dalle macchine. Molti pettirossi morti sono stati raccolti per fargli un’autopsia da cui risulta che non c’è fermentazione nei frutti e quindi niente alcool. Evidentemente la sostanza che provoca l’ebbrezza è qualcos’altro contenuto nei frutti rossi.

Il colombo rosa (Columba meyeri) delle isole Mauritius è stato a forte rischio di estinzione. Adesso sono riusciti a farlo riprodurre in cattività ma senza avere un enorme successo. Il suo problema è probabilmente dovuto a tre piante che crescono floride nell’isola: il fandamon, il fangam e una specie di Lantana (le ho chiamate con i nomi assegnati loro dai nativi.)  Queste piante hanno un effetto psicoattivo sui piccioni rosa che si nutrono esclusivamente delle loro bacche e si riducono in un tale stato di ebbrezza da non essere più in grado di far nulla e tantomeno di volare. Questo li ha resi del tutto vulnerabili di fronte ai predatori. Un ornitologo, McKelvey, fece degli studi dai quali sembrò emergere un vero e proprio bisogno fisiologico di nutrirsi di quelle piante da parte dei piccioni rosa; motivo probabile per cui è sempre stato molto difficile crescerli in cattività: senza le loro droghe vegetali faticano a sopravvivere. 

Ci sono invece uccelli che amano i semi di papavero da oppio, tanto da diventare una specie di flagello per le piantagioni di oppio. Per non parlare degli uccelli – veramente molte specie – che vanno matti per i semi di canapa, che gli danno un piacevole senso di ebbrezza e di eccitazione. Fra le altre cose i semi di canapa rendono il loro canto molto più gradevole e sonoro, motivo per cui, ancora oggi, tanti allevatori di pappagalli e canarini aggiungono semi di canapa al loro cibo.

Pettirossi americani che si ingozzano di “toyon”

Paese che vai, droga per animali che trovi…

Australia: in Australia e in Tasmania ci sono i più grandi campi da oppio legali, coltivati per conto delle case farmaceutiche americane che guadagnano cifre da capogiro con i vari farmaci oppiacei, tipo Oxycodone, che stanno uccidendo giovani e meno giovani in tutto il mondo. E poi ci sono i wallaby, grossi canguri oppiomani, che  vanno a fare incetta di semi in questi campi.

Sempre in Australia:  I koala, come è noto in tutto il mondo, si cibano esclusivamente di foglie fresche di eucalipto. È anche noto che questo nutrimento ha un effetto narcotico-rilassante sui koala, motivo per cui gli aborigeni credono che i koala siano tossicodipendenti dalle foglie d’eucalipto. In realtà si tratta di un raro caso che coinvolge tutta una specie e in cui l’elemento “nutritivo” e l’elemento “droga” coincidono. Infatti, l’abitudine alle foglie di eucalipto non è genetica, ma si forma nei primi mesi di vita attraverso l’educazione materna. Separando i piccoli koala dalla mamma alla nascita è stato possibile adattarli a diete diverse.

Montagne Rocciose del Canada: la pecora big horn, che più che altro sembra una capra, è disposta a vivere un’autentica epopea, una scalata pericolosissima fra crepacci e dirupi sempre più difficili su cui inerpicarsi, il tutto per raggiungere un lichene giallo e verde che la capra mangia con avidità. A forza di raschiare la roccia su cui si trova il lichene le pecore perdono l’affilatura dei denti, se non addirittura i denti frontali, ma lì per lì non sentono dolore perché l’effetto del lichene è narcotico, sia per la capra che per l’uomo.

La Big Horn sulle rocce

Foreste del Gabon e del Congo: cinghiali, porcospini, gorilla, mandrilli mangiano la radice allucinogena dell’iboga, appartenente alla famiglia delle Apocynaceae. Come in altri casi, i nativi, osservando gli animali nutrirsi di questa pianta e avere delle reazioni molto particolari li imitarono e scoprirono le capacità visionarie della radice dell’iboga. Da allora sono molte le tribù che usano l’iboga per i loro riti religiosi

Isole della Melanesia: l’arbusto del kava (famiglia delle Piperaceae) è diffuso nelle isole della Melanesia e provoca effetti inebrianti e rivitalizzanti. Fra i vari racconti sull’origine della conoscenza umana di questa pianta ce n’è uno che parla di un uomo, nelle Nuove Ebridi, che vide un topo rosicchiare la radice del kava, morire e dopo un po’ rinascere. Allora anche l’uomo decise di provare la radice su di sé. Gli animali che ne fanno largo uso sono topi e maiali.

Hawaii: mucche e cavalli ricercano come un cibo prelibato i fiori della marijuana e per un certo periodo barcollano. I magazzini dove i prodotti della marijuana vengono stipati sono spesso “visitati” dai topi, che amano i semi della cannabis.

California: qualche anno fa furono osservati dei conigli dalla coda bianca introdursi in orti dove venivano coltivati dei cactus psicoattivi della specie Astrophytum myriostigma.  I conigli rosicchiavano i cactus e in seguito sembravano «ubriachi». Quando si riprendevano tornavano a rosicchiare.

Animali che amano drogarsi: insetti e droghe

Niente sconcerta etologi e biologi come il fatto che l’uso delle droghe si riscontri anche presso i cosiddetti “animali inferiori” dal momento che il divario biologico fra animali inferiori e superiori è di solito ritenuto enorme, anche per via della struttura e complessità dei sistemi nervosi. E del resto, proprio il rapporto fra insetti e piante psicoattive, così come fra fiori e insetti è la parte più affascinante di tutta questa realtà.

Un insetto che ama molto l’alcool è una grossa farfalla, la jasio o ninfa del corbezzolo, nome scientifico Charaxes jasius.. Dotata di «code» sulle ali, col corpo attraversato da fasce laterali argentate. È attratta da tutto ciò che fermenta e produce alcool, specialmente i frutti marcescenti caduti a terra. Gli entomologi, per osservarla, collocano dei bicchierini contenenti un poco di birra o di vino nei luoghi dove vive. Dopo poco tempo la si vede arrivare, attratta dall’odore dell’alcool e immergere nel liquido la sua spiritromba. Quando riparte il volo è lenta e barcollante, segno che l’alcool ha fatto il suo effetto.

Ninfa del corbezzolo
La Ninfa del corbezzolo

Alcune specie di sfingi – piccole farfalle notturne – succhiano con la loro «proboscide» o spiritromba il nettare dai fiori della Datura,  pianta famosa (basta aver letto qualcosa di Castaneda per conoscerla) della famiglia delle Solanaceae notoriamente allucinogene per l’uomo. In Arizona la sfinge Manduca quinquemaculata  si nutre di nettare di Datura meteloides  e nel far ciò contribuisce all’impollinazione dei suoi fiori. Solamente dopo numerose osservazioni alcuni ricercatori si sono accorti che le sfingi, dopo aver succhiato il nettare del fiore, appaiono ubriache. L’osservazione di questo comportamento può sfuggire, anche perché il tutto avviene di notte, quando le piante di datura aprono la corolla dei loro fiori. Osservando le sfingi dopo che hanno succhiato il nettare di alcuni fiori di Datura le piccole farfalle appaiono goffe, atterrano con difficoltà, a volte sbagliano il bersaglio e cadono al suolo. Quando poi si rialzano in volo i loro movimenti sono davvero confusi. Ma alle sfingi piace questo effetto altrimenti non tornerebbero subito a succhiare il nettare di quei fiori.

Sembra evidente che il nettare di questa specie di datura contenga gli stessi alcaloidi psicoattivi presenti nelle altre parti della pianta utilizzate dagli uomini.

Datura fiori
Fiori di Datura

Ma ci sono cose ancora più pazzesche nel mondo degli insetti, ecco una storia che è a metà fra l’horror e “l’insect-porn” ( genere ancora da inventare!) ma invece è tutto vero: alcune specie di formiche ospitano nei loro nidi dei coleotteri, li forniscono di cibo e li accudiscono. In cambio, i coleotteri producono secrezioni nei loro addomi e permettono alle formiche di succhiare quelle secrezioni tramite due ciuffi di peli chiamati tricomi. Il motivo per cui le formiche fanno tutto questo lavoro è per via della natura inebriante delle secrezioni di quei coleotteri: dopo aver succhiato le secrezioni tramite i tricomi iniziano a traballare, perdono il senso dell’equilibrio e sono disorientate. Nel caso della formica gialla, Lasius flavus, e del coleottero Lomechusa,  le formiche lavoratrici appaiono disinteressate alle loro faccende domestiche e passano un sacco di tempo a suggere l’addome del coleottero. Per capire quanto è importante per le formiche questa attività “spensierante” basta tener presente che allevano anche le larve del coleottero nelle camere delle proprie larve, e se in tutta fretta devono trasportare le larve in un luogo più sicuro, mettono al sicuro le larve del coleottero prima delle proprie.

Animali e uomini che amano drogarsi

Tenendo presente che sono moltissimi gli animali “tossici” che non ho citato per motivi di spazio, credo che la scoperta che il mondo animale, in tutte le sue forme, vada alla ricerca della sua droga preferita e non lesini nel farne uso, sia fondamentale per capire meglio l’uomo e la natura. Fino a pochi anni fa non sapevamo che quasi tutto il mondo animale utilizzasse droghe e pensavamo che il mondo umano si drogava “per dimenticare la realtà”. Oggi, fra scienziati e medici sono in molti a dare una spiegazione del tutto diversa.

Nell’ambiente degli studiosi e degli operatori nel campo delle tossicodipendenze si è recentemente diffusa l’ipotesi dell’automedicazione: l’eroinomane, ad esempio, potrebbe essere un individuo la cui produzione di endorfine è inferiore alla media e che quindi troverebbe – più o meno inconsapevolmente – nell’assunzione di una sostanza oppiacea esogena una soluzione al suo squilibrio neurochimico.

L’uso umano delle droghe avrebbe quindi una funzione adattogena per la realtà circostante, ovvero un mezzo per facilitare l’adattamento all’ambiente circostante. E l’uso animale delle droghe ci fa capire che la natura non è mai stata così come ce la raccontano: formiche ed api non sono perfetti soldatini esclusivamente dediti al lavoro e alla comunità, gli uccelli migratori non sono piccoli robot che partono, arrivano, si riproducono e poi ripartono, solo per fare due esempi. Gli animali amano, hanno paura, soffrono e cercano un po’ di piacere, proprio come noi.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

ESSERE HOMO SAPIENS

Homo Sapiens in Africa Paleolitico medio

Cosa significa essere Homo sapiens? Leggendo un qualsiasi libro di storia non vediamo altro che guerre e sopraffazioni compiute dalla nostra specie. Molti di noi hanno un cervello dotato di buone capacità, ad esempio siamo in grado di imparare senza difficoltà ogni materia (ciò che chiamiamo “studio”), a volte abbiamo una scintilla di qualcosa che assomiglia alla visionarietà, che permette alla nostra immaginazione di oltrepassare la barriera del sogno e trasformare in realtà quello che inizialmente era solo una vaga idea.

Migliaia e migliaia di anni fa scoprimmo come ingabbiare il fuoco e come utilizzarlo in cento modi diversi che avrebbero reso più facile e confortevole la nostra vita. Oggi, tutto quello che abbiamo scoperto da un certo momento in poi lo chiamiamo “tecnologia”. La cosa strana, però, è che la tecnologia, pur avendo fatto passi da gigante in ogni campo, mentre rendeva la vita di alcuni (non di tutti) più confortevole, contemporaneamente rendeva il nostro pianeta invivibile: invivibile da un punto di vista ambientale e da un punto di vista sociale. Cambiamenti climatici con uragani, alluvioni, allagamenti, siccità, frane, picchi di caldo e di gelo mai raggiunti prima; e poi guerre continue e sanguinose e abissi di diseguaglianza economica. Aver messo il fuoco in gabbia con tutto ciò che ne è conseguito, ci ha portato quindi dal vivere nelle grotte a correre sul bordo di uno scosceso dirupo. Nel corso di settantamila anni siamo diventati dei “blade runner”.

Genere e Specie

Essere Homo sapiens: Psnthera tigris
Panthera Tigris

Il perché di questo triste destino credo sia iscritto – senza se e senza ma – nei geni che rappresentano la nostra specie. Se in uno dei piatti della bilancia troviamo intelligenza, curiosità, capacità di adattamento, visionarietà, nell’altro piatto si accalcano avidità, egoismo, falsità, voglia di conquista, di possesso, ferocia, volontà di potenza.

Ricordiamo che gli organismi viventi vengono denominati con un doppio nome in latino, dove la prima parte rappresenta il “genere” e la seconda la “specie”. Tutte le specie che si sono evolute da un antenato comune vengono raggruppate sotto un unico genere (dal latino genus). Leoni, tigri, leopardi e giaguari sono specie differenti, ma fanno tutte parte del genere Panthera, e quindi sono parenti fra loro. Per quanto riguarda la specie, però, la tigre (Panthera tigris), ad esempio, appartiene a una specie, detta tigris, che definisce esclusivamente le tigri.  

Per chi fosse rimasto indietro in questo ambito di conoscenze, devo specificare che la cosiddetta specie sapiens sapiens viene al massimo considerata una sottospecie del sapiens. Non una nuova e diversa specie e ormai è una classificazione che non viene quasi più usata. Le ultime generazioni di scienziati e le ultime tecniche di comparazione fra genomi antichi e moderni ci hanno portato a poter dire con certezza che il cosiddetto sapiens sapiens è solo un Homo sapiens più recente, e quindi non una specie a sé.

Essere Homo sapiens: Le domande di Yuval Noah Harari

Tornando all’Homo sapiens, per capire meglio come la specie sapiens sia riuscita ad impadronirsi del pianeta, ricorrerò a Yuval Noah Harari, storico israeliano giovane ma già molto famoso e tradotto in 30 lingue. Il lavoro di Harari è stato, con libri e articoli, principalmente quello di dare risposta a domande specifiche e originali, oltre che fondamentali, del tipo: “Qual è il rapporto tra storia e biologia? Qual è la differenza essenziale tra l’Homo sapiens e gli altri animali? Esiste la giustizia nella storia? La storia ha una direzione? La gente è diventata più felice man mano che la storia si è sviluppata?”

Yuval Noah Harari

Ecco una rapida cronologia secondo Harari dello sviluppo contemporaneo del nostro mondo e della nostra specie, Homo sapiens.

Da “Sapiens” di Harari:

“13,5 miliardi bt (before today, prima di oggi): Appaiono materia ed energia. Inizio della fisica. Appaiono atomi e molecole. Inizio della chimica.

4,5 miliardi bt: Formazione del pianeta Terra.

3,8 miliardi bt: Comparsa degli organismi. Inizio della biologia.

6 milioni bt: Ultima progenitrice comune di umani e scimpanzé.

2,8 milioni bt: Evoluzione del genere Homo in Africa. Primi utensili di pietra.

2 milioni bt: Gli homo (che chiameremo anche umani) si diffondono dall’Africa all’Eurasia. Evoluzione di specie umane diverse.

500.000 bt: I Neanderthal si evolvono in Europa e nel Medio Oriente.

300.000 bt: Uso quotidiano del fuoco.

200.000 bt: L’Homo sapiens si evolve nell’Africa Orientale.

70.000 bt: Rivoluzione cognitiva. Emergere del linguaggio e della capacità di creare finzioni. Inizio della storia. I sapiens si diffondono fuori dell’Africa.

45.000 bt: i sapiens si stabiliscono in Australia.  Estinzione della megafauna australiana.

30.000 bt: Estinzione degli Homo Neanderthal.

16.000 bt: I Sapiens si stabiliscono nel continente americano. Estinzione della megafauna americana. 13.000 bt: Estinzione dell’Homo floresiensis. L’Homo sapiens è l’unica specie umana rimasta.

12.000 bt: Rivoluzione agricola. Domesticazione delle piante e degli animali. Insediamenti permanenti.

5000 bt: Primi regni, prime forme di scrittura e di moneta. Religioni politeiste.

4250 bt: Il primo impero: l’impero accadico di Sargon.

3000 bt: Invenzione della coniatura, una moneta universale. L’impero persiano: un ordine politico universale “a beneficio di tutti gli umani”.

2000 bt: Impero degli Han in Cina. Impero romano nel Mediterraneo. Cristianesimo.

1400 bt: Islam.

500 bt: Rivoluzione scientifica. L’umanità ammette la propria ignoranza e comincia ad acquisire un potere senza precedenti. Gli europei cominciano a conquistare l’America e gli oceani. Unificazione della storia del pianeta. Ascesa del capitalismo.

200 bt: Rivoluzione industriale. Le famiglie e le comunità sono sostituite dallo stato e dal mercato. Estinzione di animali e piante su grande scala.

Oggi: “Gli uomini trascendono i limiti del pianeta Terra. Le armi atomiche minacciano la sopravvivenza dell’umanità. Gli organismi sono sempre più modellati dalla progettazione intelligente più che dalla selezione naturale. “

Homo sapiens e Homo di Neanderthal, agli antipodi anche se simili

Essere Homo sapiens: ricostruzione facciale di bambina sapiens
Bambina sapiens in una ricostruzione facciale compiuta dagli esperti del laboratorio Daynes di Parigi

Purtroppo, già da questa breve cronologia, risulta evidente come ci sia poco da essere orgogliosi nell’appartenere a questa specie, che con assoluta mancanza di umiltà si è autodenominata “sapiens”. Una specie che, senza alcun motivo, ha compiuto un vero e proprio genocidio nei confronti di tutte le altre   specie di genere Homo, fra cui l’Homo di Neanderthal, così simile ai sapiens – a prescindere da carattere e finalità – tanto che le due specie si sono incrociate fra di loro a lungo.

Ricostruzione in laboratorio di giovane donna Neanderthal

Essere Homo sapiens: il genio di Philip K.Dick

Il rapporto fra Neanderthal e Homo sapiens torna in diversi libri, scritti soprattutto fra gli anni ‘50 e ‘60. Ne citerò tre che più hanno a che vedere, secondo me, col nostro articolo, oltre ad essere bellissimi libri che consiglio di leggere. Indimenticabile la fantascienza di Philip K. Dick in “Svegliatevi dormienti” (scritto nei primi anni 60) che ci racconta un pianeta Terra, ormai allo stremo per l’iper-sfruttamento di ogni sua risorsa e per la sovrappopolazione, che nel tentativo di trovare un pianeta in cui far emigrare buona parte della specie umana si imbatte in una sorta di Terra bis, un mondo parallelo e alternativo al nostro dove però gli Homo Neanderthal hanno avuto la meglio sui Sapiens, utilizzando una filosofia trasformata anche in tecnologia basata su capacità extrasensoriali e restando fedele alla loro natura docile e mai aggressiva.

Essere homo sapiens: Philip K.Dick

Da “Svegliatevi dormienti”:

“Dopotutto, le scoperte archeologiche in Palestina provavano che l’Homo Sapiens e il Neanderthal si erano già mescolati decine di migliaia di anni prima. E la cosa evidentemente non era stata dannosa; la varietà genetica dell’Homo Sapiens aveva assunto il dominio. «Ne riportano uno indietro» disse Bohegian. «L’hanno già fatto salire a bordo dell’aviogetto, a quel che dicono nei bagni in fondo al corridoio. E sono in contatto linguistico con lui. Un dirigente mi ha appena riferito che è docile. Muore di paura.» «Vorrei ben vedere» commentò Cravelli. «Probabilmente si ricordano di averci conosciuti nel loro passato, di averci eliminati.» Proprio come noi abbiamo eliminato loro nel nostro mondo, pensò. Spazzandoli via definitivamente. «E adesso siamo tornati» disse. «Gli sembrerà una sorta di magia nera: fantasmi che riemergono dopo centomila anni, dalla loro Età della Pietra. Gesù, che situazione!»

“Prese Jim per la spalla e lo allontanò di prepotenza dal gruppo, spingendolo sul bordo della strada. «Ascolta» riprese. «Dammi una definizione di essere umano. Dai, definiscimi l’uomo.» Fissandolo, Jim esclamò, «Che cosa?» «Definisci l’uomo! Va bene, lo faccio io. L’uomo è un animale in grado di costruire utensili. Bene, e che cosa sono tutti questi oggetti – per esempio quel carro e quel cappello e il pacco e la tunica? Per non parlare della nave e dell’aliante con il compressore a turbina? Utensili. Tutti, in senso lato. E sai come rendono quella maledetta creatura seduta alla barra del suo carro? Te lo dico io: la rendono umana, ecco cosa… Voglio dire, mio dio, che ha persino costruito delle strade. E…» Sal fremeva di rabbia «… è riuscito pure ad abbattere il nostro satellite Q.B.!» «Senti,» disse Jim stancamente «non è questo il momento…» «Questo è il solo momento. Dobbiamo uscire da qui. Tornare indietro e dimenticare quel che abbiamo visto.» Ma ovviamente, come Sal ben sapeva, non c’era speranza.”

Beati i mansueti?

L’altro libro, “Uomini nudi” di William Golding (Premio Nobel per la letteratura, famoso soprattutto per il suo capolavoro “Il Signore delle mosche” diventato una vera icona, come potrebbe essere 1984 di Orwell ) scritto nel lontano 1955 e poi in italiano rinominato “Il destino degli eredi” racconta una storia avvenuta nel mondo primordiale, quando la guerra non avrebbe avuto motivo di esistere, e nemmeno di essere immaginata, dal momento che c’era ancora spazio, terra, acqua, cibo, territorio più che in abbondanza per tutti. Il titolo originale “The Inheritors”, che significa “Gli eredi” trae origine dal Vangelo, là dove dice «Beati i mansueti, perché erediteranno la Terra». La storia narra l’incontro fatale tra una piccola comunità di neanderthaliani e i più aggressivi sapiens. Gli eredi della Terra, però, non saranno i pacifici Neanderthal, con il loro linguaggio per immagini, a tratti onirico, fatto di metafore, comparazioni, capace di “nominare” il mondo. L’uomo ha appena iniziato il proprio cammino, eppure il Paradiso è già, definitivamente, perduto.

Gruppo di Neanderthal ricreati al computer

Infine c’è il libro di Robert J. Sawyer “La genesi della specie”, titolo originale “Hominids” pubblicato nel 2002. Questo libro molto interessante, fra la paleobiologia e la filosofia tratta proprio dell’argomento che cerchiamo di esprimere in questo articolo. Basta leggere la citazione che Sawyer ha scelto come esergo per il suo libro, da “Il maschio feroce: le scimmie e le origini della violenza umana” di RICHARD WRANGHAM e DALE PETERSON:

“Il messaggio che ci arriva dalla vita nelle foreste australi è che non doveva andare così, che sulla terra c’è posto anche per specie animali con tratti morali innati che, ironicamente, ci piace chiamare ‘umani’: rispetto per i propri simili, equilibrio individuale, ripudio della violenza quale soluzione delle conflittualità. La presenza di queste caratteristiche nei bonobo suggerisce implicitamente come sarebbe potuto essere l’Homo sapiens se la storia dell’evoluzione avesse avuto un corso lievemente diverso.”

Essere Homo sapiens: chi vince le guerre?

Negli ultimi giorni mi è capitato di vedere una mini-serie, su Netflix, “Half-bad” di genere fantasy e verso la fine c’era un breve dialogo che mi è sembrato piuttosto istruttivo:

“Pensavo che alla fine, le guerre le vincessero i buoni” dice uno dei personaggi.

“E invece chi è che le vince?” gli chiede un altro.

“A vincerle sono i mostri”

Immagino che sia assolutamente vero. Pensiamo a Hiroshima e Nagasaki, o al bombardamento su Dresda, città aperta, con centotrentacinquemila civili morti in una notte. Pensiamo all’uranio impoverito lanciato sui Balcani come fossero missili pieni di coriandoli. Se non sono state azioni da mostri queste non so proprio quali possano esserlo.

Avremmo potuto creare un mondo più felice, privo di diseguaglianze, un mondo dove la specie sapiens non pretendesse di essere padrona di tutto ciò che la circonda, a iniziare dagli altri animali e dalla terra su cui poggia i piedi. Ma, come nella favoletta della rana e dello scorpione, la colpa, forse, è solo della nostra  natura e dell’Universo che ce l’ha fornita: noi vogliamo scalare la montagna della conoscenza, la cui cima è irraggiungibile, ma vogliamo anche sopraffare, invadere, imporci con qualsiasi mezzo – che sia arte o distruzione non fa differenza – perchè, alla fine, desideriamo possedere, in ogni modo e senza controllo.

Essere Homo sapiens: progetto Gilgamesh

Epopea di Gilgamesh, Frammento di tavoletta in argilla n.11, storia del Diluvio

L’ultima cosa che l’Homo sapiens desidera possedere più di tutto non è il controllo sul cosmo, come si potrebbe pensare, ma l’immortalità. Sembra ridicolo, ma ci sono diversi studi in atto, proprio in questo istante, dove laboratori, scienziati brillanti e cifre enormi di soldi vengono utilizzati esclusivamente per raggiungere la tanto sospirata immortalità. Forse il più famoso, ma di sicuro non il più avanzato, è il Progetto Gilgamesh. Il nome lo prese dall’antichissima epopea di Gilgamesh, sumera, la cui scrittura iniziale, in alfabeto cuneiforme, risale al III millennio avanti Cristo. Prima della Bibbia e prima di Omero, quindi. Gilgamesh è alla ricerca della vita eterna, e finalmente la trova in una rarissima pianta acquatica; ma una volta trovata si addormenta lasciando la preziosa pianta incustodita. Un serpente la mangia e subito ridiventa giovane, perdendo la pelle. In questo modo abbiamo la spiegazione leggendaria della muta della pelle del serpente e del suo rinnovarsi, cosa che all’uomo non è permessa.

L’epopea di Gilgamesh, quindi, fra le tante cose ci insegna che la vita eterna non può appartenere all’uomo, ma a distanza di almeno cinquemila anni l’Homo Sapiens ancora non si vuole dare per vinto. Ancora è lì, alla ricerca della pianta magica. Quello che i sapiens potrebbero fare, invece, è cercare di non invecchiare troppo il pianeta su cui viviamo, cambiando subito e senza deroghe il modo di vivere di gran parte della popolazione mondiale, perché anche se riuscissero ad allungare ancora di più la vita umana non sarebbe molto piacevole essere quasi immortali in un mondo che – a causa nostra – è in agonia attendendo la morte.

A cosa ci porterà essere Homo sapiens?

Purtroppo non credo che questa sia una storia con una bella fine. Basta guardarsi intorno e vedere l’eccitazione che sale nei nostri fratelli sapiens alla sola idea di farcire di armi l’Ucraina ma di abbandonare alla sua sorte, ad esempio, la Siria, che sta in guerra da 12 anni per colpa dell’occidente. Il tutto senza un filo di senso, senza una sillaba di raziocinio. Addirittura li vedi parlare di armi nucleari, tranquillamente, come si parlasse di noccioline. Per non parlare dei cambiamenti climatici che fino a pochissimi anni fa, venivano considerati sciocchezze dai nostri politici e adesso massacrano la Terra. La cementificazione, l’inquinamento, il fossile, la distruzione dei territori, tutto ci sta tornando indietro come un boomerang fatale ma nessun governo nel mondo è pronto a muovere un dito per provare a migliorare le cose.

Tranne pochi ragazzi come quelli di Ultima generazione in Italia e loro omologhi esteri, non vedo vie di fuga. Purtroppo la fine è nota.

“Ma perché mi hai punto? – dice la rana allo scorpione – adesso moriremo tutti e due, io avvelenata e tu affogando…”

“Non posso farci niente – risponde lo scorpione – è la mia natura”.

I GABBIANI DI ROMA E LE ARMI DI NEW YORK

Questo titolo “I gabbiani di Roma e le armi di New York” può sembrare strambo, ma ha un suo senso che vi risulterà molto chiaro non appena ve l’avrò spiegato.

La maggioranza degli italiani non ama molto gli animali

È noto che gli italiani non sono grandi amanti degli animali. Basti pensare alla caccia alle streghe lanciata in Trentino dal governatore leghista Fugatti, ossessionato da quei pochi e maltrattati orsi che si aggirano nelle ultime foreste trentine: dipendesse solo da lui li ucciderebbe tutti come fossero zanzare. L’orsa JJ4 è stata condannata a morte perché ha aggredito e, purtroppo, ucciso, un “runner” informato così male riguardo alla natura da andare a correre proprio nella zona dove vivono gli orsi, con l’aggravante che in questo periodo ci sono gli orsetti cuccioli che le mamme, come JJ4, devono proteggere; perché le orse non buttano nei cassonetti i propri figli ma li proteggono e difendono fino all’ultima goccia di sangue che hanno in corpo. Inoltre, come anche i bambini sanno, se un predatore ti vede correre tu diventi automaticamente una preda e lui ti deve catturare. A funzionare così è la natura, e prima di inoltrarcisi dentro sarebbe bene mostrare alla natura un po’ di rispetto, studiandone almeno le caratteristiche principali.

JJ4 con uno dei suoi cuccioli
L’orsa JJ4 con uno dei suoi cuccioli

Nel frattempo per JJ4 sono stati trovati due santuari-rifugio all’estero pronti ad accoglierla, ma niente da fare: Fugatti, come se fosse Dio, si oppone anche al trasferimento. Ma non basta ancora, l’ossessionato governatore vuole uccidere anche un altro orso, MJ5 perché, pur non avendo mai fatto del male a nessuno, sembra essere molto diffidente quando incontra esseri umani. Ma nemmeno l’esatto contrario va bene: un altro orso considerato pericolosissimo e quindi da uccidere, M62, aveva la colpa di essere troppo affabile con gli umani, ed infatti questa fiducia è stata forse la causa della sua morte: pochi giorni fa è stato ritrovato misteriosamente morto. Qualcuno fra voi è così ingenuo da aspettarsi un’autopsia seria e non di parte, ammesso che venga fatta veramente?

E mentre continuiamo a domandarci che cosa mai abbiano fatto i plantigradi a Fugatti per suscitare la sua “ira funesta” passiamo rapidamente al resto del paese Italia.

L’odio per lupi, cani, gatti, piccioni, pipistrelli, cinghiali eccetera eccetera

Dal Trentino passiamo rapidamente al resto del nostro paese per trovare i lupi massacrati di recente da cacciatori o allevatori di povere mucche e pecore e poi appesi a segnali stradali come barbaro monito. Parlando di cani, invece, sottolineiamo subito che, se il cane è il migliore amico dell’uomo, l’uomo non è di sicuro il migliore amico del cane. La maggior parte dei cani vengono trattati malissimo dai padroni, che spesso li tengono legati alla catena h24, li riempiono di botte, li abbandonano, gli fanno fare lotte contro altri cani, per non parlare dei randagi, o semi-randagi che incontrano gente orribile che si diverte a torturarli molto più spesso di quanto si possa immaginare, per poi finire al canile e da lì, tranne pochi casi fortunatissimi, alla morte. Nelle città, i gatti di strada, invece, vengono direttamente e silenziosamente “terminati”, o venduti ai vari istituti che utilizzano la vivisezione come feroce e antiquato metodo di “sperimentazione clinica”, o nella migliore delle ipotesi vengono rinchiusi in quelle che chiamano “colonie feline”: per chi non lo sapesse ricordo che in natura i gatti vivono da soli o in piccoli gruppi familiari di tre, quattro individui al massimo. Gli unici felini che vivono in branco sono i leoni. Una delle tante contraddizioni italiane: il gatto è l’animale più amato su internet, le case degli italiani sono piene di gatti e il cibo per gatti un vero business ma alla gente non piace vederli in giro. Così come alla gente non piace vedere le api e gli altri insetti impollinatori, visto che – alla faccia della transizione ecologica e tanti nuovi termini che contengono il nulla – perfino in Europa che, in teoria non è la Cina, sono stati allegramente riconfermati gli ultimi anti-parassitari della Bayer-Monsanto e di altri giganti della Big Pharma che stanno letteralmente facendo strage di api e di ogni insetto impollinatore.

L’insofferenza di Roma per gli animali…

E adesso passiamo a Roma, città bellissima e contemporaneamente infernale. Dove i suoi abitanti non fanno che lamentarsi degli animali con cui dovrebbero coabitare. I romani odiano i piccioni perché sono “topi con le ali” (solo Dio sa perché…), odiano i pipistrelli perché, pur essendo le uniche creature che ci liberano dagli insetti nocivi, considerano i pipistrelli pericolosi e minacciosi (in realtà dovrebbero solo considerarli quasi estinti, grazie agli antiparassitari e all’inquinamento in primis), hanno fatto una campagna di anni contro i cinghiali, considerati alla stregua di demoni cattivissimi scappati in massa dall’Inferno. Un esempio: mi è capitato di sentire una signora dell’alta società, proprietaria di sei o sette ville con grande piscina annessa e diversi ettari di terreno, il tutto all’interno di uno dei parchi più belli e, in teoria, più incontaminati di Roma, lamentarsi per via dei cinghiali che entravano nella “sua proprietà” e scavando buche creavano disordine. Avrei tanto voluto spiegarle che non sono i cinghiali a invadere la sua proprietà, ma lei ad aver invaso la loro.

Ma ormai il nuovo governo di iper-destra ha sistemato tutto: con immensa gioia dei cacciatori, degli amanti del sangue, soprattutto se scorre facile, dei proprietari di tenute e villone all’interno di parchi pubblici – ottenute chissà come o, nel migliore dei casi, condonate – e di chiunque possa considerare “disordine” le buche scavate dai cinghiali in cerca di radici per sfamarsi, è possibile scendere per strada e sparare ai cinghiali, di qualsiasi età, in qualsiasi periodo, in qualsiasi zona. Evviva.

I gabbiani di Roma e i giornalisti americani

E finalmente arriviamo al punto. A Roma, fra i tanti animali maestosi e fieri, abbiamo Il gabbiano reale (Larus michahellis), lungo fino a 60 cm, con un’apertura alare che può arrivare ai 140 cm. L’adulto ha le parti inferiori bianche così come testa e coda mentre le parti superiori sono grigie e le punte delle ali nere e bianche. Ha zampe gialle con grossi piedi palmati, il becco è massiccio e giallo con una macchia rossa nella mandibola.

Gabbiano su fontana a Campo de’ Fiori, Roma

In Italia i gabbiani reali nidificano con una popolazione stimata fra le 24000 e le 27000 coppie, principalmente nelle isole più piccole. Ma negli ultimi anni, attirati dalla gran quantità di immondizia abbandonata all’aperto, i gabbiani hanno colonizzato diversi centri urbani, fra cui Roma. Ovviamente i romani si sono lamentati anche per i gabbiani, ma non eccessivamente. Di solito i gabbiani volano, e volano in alto, e non sono molte le ore in cui scendono a terra, fra i rifiuti. Eppure, per una volta che i romani non si lamentavano dell’ennesimo “terribile” animale, un giornalista americano, @JasondHorowitz del New York Times, qualche tempo fa, si è sentito talmente indignato dalla visione dei gabbiani romani da scriverci su addirittura un lungo e appassionato articolo, di cui citerò qualche frase:

“Roma è una città sporca, assediata da gabbiani, attratti nel cuore della capitale da rifiuti che abbondano ad ogni angolo della città eterna. Non hanno alcun timore di avvicinarsi alle persone, le attaccano e sembrano i padroni del territorio.” E del resto, il titolo del furibondo articolo è: ““When in Rome, Sea Gulls do as they please” ovvero “A Roma, I gabbiani fanno quel che gli pare e piace”.

I gabbiani di Roma e le armi di New York: gabbiano a Castel Sant'Angelo, Roma
Gabbiano su angelo di fronte a Castel Sant’Angelo

Wow!!! Sono veramente curiosa di sapere dove, qui a Roma, il signor Horowitz abbia visto un gabbiano “attaccare le persone” perché io, nel corso di decenni, in quelle rare volte in cui ne ho visto uno che non era appollaiato troppo in alto, ho sempre provato ad avvicinarmi, silenziosamente e a volte anche con del pane da dargli – per riuscire ad accarezzarlo o a fotografarlo da vicino – ma il gabbiano è sempre fuggito. E che a Roma i poveri gabbiani facciano “as they please” è parimenti falso, oltre che ridicolo. Dispiace contraddire il NYTimes ma qui a Roma i gabbiani sono sempre molto circospetti, vivono la città esclusivamente dall’alto, non solo per controllare meglio le possibili risorse di cibo ma anche e soprattutto perché temono gli esseri umani e, ben lungi dall’attaccarli, evitano proprio di trovarglisi vicino.

Gabbiano sul balcone, Roma centro

Perché se parliamo di immondizia è vero, la raccolta di rifiuti a Roma, pur se costosissima per noi cittadini, non funziona minimamente. Noi paghiamo – tanto – per un servizio che non ci viene fornito. A voi il piacere di scegliere il nome da dare a questa simpatica pratica. Che è rimasta la stessa con tutte le amministrazioni, di varie parti politiche, che sono venute una dopo l’altra negli ultimi trenta anni.  Perché il sistema di Roma, ormai, è così corrotto, sproporzionatamente fallato, da far pensare a una pianta completamente marcia, che non possa più essere salvata. Bisognerebbe espiantarla e ricominciare dall’inizio, con tutto un nuovo e differente sistema, altrimenti è inutile. Ma, in tutto questo, cosa hanno a che fare i gabbiani? Perché raccontare una versione delle cose del tutto falsa e anti-animalista?

Le armi di New York

A questo punto, quello che mi suscita qualche riflessione è: il NYtimes considera i gabbiani di Roma come creature pericolose, cattive, tanto da meritare una reprimenda addirittura dagli Stati Uniti d’America. Ma forse, se si parla di pericolo, @JasonHorowitz e amici non dovrebbero invece pensare al problema – tutto loro – delle armi? Solo per parlare di New York, due anni fa è stata fatta una legge per cui non si poteva entrare armati a Times Square. Una piazza sola, quindi. Beh, qui a Roma avremo pure i “terribili gabbiani”, ma tutte le nostre piazze sono “gun free”. Eppure, anche una sola piazza di New York libera da armi ha scatenato la furia dell’NRA, la potentissima lobby americana delle armi, tanto che la Corte Suprema americana ha subito dichiarato anticostituzionali le nuove regole di New York sulle armi schierandosi di fatto a sostegno di chi chiede una maggiore diffusione delle armi. Il tutto a poche settimane dalle due orribili stragi a Buffalo, New York e Uvalde, Texas.

I gabbiani di Roma e le armi di New York
Gabbiano a Campo de’ Fiori, Roma

I gabbiani di Roma e le armi di New York

Nel 2020 il New York Time fece un’inchiesta da cui è risultato che nel mese successivo al massacro della Sandy Hook Elementary School, dove morirono in 27, quasi tutti bambini fra i 6 e i 7 anni, gli americani hanno acquistato circa 2 milioni di pistole. E ogni volta che in America c’è un attacco di qualsiasi tipo, la vendita delle armi sale vertiginosamente. Perfino nei primi mesi della pandemia hanno venduto una marea di armi. Cosa pensavano di fare, di sparare al virus?

Gli americani hanno una sorta di ossessione compulsiva e narcisista per le armi da fuoco, questo è un fatto. Un fatto terribile quanto innegabile. Proprio come il governatore Fugatti ha una compulsione narcisista nei confronti dei poveri orsi. Per Fugatti non c’è niente da fare, ci vorrebbe una abbondante aggiunta di neuroni, ma al giornalista americano, che come me racconta storie, posso provare a far cambiare idea sui nostri gabbiani raccontando la storia di Emilio, gabbiano romano molto speciale.

Emilio, gabbiano romano

Emilio, gabbiano romano

Il gabbiano Emilio deve il suo nome alla Basilica Emilia, nel Foro Romano, dove ha scelto di nidificare. Gli archeologi che lavorano nel Parco Archeologico del Colosseo hanno raccontato che tutti gli anni, a luglio, Emilio si allontana e vola per ben 750 km verso nord, sorvola le Alpi e se ne resta “in vacanza” per qualche mese sul Lago di Costanza, in Svizzera.

Quando è di nuovo inverno e per il gabbiano reale si avvicina la nuova stagione riproduttiva, eccolo tornare a Roma, puntuale come un orologio, nel suo nido accanto al Colosseo. I dati che lo riguardano sono rilevati ed elaborati da Ornis italica, un’associazione non-profit formata da biologi e scienziati ambientali con cui il Parco ha siglato un protocollo d’intesa.

Inoltre, sulla pagina Facebook del Parco archeologico del Colosseo è stata pubblicata una mappa che mostra tutti i voli effettuati finora da sei gabbiani che risiedono nel Foro Romano.

L’etologo Claudio Carere dice: “Nelle grandi città del nord Europa o a Napoli i gabbiani sono parte della collettività e quindi, come succede anche con esseri umani che vengono da paesi lontani, con culture diverse dalla nostra il conflitto diminuisce quando c’è la conoscenza. Per esempio il gabbiano sul becco ha una specie di bottone che se premuto fa rigurgitare la preda nel becco del piccolo. Vedere questa scena è commovente, e se hai un cuore cambierai subito la tua idea negativa sui gabbiani. Inoltre il gabbiano non attacca l’uomo, non ne ha motivo. Ovviamente se mi avvicino a un nido, anche per sbaglio, i genitori cercheranno di allontanarmi, ma mai con violenza.”

In breve: impariamo a coabitare con gli animali che appartengono all’area in cui viviamo, impariamo a rispettarli e a conoscerli, e ogni cosa andrà bene. Se nelle grandi città del SudAfrica come Durban, Cape Town, la popolazione si è abituata perfettamente a coabitare con serpenti di ogni genere, dai velenosissimi mamba e cobra reali, fino ai muscolosi pitoni, o Bera, cittadina del Rajasthan, India, dove da tempo umani e leopardi convivono in perfetta armonia, e i leopardi sono trattati come “animali guardiani” dalla popolazione (e il fatto che passeggino indisturbati per le vie della cittadina mentre gli abitanti li salutano abbassando lo sguardo, in segno di reverenza, attira anche molti turisti) allora capiremo quanto insensate e patetiche siano le nostre paure.

Con le armi da fuoco, invece, non si può convivere. Durante l’amministrazione Biden gli Stati Uniti hanno avuto più di 690 sparatorie di massa. Solo nel 2021 45.000 morti, di cui più di 1500 erano bambini o giovani adolescenti. Tutte vittime sacrificate ad un business da 240 miliardi di dollari l’anno, che l’America “is pleased to call it democracy”. (L’America si compiace di chiamarla democrazia).

Altri articoli animalisti scritti su questo blog potete trovarli tutti nella categoria In the name of. Grazie!

Narcisi e Narcisisti

Per parlare di Narcisi e Narcisisti partiamo dal narciso, che è una pianta bulbosa mediterranea, con più di 50 variazioni solo in natura, senza considerare gli ibridi creati dall’uomo, diffusa in tutta l’Europa e oltre. Esiste perfino un narciso cinese importato secoli fa dai preti portoghesi. Di sicuro è una pianta piena di fascino, dai colori prevalentemente gialli e bianchi, e la corolla delicatamente piegata sullo stelo. La sua prerogativa, oltre alla bellezza, è il profumo. Il suo nome viene dal greco νάρκη, narke, che significa torpore, irrigidimento, sonno. Da questo etimo deriva anche “narcotico” e nel caso del narciso molti sostengono che la motivazione del nome dipenda dal profumo così forte da essere considerato inebriante come un narcotico. Ma io credo che – senza nulla togliere al profumo meraviglioso – il vero narcotico risieda in un alcaloide, la narcisina, che rende foglie e bulbi del narciso molto velenosi e in certi casi quel veleno può essere mortale. Di sicuro questa unione fra bellezza e morte, fra Eros e Thanatos, ha reso il narciso degno di uno dei più bei miti greci e classici che ci sono stati tramandati.

Narcisi e Narcisisti: bulbi di narciso giallo
Bulbi di narciso giallo

Il Mito di Narciso raccontato da Ovidio

Nelle Metamorfosi Ovidio ci racconta di Narciso, ragazzo bellissimo, figlio di un fiume, Cefiso e di una ninfa dell’oceano, Liriope. La bellezza di Narciso attirava il desiderio di donne, uomini e ninfe, e, in pratica, di chiunque lo vedesse, come in una sorta di attrazione fatale, ma lui non era interessato all’amore e passava il suo tempo in solitudine, cacciando. Poi la ninfa Eco si innamorò follemente di lui.

Narcisi e Narcisisti: Narciso, di Gyula Benczur
Narciso, di Gyula Benczur, olio su tela, 1881

Eco era stata condannata da Giunone a dover ripetere l’ultima sillaba di ogni parola detta dagli altri, come punizione per aver distratto la dea con lunghi racconti, per dare il tempo a Zeus di amoreggiare con altre ninfe. Narciso respinse il suo amore, ed Eco, disperata, si nascose nei boschi continuando a ripetere il nome dell’amato e smise di nutrirsi fino a perdere il corpo e a diventare solo voce. Allora intervenne Nemesi, dea della giustizia e della vendetta, e per vendicare Eco fece sì che Narciso si innamorasse di se stesso, guardando la sua immagine riflessa in uno specchio d’acqua. Non riuscendo a toccare né a comunicare in nessun modo con la creatura irraggiungibile immersa nell’acqua Narciso si lasciò andare alla disperazione, proprio come Eco, e si lasciò morire di fronte a se stesso.

Narcisi e Narcisisti: Caravaggio, Narciso alla fonte
Caravaggio, Narciso alla fonte, olio su tela, 1597

Il suo corpo fu trasformato nel bellissimo fiore che abita gli ambienti umidi, vicino agli stagni, e che sembra piegare la testa verso il basso, come a specchiarsi, e che prenderà proprio il nome di Narciso.

Da questo mito nasce un termine oggi molto moderno, che spesso diventa patologia, estremamente diffusa ai nostri giorni: il narcisismo, che, di base, consiste nell’impossibilità di accogliere l’altro da sé e nella fissazione sulla propria immagine.

Il termine “narcisismo”

Il termine “narcisismo”, che deriva esplicitamente dal mito di Narciso, indica l’atteggiamento psicologico di chi si interessa esclusivamente a se stesso, al proprio fisico, alle proprie capacità e qualità, e che fa della propria persona oggetto di ammirazione e compiacimento, disinteressandosi del tutto degli altri e delle loro opere. In questo senso il narcisismo è la malattia della nostra società, del terzo millennio dopo Cristo, una vera pandemia molto più grave di quello che potrebbe sembrare. Infatti non esistono vaccini né medicine per questa patologia, che di fatto sta trasformando il mondo in un’orribile arena di combattimento, dove ognuno combatte per se stesso e tutti contro tutti. Senza che ci sia neanche uno che capisca che le condizioni del nostro mondo sotto ogni punto di vista: ambientale, sociale, demografico, per non parlare di diritti civili e della tirannide del denaro (unico amico del narcisista) tirannide che ha ucciso ogni speranza di democrazia, tutto questo non si può cambiare se non siamo realmente uniti.

Narcissus Poeticus
Narcissus Poeticus

Non c’è Covid né malattia che possa competere. Quando arriveremo all’Apocalisse, la Rivelazione* avrà, fra gli altri, sicuramente anche il volto di Narciso.

*Apocalisse deriva dal greco apokálypsis (ἀποκάλυψις), composto da apó (ἀπό, “da”, usato come prefissoide anche in apostrofo, apogeo, apostasia) e kalýptō (καλύπτω, “nascondo”), significa togliere il velo, letteralmente scoperta o disvelamento, quindi Rivelazione.

Narcisi e Narcisisti: vita da narcisista

Il narcisista vive se stesso come fosse il centro dell’Universo e utilizza gli altri solo per soddisfare le esigenze del suo ego smisurato. Questo mega ego potrebbe far pensare che il narcisista sia una persona coraggiosa e convinta delle proprie azioni, mentre in realtà è molto insicuro. La sua insicurezza fa sì che finisca col considerare il parere degli altri su di sé qualcosa di importantissimo, e ovviamente non è capace di accettare e nemmeno affrontare critiche, anche se critiche esposte con gentilezza da persone vicine, persone che più volte gli hanno dimostrato affetto e solidarietà. Ma lui non conosce amore, empatia e nemmeno gratitudine, e per ogni fallimento della sua vita è sempre pronto a cercare qualcuno – amico, parente, collega – a cui accollare la colpa.

Ripete continuamente, come in un mantra, che lui ha sempre ragione, che lui è superlativo in tutto quello che fa, senza accorgersi che questo insensato ripetere lo rende ridicolo o addirittura patetico. Per tornare al mito, l’immagine di Narciso che si piega su se stesso per cercare di raggiungere la figura che vede nel laghetto, fa pensare – senza alcun dubbio – al modo di dire “ripiegarsi su se stessi” o “ripiegarsi sul proprio ombelico” che è molto utilizzato ai nostri giorni per definire persone, o gruppi di persone, a volte perfino partiti politici che non sono interessati ad uscire dalla visione di se stessi e non vengono mai neanche sfiorati da quelli che sono i bisogni, gli interessi, le necessità di buona parte del resto degli esseri umani.

Il narcisismo come patologia

Il narcisismo diviene una condizione patologica quando l’individuo rimane ‘bloccato’ all’interno del mito, senza possibilità di crescere, evolversi in modo sia produttivo che creativo con gli altri. Il processo che investe Narciso è il contrario di un’evoluzione naturale che non può rimanere immobile ma ha invece bisogno di piccoli o grandi cambiamenti, di quello che – mutuato dal linguaggio informatico – definiremmo “patch” per potersi evolvere e crescere.

L’Ego del narcisista, invece, percepisce solo se stesso, è privo di filiazioni e parentele e mira a mantenere solo relazioni fusionali. Cosa sono, dunque, le relazioni fusionali? Le relazioni possono essere definite fusionali quando due persone sono intrecciate l’una all’altra fino a fondersi e a creare una gran confusione nelle specifiche posizioni, che siano relazionali (la madre che diventa grande amica della figlia, ad esempio) o nei loro ruoli (il padre che chiede al figlio di proteggerlo) o nelle rispettive identità (ammirare un’amica fino ad imitarla in modo inquietante).

Narcisi intorno a un lago

Per capire come questo disturbo cresce e diventa patologico bisogna inquadrare il rapporto madre-bambino nella sua evoluzione, dall’iniziale fase fusionale-simbiotica alla relazione adulta, che non può essere altro che una progressiva separazione dal corpo materno. Normalmente, il bambino si rispecchia all’inizio nella madre, cosa che, più tardi, gli permetterà di separarsi da lei e crescere autonomamente. Se invece la madre è assente, o non ha il minimo istinto materno, o – non in pochi casi, purtroppo – è sadica e gode nell’abuso del proprio figlio bambino, la sola compensazione che il bimbo riesce a trovare è sostituire l’immagine della madre con l’immagine riflessa del proprio corpo. Questa sostituzione impedisce il processo di crescita senza il quale nessun frutto arriva alla maturazione e nessun essere umano può raggiungere l’identità adulta. Non sarà mai in grado di avere una percezione di sé che gli permetta di relazionarsi realmente al mondo esterno invece che solo a se stesso.

Narcisi e Narcisisti. Narcisi nel giardino di casa.
www.ostinataecontraria.com

Narcisi e Narcisisti: Narcisismo e Social Media

Una spinta ulteriore e molto forte allo sviluppo del narcisismo in quanto malattia della società l’hanno data i Social Media. Nati come strumento per socializzare anche con chi abita in altre città o nazioni, o per conversare su argomenti specifici con persone che mai ti capiterebbe di conoscere, sono diventati, rapidamente, il mezzo migliore per trasportarci tutti di fronte a quel laghetto e narrare la meraviglia di ciò che vediamo ma non riusciamo ad afferrare. Ci sono vari soggetti affetti da “social-narcisismo” ma voglio citare solo quelli che reputo i peggiori: persone piene di soldi che raccontano i loro viaggi “fantastici” conditi da stupide foto o i loro mesi trascorsi in una delle tante ville che possiedono, senza provare vergogna, senza pensare che fra i tanti “amici” ci sono persone che non hanno i soldi né per i viaggi né per le ville, o peggio, senza pensare che, in quella stessa acqua, a poche miglia da dove fanno il bagno in qualche luogo meraviglioso dell’estremo sud Italia, c’è gente che sta affogando, o sta disperatamente cercando di raggiungere un sogno che, per citare Scott Fitzgerald, è sempre stato alle loro spalle.

Narcisi e Narcisisti: Narciso di Gerard Van Kkuijl  1645
Narciso di Gerard Van Kuijl, olio su tela, 1645

Inoltre, una delle tante cose negative dei cosiddetti “Social” (che forse sarebbe più giusto chiamare Asocial) è che molta gente dopo un po’ diventa irritata o irritabile, si sfoga con rabbia, cattiveria, mostra   la propria ignoranza – anche qui senza vergogna – e aggredisce persone sconosciute o perfino vecchi amici dell’Era Pre-Social come se fosse in missione per conto delle Erinni. Per non parlare di quelli che leccano i piedi ai potenti e maltrattano i deboli. O quelli che ti usano quando gli fa comodo e poi spariscono. O anche quelli che guardano il tuo numero di “amici” o di “followers” e in base a quello giudicano. Il tutto è di una tristezza infinita, senza parole.

Guardarsi nel laghetto senza nemmeno essere innamorati di quello che vedi non fa differenza: ugualmente ci morirai dentro perché quella visione, bella o orribile che ti possa sembrare, è come il canto di una Sirena. Non puoi resistere al canto delle Sirene, e quando ti tuffi, loro ti sbranano. Buona fortuna, amici Narcisisti.

LA SINDROME DA RASSEGNAZIONE DEI BAMBINI MIGRANTI

La sindrome da rassegnazione: madre e figlia

In quanti siete a conoscere “La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti”? Pur essendo una patologia grave e molto particolare, credo che siano in pochi ad averne sentito parlare, visto che i nostri media -in particolar modo i vari talk show giornalistici televisivi- non la citano nemmeno per sbaglio. Eppure si tratta di una patologia terribile, che funziona anche come specchio per il nostro ingiusto e avido mondo contemporaneo.

A questa patologia hanno dato vari nomi: Sindrome del rifiuto traumatico, Sindrome del sonno profondo, Sindrome della Bella addormentata, o, in Svezia, dove è nata “uppgivenhetssyndrom”. Di base è una condizione psicologica che porta a uno stato di notevole riduzione della coscienza. Inizialmente è stata riscontrata in Svezia, negli anni ‘90, fra i figli dei richiedenti asilo che provenivano dai paesi dell’ex Unione Sovietica, dell’ex Jugoslavia e più tardi dalla Siria. Col passare degli anni e l’aumentare delle guerre, delle invasioni – a iniziare da quelle “economiche e quindi legittime” – della miseria, fame, malattie, sono aumentati i flussi migratori e di conseguenza anche i malati di sindrome da rassegnazione.

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti

Chi si ammala di sindrome da rassegnazione?

Colpisce prevalentemente bambini fra i quattro e i dodici anni (più raramente adolescenti fino ai 15 anni), in seguito al trauma delle violenze vissute nel paese d’origine, al trauma della migrazione e a causa dell’insicurezza in cui sono costretti a vivere. Che cosa hanno in comune bambini e giovani ragazzi colpiti da questa patologia? Sono tutti figli di rifugiati, a cui lo Stato Svedese ha revocato – o rischia di revocare – il permesso di soggiorno. Bambini che crescono sotto alla spada di Damocle del rinnovo, arrivati piccoli, o molto piccoli, in Svezia, cresciuti imparando una lingua e una cultura molto differenti da quelle di provenienza, e che vivono nel terrore di essere rispediti indietro; il che, nella peggiore delle ipotesi, significa che i genitori saranno giustiziati o finiranno in carcere a lungo, e nella migliore delle ipotesi le famiglie potranno scegliere se morire di bombe, di fame o di qualche malattia. Pensate alla Siria adesso: in contemporanea c’è la guerra, il terremoto e l’epidemia di colera. Fa pensare a quella canzone di Fabrizio De André: “Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi.”

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: sorella maggiore legge alla sorellina in coma
La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: sorella maggiore legge una favola alla sorellina in stato d’incoscienza

Se hanno una cosa in comune, questi bambini figli di molte parti del mondo, è quindi l’insicurezza quotidiana, vissuta in prima persona e filtrata dalla famiglia, in attesa di sapere cosa ne sarà di loro. Inizialmente, in Svezia, in molti hanno ipotizzato una messinscena da parte di questi bambini catatonici (purtroppo noi italiani – a quanto pare – non siamo i soli a dare la colpa di una tragedia alle vittime, come ha appena fatto il nostro ministro dell’interno nel caso del naufragio-strage a cento metri dalle rive di Cutro, Calabria).  Ma tutti i medici che hanno preso in carico la questione hanno confermato la profondità della patologia, che nei casi più estremi ha portato i malati in uno stato di coma per oltre due anni.

Quando la sindrome è stata riconosciuta ufficialmente

Nonostante fosse stata segnalata, almeno in Svezia ripetutamente dagli anni ‘90, questa condizione non è stata riconosciuta dai pediatri e dagli psichiatri infantili per molti anni. Ma poi, a causa dell’aumento notevole del numero dei malati, dal 1 gennaio 2014 il Consiglio nazionale svedese per la salute e il benessere ha identificato questa sindrome con una diagnosi ufficiale e l’ha inserita nella classificazione svedese degli ICD-10.

La sindrome da rassegnazione. Photo by Magnus Wennman
La sindrome da rassegnazione; foto di Magnus Wennman, vincitore di due World Press Photo Awards

Una delle particolarità di questa patologia è che tutti i casi che si sono verificati fino ad ora sono stati registrati solo in Svezia. Pochissimi bambini e ragazzi con sintomi uguali o simili sono stati segnalati da altri paesi europei. Recentemente però, sono stati segnalati dall’Australia un certo numero di bambini rifugiati e richiedenti asilo con una sindrome molto simile a quella da rassegnazione: erano sull’isola di Nauru da diversi anni e sull’isola sono stati allestiti centri di detenzione per i profughi. Andando indietro nel tempo è possibile trovare casi di manifestazioni simili alla sindrome da rassegnazione in ragazzi e giovani adulti deportati nei campi di concentramento nazisti, e questo credo che dica tutto…

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: i sintomi

La sindrome da rassegnazione nei bambini e negli adolescenti inizia con sintomi di ansia e depressione, in particolare apatia e letargia. Pian piano questi bambini e adolescenti iniziano a mostrarsi nervosi, irritabili, e come ultimo step si allontanano dal mondo, giorno dopo giorno, si chiudono in se stessi come ricci, senza più desideri né passioni, e totalmente disinteressati alla scuola e al gioco.

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: Magnus Wennman fotografo
La sindrome da rassegnazione: foto Magnus Wennman

Gli incoraggiamenti dei familiari sbattono contro un muro di gomma. Dopo qualche tempo smettono di camminare, parlare, mangiare e diventano deboli, incontinenti, incapaci di reagire perfino agli stimoli dolorosi. E dopo un periodo più o meno breve, alcuni di loro arrivano a una condizione letargica e di incoscienza, mentre altri vanno in coma, che può durare mesi o anni.  

Bambini migranti. foto di Magnus Wennman

A seconda della reattività agli stimoli, i medici hanno suddiviso i sintomi, e di conseguenza la patologia, in due categorie:

Sintomi di “grado 1”: quando i bambini mostrano qualche parola strascicata come risposta se si parla loro, camminano di tanto in tanto con un supporto e riescono a ingoiare qualche cucchiaio di minestra o frutta frullata;

Sintomi di “grado 2”: quando i bambini non hanno alcuna reazione al tatto, al suono, al dolore o al calore ed è necessaria l’alimentazione con sondino. Possono essere presenti anche tachicardia, temperatura elevata, sudorazione eccessiva ed iperventilazione.

A seconda della variabilità individuale, la sindrome può regredire e di conseguenza vengono ripristinate gradualmente tutte le funzioni cognitive e motorie. Questo, però, può verificarsi anche dopo alcuni anni di tempo.

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti. Foto di M.Wennman
Foto: Magnus Wennman

Il neurologo svedese a capo degli studi sulla sindrome all’interno dell’ospedale Pediatrico Astrid Lindgren di Stoccolma, si è espresso più volte sulla necessità del rinnovo del permesso di soggiorno per le famiglie di questi bambini, per ottenerne la guarigione. Gli svedesi sono riusciti, con una petizione, a far rimanere nel loro paese 30.000 famiglie con permesso scaduto. Perché comunque sia, che lo stato da rifugiati spetti loro o no, bisogna essere consapevoli che i bambini sono sempre vittime. Attraversare il mondo con fatica e mezzi di fortuna e non sempre al seguito dei genitori, in viaggi che a volte durano anni interi, mette a rischio non solo la sopravvivenza, ma anche la psiche di questi bambini, come piccoli Odisseo alla disperata ricerca di Itaca, che – una volta giunti a destinazione – avrebbero il diritto di potersi fermare e respirare, ma la condizione di precarietà legata alle scadenze dei rinnovi non glielo permette. Come se fuggire dalla miseria, dalla carestia, dalla fame, dalle malattie, dalle torture di qualche tirannia non sia già stato sufficiente.

Perché il sonno

Il sonno profondo è la risposta a una sofferenza intensa ed espressa a livello corporeo, come se l’assenza assoluta della capacità di interagire a qualsiasi stimolo fosse un meccanismo di protezione. Il ritiro dal mondo è un comportamento che viene messo in atto per evitare una situazione insostenibile, una dissociazione che nei gruppi di bambini può trasformarsi in una sorta di “contagio emotivo”. Questa condizione può essere aggravata anche dalla familiarità per disturbi mentali. 

Sindrome da rassegnazione: genitori migranti con la figlia in coma
La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti

Ma la scelta del cervello che – per andare in protezione del corpo e della mente – decide di optare per un sonno così profondo che spesso diventa coma spiega molte cose. Prima di tutto spiega perché fra le vittime di questa patologia ci sono solo bambini o giovani adolescenti. Perché nessun adulto? Perché gli adulti, in casi di estrema disperazione, hanno la possibilità di fare un’altra scelta: quella del suicidio, che nessun bambino, almeno fino ai dodici-tredici anni sarebbe mai in grado di fare.

E se qualcuno dovesse domandarsi che cosa ha a che vedere il sonno con la morte, proverò a rispondere tramite il mito, che potrebbe farci capire qualcosa di più di questa sindrome che nessuno riesce ancora a comprendere veramente.

Hypnos e Thanatos, i due gemelli del mito classico greco

vaso greco classico: Hypnos e Thanatos depongono un eroe morto
Vaso con Hypnos e Thanatos, ovvero Sonno e Morte, i due gemelli alati nella “deposizione” di un eroe morto

Hypnos, il Sonno, e Thanatos, la Morte, sono entrambi figli di Nyx, la Notte ed Erebo, la Tenebra Infera, ovvero: la Notte che porta i sogni e la Tenebra Infera che porta la fine della vita. Eppure hanno preso porzioni diverse di “eredità genetica”. Hypnos entra ed esce dai corpi senza recare danno a nessuno, e quindi appartiene allo stato dell’essere. Thanatos, invece, entra nei corpi solo nel momento in cui separa l’anima eterna dal corpo mortale, e di conseguenza appartiene allo stato del non-essere.

La parentela del sonno con la morte costituisce uno dei topoi maggiormente consolidati della letteratura di ogni tempo: Omero esalta la potenza di Hypnos, fratello gemello di Thanatos, nell’episodio della Διὸς ἀπάτη (l’inganno nei confronti di Zeus), quando Era vuole distogliere il suo regale sposo dalle incombenze della guerra di Troia (Iliade XIV 231-237). Sempre nell’Iliade, vediamo i due gemelli, qui definiti da Omero come “veloci portatori” mentre attuano uno dei compiti più importanti che i due gemelli devono svolgere – nel campo dell’epica e del mito in genere – ovvero il compito della “deposizione dell’eroe morto”; in questo caso a Hypnos e Thanatos è affidato il compito di trasportare in Licia il cadavere di Sarpedone, perché possa ricevere i dovuti onori funebri (Iliade XVI 677-683):

“(Apollo) lo unse d’ambrosia e gli mise addosso vesti immortali;
poi lo affidò ai portatori veloci,
il Sonno e la Morte, i gemelli, che subito
lo deposero nella ricca regione di Licia
.”

La sindrome da rassegnazione: Hypnos e Thanatos in un anime "I cavalieri dello Zodiaco"
I gemelli Hypnos e Thanatos in un famoso anime “I cavalieri dello Zodiaco” che fa capire quanto il mito greco sia così importante da essere arrivato fino alla cultura popolare dell’Estremo Oriente

Esiodo nel rappresentare la morte degli eroi della generazione aurea, per rappresentare il tipo di morte ideale, senza alcuna sofferenza, dice: «morivano come vinti dal sonno» (Teogonia 116) e più avanti, sulla parentela fra sonno e morte, si sofferma in una lunga descrizione (Teogonia 755-766)

Molto bella l’immagine proposta da Alcmane, in un contesto erotico, dove lo sguardo struggente della fanciulla amata è paragonato al sonno o alla morte. Del resto è noto il rapporto ambiguo ma fortissimo fra Thanatos ed Eros:

“e col desiderio che scioglie le membra, e più struggente
del sonno e della morte guarda verso di me”

Fondamentali, nell’ambito  “sindrome da rassegnazione”, sono i contesti nei quali la divinità del sonno è esaltata per i benefici che arreca e viene invocata come rimedio delle sofferenze umane. Così, ad esempio, in Sofocle, Filottete 828-832, il coro lo invoca perché liberi Filottete dal dolore causatogli dalla ferita purulenta:

“Sonno che ignori il dolore, Sonno privo di sofferenze,
vieni a noi col tuo soffio benefico,
Signore beato! Diffondi sugli occhi
questa luce di salvezza, che finalmente risplende!
Vieni a me, vieni, Guaritore!”

Gli esempi sarebbero tantissimi, ma non si può non citare almeno il famosissimo brano di Platone nel quale Socrate, in prossimità dell’esecuzione capitale, paragona la morte al sonno (Apologia di Socrate, 40 c-d).

Ora, se la morte è il non aver più alcuna sensazione, ma è come un sonno che si ha quando nel dormire non si vede più nulla neppure in sogno, allora la morte sarebbe un guadagno meraviglioso… Se, dunque, la morte è qualcosa di tal genere, io dico che è un guadagno. Infatti, tutto quanto il tempo della morte non sembra essere altro che un’unica notte. Invece, se la morte è come un partire di qui per andare in un altro luogo, e sono vere le cose che si raccontano, ossia che in quel luogo ci sono tutti i morti, quale bene, o giudici, ci potrebbe essere più grande di questo?”

Bambino migrante in coma in ospefaleFoto di Magnus Wennman
La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti Foto: Magnus Wennman

Infine bisogna ricordare che, nella Grecia classica, il sonno portatore di sogni era una componente determinante della vita. Tutta l’epica omerica è un continuo di sogni e visioni, di ombre che nel sogno visitano e guidano gli eroi: «Tu dormi, Atride», dice il sogno nel II libro dell’Iliade. «Tu dormi, Achille», dice lo spettro di Patroclo. L’ate, lo stato d’animo che molto spesso decide il comportamento dei guerrieri nel mito greco, è un temporaneo dissociarsi della coscienza, ispirato dagli stessi Dei. Erodoto diceva che non solo il sogno visita il sognatore, ma «gli sta sopra», per far capire il potere onirico di influenzare, profondamente, la realtà del dormiente.

Avendo ampiamente dimostrato la stretta parentela fra Sonno e Morte, è facile ipotizzare che il coma sia una delle fasi che possano portare dal sonno alla morte, e quindi una via di mezzo fra “l’essere” di Hypnos e il “non essere” di Thanatos: forse una scelta ideale per un cervello molto giovane che cerchi scampo da una realtà psicologicamente insostenibile.

Nella sindrome da rassegnazione, poi, è difficile capire – razionalmente – come possano, bambini in stato di coma da tanti mesi, accorgersi se qualcosa di positivo è avvenuto nelle loro vite: principalmente se uno status da rifugiati o un permesso di soggiorno sia stato accordato alla famiglia. E solo allora, piano piano, iniziano a risvegliarsi. Come se, nel corso di quei lunghi mesi o anni di sonno, Hypnos e i suoi figli, i Sogni, abbiano accompagnato i piccoli migranti tenendo sempre per mano la loro coscienza.

Trattamento della sindrome della rassegnazione

Nella sua fase acuta, il trattamento della sindrome della rassegnazione si basa, pertanto, sul mantenimento in vita dell’individuo in stato di torpore. Per garantire la sopravvivenza del bambino sono spesso necessari dei supporti artificiali, come la nutrizione attraverso sondino nasogastrico, l’idratazione endovenosa ed il controllo delle funzioni corporee. Nei casi più gravi si interviene anche con le benzodiazepine per contrastare la catatonia. Ovviamente, fin dalle prime fasi, è necessaria una terapia psicologica, per aiutare bambini e famiglie a rielaborare i traumi e tutte le emozioni dolorose che sono stati costretti a vivere.

La domanda a cui è ancora impossibile dare risposta

Quello che invece rimane incomprensibile, dopo anni di studio e ricerche, è: perché la Svezia? Perché tutto questo accade quasi esclusivamente in Svezia? Sempre che la Svezia non sia altro che “il paziente zero” e questa patologia sia destinata ad espandersi come un’epidemia fra tutti i piccoli migranti che affollano i centri di “accoglienza” della ricca, avida e succube Europa, e che “colpisca” anche tutti i ricchi paesi del mondo che scelgono di spendere miliardi in armi per una guerra ma neanche un centesimo per i poveri e i reietti di tutta la Terra, che siano migranti o meno, il cui numero continua ad aumentare esponenzialmente.

Giancarlino Benedetti Corcos e il suo Festival del NonSense

Benedetti Corcos, note e strisce

Giancarlino Benedetti Corcos è un artista a 360 gradi. Nel senso che si porta dietro l’arte non solo quando dipinge, ma quando parla, cammina, si relaziona con gli altri, ride, inventa cose, scrive, organizza eventi, mangia un panino con la frittata. Giancarlino vive e lavora a due passi da Campo de Fiori, ma è come se fosse rimasto immune al mutamento che il centro storico di Roma, e quella parte soprattutto, fra Tor di Nona, il ghetto, via Giulia, piazza Farnese, Campo de Fiori e piazza Navona ha subìto negli ultimi trenta anni. Fino all’immediato dopo-guerra quell’area di centro storico era ancora fortemente popolare. Oggi è un quartiere abitato da ricchi e da turisti, pieno di locali alla moda, ristoranti di lusso, pub americani o simulacri di pub americani o irlandesi.

Giancarlino Benedetti Corcos, intervista su Ostinata e Contraria
Giancarlino Benedetti Corcos

Eppure nel quartiere c’è ancora un’anima antica che Giancarlino conosce bene. Andare in giro con lui in quella zona è divertente perché è amico di tutti i vecchi artigiani così come di molti fra i nuovi abitanti, che spesso sono suoi collezionisti, e lui è la stessa identica persona con tutti: fluido come acqua che passa attraverso i muri.

Allo stesso modo è fluida la sua arte, che racconta un mondo onirico, favolistico, coloratissimo, musicale: il mondo di Giancarlino. Lui dipinge su vari tipi di superficie, dalla ceramica ai murales ma principalmente su teli di cotone naturale che poi, a seconda di come preferisce il cliente, possono essere attaccati ad una tela e trasformarsi in un quadro o lasciati così come sono.

Domanda: Ciao Giancarlino, inizierei col domandarti: come sei diventato pittore?

Risposta: Di base per due motivi: il primo è la mia passione per l’arte, fin da ragazzino, quando andavo, ad esempio, agli Uffizi con i miei e riconoscevo tutti i quadri del ‘300, ‘400, ‘500. Il secondo è semplice: “Non sapevo fare altro”, frase che diceva anche Schifano. Nella vita l’unica cosa che mi ha dato la possibilità di campare è stata questa. In più c’è una mia visione dell’arte come farmaco, come qualcosa di curativo, che può cambiare i rapporti, cambiare le persone. E poi è una porta verso l’inconscio, verso la realizzazione dell’inconscio. Achille Bonito Oliva diceva: “I quadri di Giancarlino vanno ascoltati, più che guardati” e poi ha sempre detto che il mio lavoro non è mai aggressivo, e questo mi ha fatto davvero piacere.

Giancarlino Benedetti Corcos, Demetra
Benedetti Corcos: Demetra

D. E le tue ispirazioni da un punto di vista strettamente artistico?

R. Intanto tutta l’arte greca e romana. Poi, come ho detto prima, i grandi maestri, dal ‘300 al ‘600. E passerei direttamente ai tre grandi pittori che mi hanno colpito, influenzato, che sono El Greco, Goya e Rembrandt fino ad arrivare al grandissimo Francis Bacon.

Giancarlino Benedetti Corcos, città
Benedetti Corcos

D. Io trovo che, almeno nei tuoi quadri recenti, ci sia molto Klimt.

R. Certo, i due grandi pittori della secessione viennese sono Klimt e Schiele, molto diversi sotto tutti i punti di vista, anche quello sociale. Klimt, che era un uomo di potere ha cercato molto di aiutare Schiele che però non voleva essere aiutato. Di diverso c’è che la mia pittura è anche una presa in giro della pittura, è una pittura che non cerca il valore tecnico.

D. Mi parli di Achille Bonito Oliva?

R. Achille è l’unico storico dell’arte che io conosco che riesca ad entrare nella parte letteraria della pittura. Lui riesce a entrare nei ritmi delle cose trasferendo però questi ritmi nel quotidiano. Io per esempio, per un lungo periodo ho fatto tutto un lavoro sulla “pattinatrice”, questa pattinatrice che va sopra e va sotto, che entra nel Carcere Mamertino e poi ne esce, e questo rappresenta il partire dal classico per arrivare all’oggi. Cosa che è sempre stata una delle grandi capacità di Achille.

Intervista a Giancarlino Benedetti Corcos

D. Quando hai iniziato a guadagnare con quello che dipingevi?

R. A 27 anni, circa. I miei lavori su carta, sulla carta da pacchi, sulla carta paglia, sono state le prime cose che ho venduto.

D. E che cosa ti ha aperto la strada verso il mondo del mercato?

R. Sicuramente una mia ottima capacità di relazionarmi con le persone, ma anche le recensioni che, dal 1984 mi ha fatto Achille. Però sono sempre rimasto marginale, ho voluto sempre essere me stesso, ho scelto di mantenere una mia autonomia da tutto.

Giancarlino Benedetti Corcos

D. A proposito di autonomia dell’arte, cosa pensi della Street Art?

R. Ci sono molti street artists che amo. Ad esempio il lavoro che hanno fatto a San Basilio è meraviglioso, ma certo, in questi ambiti anche l’architettura dovrebbe fare la sua parte. Ad esempio Banksy, il più famoso: non c’è dubbio che rappresenti una parte dell’arte inglese, è un erede di certa arte inglese ed è sicuramente interessante anche il suo modo di essere stato presente nel quotidiano, ammiccando o non ammiccando. Parliamo di un’arte che però non è di opposizione, anche se è così che viene venduta, mentre in realtà è del tutto trasversale.

Giancarlino Benedetti Corcos, opera

D. Tornando a quello che dicevi prima, che sei molto connesso con la musica, tanto che anche Bonito Oliva considerava la tua pittura come qualcosa da ascoltare, qual è la tua musica preferita?

R. In questo periodo sto ascoltando molto Frank Zappa ed è descritto, nel web, come un musicista nonsense, che mi riporta al festival che sto organizzando. Poi in questo periodo sto rivalutando molto alcuni musicisti tipo Albarn Berg, Schonberg, o il grande Bruno Maderna, tutta musica dodecafonica.

Giancarlino Benedetti Corcos, il giallo

D. Andando avanti, come descriveresti la tua vita adesso?

R. Io ho avuto una compagna per 30 anni, Laura, con cui scrivevamo delle piccole commedie, dipingevamo ceramiche, abbiamo fatto tante cose bellissime insieme, mostre in tutta Europa, e poi è morta 10 anni fa. Ovviamente è stato per me un grande lutto, difficile da superare. Ma avendo io un rapporto molto bello e costante con il sogno, considero Laura come parte integrante della mia vita, perché la sogno continuamente. E poi anche sul lavoro ho conosciuto tante persone belle e ho scoperto che ogni persona è unica, decisamente.

Benedetti Corcos, ortaggi
Giancarlino Benedetti Corcos, ortaggi

D. Parliamo adesso di questo festival che stai organizzando, “Il Festival del NonSense”. Se mi racconti un attimo il perché e come pensi di svolgerlo.

R. All’inizio ho apprezzato molto il lavoro di Cosimo Angeleri, uno scrittore mio amico, e il suo libro Frantumpio che è tutto nonsense. Poi mi è venuto in mente di creare una sorta di palinsesto, una forma che io identifico con un esagramma dell’I Ching “Il crogiuolo”, dentro cui tutti possono mettere il proprio nonsense, considerando il nonsense non solo un semplice gioco di parole fatto per far ridere, ma una sorta di trasformazione del linguaggio che si presta alla fantasia di ognuno. Beckett, ad esempio, nel suo essere surreale, è più fuori sense che non sense, come fosse un fotogramma “fuori quadro” solo per fare un esempio, ma rientra perfettamente nella nostra visione di nonsense. Una visione con la mente ben aperta.

Benedetti Corcos, vaso in ceramica
Benedetti Corcos, lampada in ceramica

D. Come pensi di organizzarlo, quindi?

R. Come uno “Speaker corner”. Prima ci sarà una lista di artisti, che saranno scrittori, musicisti, pittori, ballerini, ognuno presentando il suo lavoro in modo rapido, per forza di cose. Alla fine, se ci sarà tempo, tutti gli spettatori avranno la possibilità di partecipare con il loro proprio nonsense, per instillare nelle persone una capacità di auto-nonsense. Questa cosa porterà sicuramente un benessere dal punto di vista del divertimento, della lingua, nel capire che ogni nonsense ha una sua forte motivazione.

D. Quindi all’inizio ci sarà una lista di partecipanti.

R. Sarà un grande happening spettacolo con una lista. Poi “invasione di campo” da parte di chiunque, fra il pubblico, voglia improvvisare un suo nonsense.

Benedetti Corcos, fiori

D. Mi domandavo, quelli che portano dei quadri, dei disegni che non sono giganteschi come fanno a farli vedere?

R. Apriranno il rotolo, piccolo o grande che sia e poi ci sarà una “valletta” che lo porterà in giro per il pubblico. Io sarò il regista e fischierò… oppure se lo metteranno addosso tipo uomo-sandwich. Insomma, ci sarà un po’ di improvvisazione perché questo evento è una sorta di arnese che io ho creato per darlo agli altri.

Benedetti Corcos, green

D. Quindi quelli che ancora volessero iscriversi, o che fossero interessati alle tue opere possono contattarti tramite il messenger del tuo account Facebook Giancarlino Benedetti Corcos?

R. Certo. Il tutto avverrà il 27 ottobre 2022 al centro Zalib, all’aperto, via della Penitenza, Roma. Ci sarà un secondo giorno, il 28 ottobre 2022 alla Cappella Orsini, Piazza Grottapinta, Roma, dove però saranno solo attori a leggere i testi e quindi l’happening vero e proprio sarà il 27. Sulla locandina c’è scritto tutto.

Festival del NonSense locandina
Festival del NonSense locandina

UOMINI CHE ODIANO I LUPI

Uomini che odiano i lupi: lupo grigio

Gli uomini che odiano i lupi sono tanti, proprio come gli uomini che odiano le donne, e nonostante i lupi siano diminuiti in modo tristemente notevole su tutta la superficie terrestre, l’odio di questi uomini non diminuisce, anzi, se possibile aumenta. In alcuni luoghi della Terra il lupo è completamente estinto e in altre zone, come l’Italia, per scongiurare l’estinzione ormai prossima sono nati progetti di reinserimento del lupo nella fauna dei principali parchi nazionali, non solo perché il lupo è un animale meraviglioso che appartiene al nostro Paese, ma anche perché è fondamentale per mantenere stabile l’ecosistema. Basta informarsi sulla cascata trofica avvenuta a Yellowstone, USA, in seguito all’estinzione dei lupi per capire come siano importanti. Attualmente si contano circa 3300 lupi in tutto il territorio nazionale, ma si calcola che ogni anno siano almeno 300-400 i lupi che vengono massacrati dall’uomo.

Uomini che odiano i lupi: cucciolo di lupo grigio
Uomini che odiano i lupi: cucciolo di lupo

Chi sono dunque gli uomini che odiano i lupi? Nessun animale, come il lupo, è simbolo della natura selvaggia, della bellezza, della libertà, della magia, della socialità, delle culture antichissime di quasi tutto il mondo. Gli uomini che odiano i lupi non a caso odiano tutto ciò che non è “loro proprietà” e non potrà esserlo mai, come la natura, la bellezza, la cultura.

UOMINI CHE ODIANO I LUPI: LUPI MASSACRATI IN ITALIA NEGLI ULTIMI ANNI

Questi che seguono sono solo alcuni esempi, particolarmente significativi per ferocia e meschinità, presi dai tanti episodi di lupi massacrati di recente dall’uomo in Italia.

2017: Coriano, provincia di Rimini, lupo appeso alla fermata dell’autobus dopo essere stato seviziato con un forcone e ucciso fracassandogli il cranio.

Uomini che uccidono i lupi: Coriano, Rimini, lupo ucciso e appeso a fermata bus
Coriano, Rimini: lupo ucciso e appeso alla fermata dell’autobus

2017: Pitigliano, provincia di Grosseto, lupo decapitato e con la coda mozzata abbandonato in mezzo alla strada.

2017: Pergola, provincia di Pesaro, lupo decapitato e abbandonato in uno spartitraffico.

Uomini che odiano i lupi: Pergola, Pesaro, lupo decapitato
Pergola, Pesaro: lupo decapitato abbandonato in uno spartitraffico

2017: Rocca Priora, provincia di Roma, lupo inchiodato per una zampa ad un palo ed esposto sotto il portale di ingresso al paese.

2017: Parco nazionale d’Abruzzo, zona Opi, cinque cuccioli di lupo, nati da meno di un mese, ritrovati uccisi, probabilmente avvelenati o soffocati.

2020: Marcellinara, provincia di Catanzaro, lupo avvelenato e poi impiccato al cartello di entrata del paese

Uomini che odiano i lupi: Marcellinara, CZ, lupo avvelenato e appeso al cartello del paese
Uomini che odiano i lupi: Marcellinara, Catanzaro, lupo avvelenato e appeso all’entrata del paese

2022 Provincia di Ancona, tre lupi ritrovati nelle campagne marchigiane, uccisi uno al laccio, uno colpito da un proiettile, il terzo avvelenato. Due lupi erano dotati di radiocollare.

2022: Caprara, al centro di Monte Sole, nel Parco dell’Emilia orientale, un intero branco di lupi è stato eliminato per avvelenamento tramite pesticidi pericolosissimi, il Brodifacoum e il Bromadiolone, che sono però liberamente in vendita e facilmente acquistabili. Il responsabile dell’area Ambiente dell’Ente Parco Emilia Orientale, David Bianco ha detto “È un fatto gravissimo, anche perché a Monte Sole non ci sono pecore o altri allevamenti, e i lupi vivono in equilibrio, senza creare problemi”.

2022: Valchiavenna, provincia di Sondrio, un lupo è stato ucciso, decapitato e la sua testa attaccata a un cartello stradale con – in aggiunta – un foglio con su scritto “I professori parlano, gli ignoranti sparano”

Uomini che odiano i lupi: provincia di Sondrio, lupo decapitato e testa appesa con scritta "Gli ignoranti sparano"
Sondrio: lupo decapitato e la testa appesa a cartello stradale insieme a scritta

GLI IGNORANTI SPARANO

I criminali che hanno ucciso e decapitato poche settimane fa un lupo a Sondrio una cosa giusta l’hanno detta: “Gli ignoranti sparano”. Infatti, nel secondo millennio d.C. tutti quelli che considerano ancora la caccia uno sport e si divertono ad andare a sparare a piccole creature come uccelli e lepri con fucili potentissimi, hanno di sicuro una cosa in comune: l’ignoranza e la ferocia. Per quanto riguarda il lupo dobbiamo ricordare che in Italia è una specie protetta rigorosamente dalla legge e chi gli fa del male o lo uccide rischia fino a tre anni di carcere (purtroppo solo in teoria). Eppure, gli assassini di lupi di Sondrio sono orgogliosi della propria ignoranza e se ne vantano. Questa è una novità molto triste che va però a braccetto col percorso che sta facendo il mondo. Potremmo aggiungere che, in Italia di sicuro “gli ignoranti vengono eletti in Parlamento”, che “gli ignoranti governano”, che spesso “gli ignoranti fanno i giornalisti”, che ancora più spesso “gli ignoranti fanno ottime carriere” e anche che “gli ignoranti sono una razza trasversale, sia politicamente che socialmente: si va dal coatto al radical chic, dall’uomo di estrema destra a quello che si dichiara moderato”. Il nostro mondo, ormai, è un mondo dove solo nascere in una famiglia ricca e potente può garantirti una vita decente. Se non sei ricco ma sei ignorante e feroce, privo di ogni scrupolo, avrai comunque delle opportunità da poter sfruttare.

UOMINI CHE ODIANO I LUPI: IL CULTO DEL LUPO NEI MILLENNI

I nativi d’America hanno sempre ritenuto che l’osservazione attenta dei lupi e dei loro comportamenti ci possa aiutare a guarire interiormente: da qui il termine “la medicina del lupo”, che è di base una medicina dell’anima. Ti aiuta a immagazzinare forza interiore con cui affrontare le sfide che incontrerai nella vita. Il lupo, non a caso, è sempre stato considerato un animale sacro dai nativi d’America.

Uomini che odiano i lupi: disegno di lupi e nativi d'America
Lupi e Nativi d’America

Il lupo è al centro anche degli antichi miti norreni: i suoi occhi sono molto luminosi di notte e questo fa sì che rappresenti la Luce Primordiale.

Nell’antica mitologia greca, l’aurora veniva chiamata anche “lykauges”, ovvero “luce dei lupi”, perché grazie al loro tapetum lucidum, strato riflettente a forma di mezzaluna situato dietro la retina, riescono a vedere anche al buio.

In Siberia il lupo rappresenta la fecondità, per i turchi e i mongoli è l’antenato del conquistatore Gengis Khan: il lupo celeste è il compagno della cerva bianca, che rappresenta la terra da cui nascono eroi e famosi guerrieri, mentre il lupo bianco, Fenrir fu associato, negli antichi miti nordici al dio della vittoria Tyr, ed alla di lui runa Taiwaz, ma anche al Dio Apollo presso le antiche popolazioni greche e romane. In greco antico lupo si diceva “lukos”, e “lukios” era uno degli appellativi di Apollo, come luke, lux, luceo, liceo, tutti riferimenti al lupo, animale a lui sacro, e alla terra di Licia, la regione nella quale era nato Apollo. Il bosco sacro che circondava il tempio di Apollo era inoltre chiamato lukaion, ovvero regno del lupo; Aristotele vi teneva le sue lezioni: da qui l’origine della parola liceo. Sembra ovvio che un animale sacro che ha dato il nome a un’istituzione creata per la conoscenza come il liceo non possa essere amato da chi è fiero della propria ignoranza.

Uomini che odiano i lupi: lo splendido lupo bianco
Uomini che odiano i lupi: il lupo bianco

Nei musei di Perugia e Volterra sono conservati dei vasi funerari etruschi raffiguranti il lupo che si affaccia dalla caverna in comunicazione con l’altro mondo. Infatti anche il lupo era visto come una delle creature che sorvegliano l’entrata del mondo dei morti e le sue fauci simboleggiavano l’antro dell’aldilà, da cui una volta entrati non si fa più ritorno.

Antico mascherone in bronzo con faccia di lupo per fontana: Capua, Eboli
Antico mascherone in bronzo per fontana raffigurante lupo ritrovato a Capua, Eboli

Da “IL PATIBOLO” di AJTMATOV, SCRITTORE KIRGHISO, 1986

“Ma ecco il cielo tuonare: di nuovo gli elicotteri. Questa volta volarono bassi e minacciosi sopra i gruppi di antilopi. Tutto avvenne in maniera brusca e imprevedibile, alcune centinaia di antilopi impazzite si abbandonarono al panico totale non avendo resistenza alcuna da opporre ai motori dell’aviazione. Era proprio ciò che gli elicotteri si proponevano. Schiacciando a terra la mandria in fuga e superandola la costringevano a scontrarsi con un’altra e poi un’altra e un’altra coinvolgendo così in questo finimondo masse sterminate di abitanti della savana. E non solo di antilopi ma anche di lupi.

Akbara e i suoi fuggirono a rotta di collo alla ricerca di un rifugio sicuro. Ma era destino che non lo trovassero. I lupi si trovarono mischiati a quel torrente largo e turbinoso che incalzava. Si trovavano ora imprigionati in quella grande fuga generale, incredibile e inverosimile… Più di una volta Akbara aveva cercato di uscire da quel torrente, ma invano, ogni volta rischiava di essere travolta da centinaia di antilopi. Nel rabbioso, mortale galoppo, la famiglia di lupi si teneva ancora unita e Akbara riusciva a controllarli tutti. Vedeva che i suoi figli acceleravano, strabuzzavano gli occhi per lo spavento… Preferita fu la prima a crollare. Cadde travolta da migliaia di zampe. Il suo grido fu coperto all’istante dallo scalpitare di una mandria di zoccoli…”

IL FUTURO DEL LUPO E DEL MONDO

Credo che il futuro del lupo non sia roseo, purtroppo: l’essere umano aumenta in numero, in avidità e in ignoranza. L’essere umano, poi, è anche così stupido da non riuscire a comprendere perché mai la fine del lupo dovrebbe essere connessa alla fine dell’uomo. Ancora una volta: se il mondo non cambia subito e prepotentemente direzione, la nostra vita diventerà sempre più triste, priva di senso e di futuro.

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