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ESSERE HOMO SAPIENS

Homo Sapiens in Africa Paleolitico medio

Cosa significa essere Homo sapiens? Leggendo un qualsiasi libro di storia non vediamo altro che guerre e sopraffazioni compiute dalla nostra specie. Molti di noi hanno un cervello dotato di buone capacità, ad esempio siamo in grado di imparare senza difficoltà ogni materia (ciò che chiamiamo “studio”), a volte abbiamo una scintilla di qualcosa che assomiglia alla visionarietà, che permette alla nostra immaginazione di oltrepassare la barriera del sogno e trasformare in realtà quello che inizialmente era solo una vaga idea.

Migliaia e migliaia di anni fa scoprimmo come ingabbiare il fuoco e come utilizzarlo in cento modi diversi che avrebbero reso più facile e confortevole la nostra vita. Oggi, tutto quello che abbiamo scoperto da un certo momento in poi lo chiamiamo “tecnologia”. La cosa strana, però, è che la tecnologia, pur avendo fatto passi da gigante in ogni campo, mentre rendeva la vita di alcuni (non di tutti) più confortevole, contemporaneamente rendeva il nostro pianeta invivibile: invivibile da un punto di vista ambientale e da un punto di vista sociale. Cambiamenti climatici con uragani, alluvioni, allagamenti, siccità, frane, picchi di caldo e di gelo mai raggiunti prima; e poi guerre continue e sanguinose e abissi di diseguaglianza economica. Aver messo il fuoco in gabbia con tutto ciò che ne è conseguito, ci ha portato quindi dal vivere nelle grotte a correre sul bordo di uno scosceso dirupo. Nel corso di settantamila anni siamo diventati dei “blade runner”.

Genere e Specie

Essere Homo sapiens: Psnthera tigris
Panthera Tigris

Il perché di questo triste destino credo sia iscritto – senza se e senza ma – nei geni che rappresentano la nostra specie. Se in uno dei piatti della bilancia troviamo intelligenza, curiosità, capacità di adattamento, visionarietà, nell’altro piatto si accalcano avidità, egoismo, falsità, voglia di conquista, di possesso, ferocia, volontà di potenza.

Ricordiamo che gli organismi viventi vengono denominati con un doppio nome in latino, dove la prima parte rappresenta il “genere” e la seconda la “specie”. Tutte le specie che si sono evolute da un antenato comune vengono raggruppate sotto un unico genere (dal latino genus). Leoni, tigri, leopardi e giaguari sono specie differenti, ma fanno tutte parte del genere Panthera, e quindi sono parenti fra loro. Per quanto riguarda la specie, però, la tigre (Panthera tigris), ad esempio, appartiene a una specie, detta tigris, che definisce esclusivamente le tigri.  

Per chi fosse rimasto indietro in questo ambito di conoscenze, devo specificare che la cosiddetta specie sapiens sapiens viene al massimo considerata una sottospecie del sapiens. Non una nuova e diversa specie e ormai è una classificazione che non viene quasi più usata. Le ultime generazioni di scienziati e le ultime tecniche di comparazione fra genomi antichi e moderni ci hanno portato a poter dire con certezza che il cosiddetto sapiens sapiens è solo un Homo sapiens più recente, e quindi non una specie a sé.

Essere Homo sapiens: Le domande di Yuval Noah Harari

Tornando all’Homo sapiens, per capire meglio come la specie sapiens sia riuscita ad impadronirsi del pianeta, ricorrerò a Yuval Noah Harari, storico israeliano giovane ma già molto famoso e tradotto in 30 lingue. Il lavoro di Harari è stato, con libri e articoli, principalmente quello di dare risposta a domande specifiche e originali, oltre che fondamentali, del tipo: “Qual è il rapporto tra storia e biologia? Qual è la differenza essenziale tra l’Homo sapiens e gli altri animali? Esiste la giustizia nella storia? La storia ha una direzione? La gente è diventata più felice man mano che la storia si è sviluppata?”

Yuval Noah Harari

Ecco una rapida cronologia secondo Harari dello sviluppo contemporaneo del nostro mondo e della nostra specie, Homo sapiens.

Da “Sapiens” di Harari:

“13,5 miliardi bt (before today, prima di oggi): Appaiono materia ed energia. Inizio della fisica. Appaiono atomi e molecole. Inizio della chimica.

4,5 miliardi bt: Formazione del pianeta Terra.

3,8 miliardi bt: Comparsa degli organismi. Inizio della biologia.

6 milioni bt: Ultima progenitrice comune di umani e scimpanzé.

2,8 milioni bt: Evoluzione del genere Homo in Africa. Primi utensili di pietra.

2 milioni bt: Gli homo (che chiameremo anche umani) si diffondono dall’Africa all’Eurasia. Evoluzione di specie umane diverse.

500.000 bt: I Neanderthal si evolvono in Europa e nel Medio Oriente.

300.000 bt: Uso quotidiano del fuoco.

200.000 bt: L’Homo sapiens si evolve nell’Africa Orientale.

70.000 bt: Rivoluzione cognitiva. Emergere del linguaggio e della capacità di creare finzioni. Inizio della storia. I sapiens si diffondono fuori dell’Africa.

45.000 bt: i sapiens si stabiliscono in Australia.  Estinzione della megafauna australiana.

30.000 bt: Estinzione degli Homo Neanderthal.

16.000 bt: I Sapiens si stabiliscono nel continente americano. Estinzione della megafauna americana. 13.000 bt: Estinzione dell’Homo floresiensis. L’Homo sapiens è l’unica specie umana rimasta.

12.000 bt: Rivoluzione agricola. Domesticazione delle piante e degli animali. Insediamenti permanenti.

5000 bt: Primi regni, prime forme di scrittura e di moneta. Religioni politeiste.

4250 bt: Il primo impero: l’impero accadico di Sargon.

3000 bt: Invenzione della coniatura, una moneta universale. L’impero persiano: un ordine politico universale “a beneficio di tutti gli umani”.

2000 bt: Impero degli Han in Cina. Impero romano nel Mediterraneo. Cristianesimo.

1400 bt: Islam.

500 bt: Rivoluzione scientifica. L’umanità ammette la propria ignoranza e comincia ad acquisire un potere senza precedenti. Gli europei cominciano a conquistare l’America e gli oceani. Unificazione della storia del pianeta. Ascesa del capitalismo.

200 bt: Rivoluzione industriale. Le famiglie e le comunità sono sostituite dallo stato e dal mercato. Estinzione di animali e piante su grande scala.

Oggi: “Gli uomini trascendono i limiti del pianeta Terra. Le armi atomiche minacciano la sopravvivenza dell’umanità. Gli organismi sono sempre più modellati dalla progettazione intelligente più che dalla selezione naturale. “

Homo sapiens e Homo di Neanderthal, agli antipodi anche se simili

Essere Homo sapiens: ricostruzione facciale di bambina sapiens
Bambina sapiens in una ricostruzione facciale compiuta dagli esperti del laboratorio Daynes di Parigi

Purtroppo, già da questa breve cronologia, risulta evidente come ci sia poco da essere orgogliosi nell’appartenere a questa specie, che con assoluta mancanza di umiltà si è autodenominata “sapiens”. Una specie che, senza alcun motivo, ha compiuto un vero e proprio genocidio nei confronti di tutte le altre   specie di genere Homo, fra cui l’Homo di Neanderthal, così simile ai sapiens – a prescindere da carattere e finalità – tanto che le due specie si sono incrociate fra di loro a lungo.

Ricostruzione in laboratorio di giovane donna Neanderthal

Essere Homo sapiens: il genio di Philip K.Dick

Il rapporto fra Neanderthal e Homo sapiens torna in diversi libri, scritti soprattutto fra gli anni ‘50 e ‘60. Ne citerò tre che più hanno a che vedere, secondo me, col nostro articolo, oltre ad essere bellissimi libri che consiglio di leggere. Indimenticabile la fantascienza di Philip K. Dick in “Svegliatevi dormienti” (scritto nei primi anni 60) che ci racconta un pianeta Terra, ormai allo stremo per l’iper-sfruttamento di ogni sua risorsa e per la sovrappopolazione, che nel tentativo di trovare un pianeta in cui far emigrare buona parte della specie umana si imbatte in una sorta di Terra bis, un mondo parallelo e alternativo al nostro dove però gli Homo Neanderthal hanno avuto la meglio sui Sapiens, utilizzando una filosofia trasformata anche in tecnologia basata su capacità extrasensoriali e restando fedele alla loro natura docile e mai aggressiva.

Essere homo sapiens: Philip K.Dick

Da “Svegliatevi dormienti”:

“Dopotutto, le scoperte archeologiche in Palestina provavano che l’Homo Sapiens e il Neanderthal si erano già mescolati decine di migliaia di anni prima. E la cosa evidentemente non era stata dannosa; la varietà genetica dell’Homo Sapiens aveva assunto il dominio. «Ne riportano uno indietro» disse Bohegian. «L’hanno già fatto salire a bordo dell’aviogetto, a quel che dicono nei bagni in fondo al corridoio. E sono in contatto linguistico con lui. Un dirigente mi ha appena riferito che è docile. Muore di paura.» «Vorrei ben vedere» commentò Cravelli. «Probabilmente si ricordano di averci conosciuti nel loro passato, di averci eliminati.» Proprio come noi abbiamo eliminato loro nel nostro mondo, pensò. Spazzandoli via definitivamente. «E adesso siamo tornati» disse. «Gli sembrerà una sorta di magia nera: fantasmi che riemergono dopo centomila anni, dalla loro Età della Pietra. Gesù, che situazione!»

“Prese Jim per la spalla e lo allontanò di prepotenza dal gruppo, spingendolo sul bordo della strada. «Ascolta» riprese. «Dammi una definizione di essere umano. Dai, definiscimi l’uomo.» Fissandolo, Jim esclamò, «Che cosa?» «Definisci l’uomo! Va bene, lo faccio io. L’uomo è un animale in grado di costruire utensili. Bene, e che cosa sono tutti questi oggetti – per esempio quel carro e quel cappello e il pacco e la tunica? Per non parlare della nave e dell’aliante con il compressore a turbina? Utensili. Tutti, in senso lato. E sai come rendono quella maledetta creatura seduta alla barra del suo carro? Te lo dico io: la rendono umana, ecco cosa… Voglio dire, mio dio, che ha persino costruito delle strade. E…» Sal fremeva di rabbia «… è riuscito pure ad abbattere il nostro satellite Q.B.!» «Senti,» disse Jim stancamente «non è questo il momento…» «Questo è il solo momento. Dobbiamo uscire da qui. Tornare indietro e dimenticare quel che abbiamo visto.» Ma ovviamente, come Sal ben sapeva, non c’era speranza.”

Beati i mansueti?

L’altro libro, “Uomini nudi” di William Golding (Premio Nobel per la letteratura, famoso soprattutto per il suo capolavoro “Il Signore delle mosche” diventato una vera icona, come potrebbe essere 1984 di Orwell ) scritto nel lontano 1955 e poi in italiano rinominato “Il destino degli eredi” racconta una storia avvenuta nel mondo primordiale, quando la guerra non avrebbe avuto motivo di esistere, e nemmeno di essere immaginata, dal momento che c’era ancora spazio, terra, acqua, cibo, territorio più che in abbondanza per tutti. Il titolo originale “The Inheritors”, che significa “Gli eredi” trae origine dal Vangelo, là dove dice «Beati i mansueti, perché erediteranno la Terra». La storia narra l’incontro fatale tra una piccola comunità di neanderthaliani e i più aggressivi sapiens. Gli eredi della Terra, però, non saranno i pacifici Neanderthal, con il loro linguaggio per immagini, a tratti onirico, fatto di metafore, comparazioni, capace di “nominare” il mondo. L’uomo ha appena iniziato il proprio cammino, eppure il Paradiso è già, definitivamente, perduto.

Gruppo di Neanderthal ricreati al computer

Infine c’è il libro di Robert J. Sawyer “La genesi della specie”, titolo originale “Hominids” pubblicato nel 2002. Questo libro molto interessante, fra la paleobiologia e la filosofia tratta proprio dell’argomento che cerchiamo di esprimere in questo articolo. Basta leggere la citazione che Sawyer ha scelto come esergo per il suo libro, da “Il maschio feroce: le scimmie e le origini della violenza umana” di RICHARD WRANGHAM e DALE PETERSON:

“Il messaggio che ci arriva dalla vita nelle foreste australi è che non doveva andare così, che sulla terra c’è posto anche per specie animali con tratti morali innati che, ironicamente, ci piace chiamare ‘umani’: rispetto per i propri simili, equilibrio individuale, ripudio della violenza quale soluzione delle conflittualità. La presenza di queste caratteristiche nei bonobo suggerisce implicitamente come sarebbe potuto essere l’Homo sapiens se la storia dell’evoluzione avesse avuto un corso lievemente diverso.”

Essere Homo sapiens: chi vince le guerre?

Negli ultimi giorni mi è capitato di vedere una mini-serie, su Netflix, “Half-bad” di genere fantasy e verso la fine c’era un breve dialogo che mi è sembrato piuttosto istruttivo:

“Pensavo che alla fine, le guerre le vincessero i buoni” dice uno dei personaggi.

“E invece chi è che le vince?” gli chiede un altro.

“A vincerle sono i mostri”

Immagino che sia assolutamente vero. Pensiamo a Hiroshima e Nagasaki, o al bombardamento su Dresda, città aperta, con centotrentacinquemila civili morti in una notte. Pensiamo all’uranio impoverito lanciato sui Balcani come fossero missili pieni di coriandoli. Se non sono state azioni da mostri queste non so proprio quali possano esserlo.

Avremmo potuto creare un mondo più felice, privo di diseguaglianze, un mondo dove la specie sapiens non pretendesse di essere padrona di tutto ciò che la circonda, a iniziare dagli altri animali e dalla terra su cui poggia i piedi. Ma, come nella favoletta della rana e dello scorpione, la colpa, forse, è solo della nostra  natura e dell’Universo che ce l’ha fornita: noi vogliamo scalare la montagna della conoscenza, la cui cima è irraggiungibile, ma vogliamo anche sopraffare, invadere, imporci con qualsiasi mezzo – che sia arte o distruzione non fa differenza – perchè, alla fine, desideriamo possedere, in ogni modo e senza controllo.

Essere Homo sapiens: progetto Gilgamesh

Epopea di Gilgamesh, Frammento di tavoletta in argilla n.11, storia del Diluvio

L’ultima cosa che l’Homo sapiens desidera possedere più di tutto non è il controllo sul cosmo, come si potrebbe pensare, ma l’immortalità. Sembra ridicolo, ma ci sono diversi studi in atto, proprio in questo istante, dove laboratori, scienziati brillanti e cifre enormi di soldi vengono utilizzati esclusivamente per raggiungere la tanto sospirata immortalità. Forse il più famoso, ma di sicuro non il più avanzato, è il Progetto Gilgamesh. Il nome lo prese dall’antichissima epopea di Gilgamesh, sumera, la cui scrittura iniziale, in alfabeto cuneiforme, risale al III millennio avanti Cristo. Prima della Bibbia e prima di Omero, quindi. Gilgamesh è alla ricerca della vita eterna, e finalmente la trova in una rarissima pianta acquatica; ma una volta trovata si addormenta lasciando la preziosa pianta incustodita. Un serpente la mangia e subito ridiventa giovane, perdendo la pelle. In questo modo abbiamo la spiegazione leggendaria della muta della pelle del serpente e del suo rinnovarsi, cosa che all’uomo non è permessa.

L’epopea di Gilgamesh, quindi, fra le tante cose ci insegna che la vita eterna non può appartenere all’uomo, ma a distanza di almeno cinquemila anni l’Homo Sapiens ancora non si vuole dare per vinto. Ancora è lì, alla ricerca della pianta magica. Quello che i sapiens potrebbero fare, invece, è cercare di non invecchiare troppo il pianeta su cui viviamo, cambiando subito e senza deroghe il modo di vivere di gran parte della popolazione mondiale, perché anche se riuscissero ad allungare ancora di più la vita umana non sarebbe molto piacevole essere quasi immortali in un mondo che – a causa nostra – è in agonia attendendo la morte.

A cosa ci porterà essere Homo sapiens?

Purtroppo non credo che questa sia una storia con una bella fine. Basta guardarsi intorno e vedere l’eccitazione che sale nei nostri fratelli sapiens alla sola idea di farcire di armi l’Ucraina ma di abbandonare alla sua sorte, ad esempio, la Siria, che sta in guerra da 12 anni per colpa dell’occidente. Il tutto senza un filo di senso, senza una sillaba di raziocinio. Addirittura li vedi parlare di armi nucleari, tranquillamente, come si parlasse di noccioline. Per non parlare dei cambiamenti climatici che fino a pochissimi anni fa, venivano considerati sciocchezze dai nostri politici e adesso massacrano la Terra. La cementificazione, l’inquinamento, il fossile, la distruzione dei territori, tutto ci sta tornando indietro come un boomerang fatale ma nessun governo nel mondo è pronto a muovere un dito per provare a migliorare le cose.

Tranne pochi ragazzi come quelli di Ultima generazione in Italia e loro omologhi esteri, non vedo vie di fuga. Purtroppo la fine è nota.

“Ma perché mi hai punto? – dice la rana allo scorpione – adesso moriremo tutti e due, io avvelenata e tu affogando…”

“Non posso farci niente – risponde lo scorpione – è la mia natura”.

I GABBIANI DI ROMA E LE ARMI DI NEW YORK

Questo titolo “I gabbiani di Roma e le armi di New York” può sembrare strambo, ma ha un suo senso che vi risulterà molto chiaro non appena ve l’avrò spiegato.

La maggioranza degli italiani non ama molto gli animali

È noto che gli italiani non sono grandi amanti degli animali. Basti pensare alla caccia alle streghe lanciata in Trentino dal governatore leghista Fugatti, ossessionato da quei pochi e maltrattati orsi che si aggirano nelle ultime foreste trentine: dipendesse solo da lui li ucciderebbe tutti come fossero zanzare. L’orsa JJ4 è stata condannata a morte perché ha aggredito e, purtroppo, ucciso, un “runner” informato così male riguardo alla natura da andare a correre proprio nella zona dove vivono gli orsi, con l’aggravante che in questo periodo ci sono gli orsetti cuccioli che le mamme, come JJ4, devono proteggere; perché le orse non buttano nei cassonetti i propri figli ma li proteggono e difendono fino all’ultima goccia di sangue che hanno in corpo. Inoltre, come anche i bambini sanno, se un predatore ti vede correre tu diventi automaticamente una preda e lui ti deve catturare. A funzionare così è la natura, e prima di inoltrarcisi dentro sarebbe bene mostrare alla natura un po’ di rispetto, studiandone almeno le caratteristiche principali.

JJ4 con uno dei suoi cuccioli
L’orsa JJ4 con uno dei suoi cuccioli

Nel frattempo per JJ4 sono stati trovati due santuari-rifugio all’estero pronti ad accoglierla, ma niente da fare: Fugatti, come se fosse Dio, si oppone anche al trasferimento. Ma non basta ancora, l’ossessionato governatore vuole uccidere anche un altro orso, MJ5 perché, pur non avendo mai fatto del male a nessuno, sembra essere molto diffidente quando incontra esseri umani. Ma nemmeno l’esatto contrario va bene: un altro orso considerato pericolosissimo e quindi da uccidere, M62, aveva la colpa di essere troppo affabile con gli umani, ed infatti questa fiducia è stata forse la causa della sua morte: pochi giorni fa è stato ritrovato misteriosamente morto. Qualcuno fra voi è così ingenuo da aspettarsi un’autopsia seria e non di parte, ammesso che venga fatta veramente?

E mentre continuiamo a domandarci che cosa mai abbiano fatto i plantigradi a Fugatti per suscitare la sua “ira funesta” passiamo rapidamente al resto del paese Italia.

L’odio per lupi, cani, gatti, piccioni, pipistrelli, cinghiali eccetera eccetera

Dal Trentino passiamo rapidamente al resto del nostro paese per trovare i lupi massacrati di recente da cacciatori o allevatori di povere mucche e pecore e poi appesi a segnali stradali come barbaro monito. Parlando di cani, invece, sottolineiamo subito che, se il cane è il migliore amico dell’uomo, l’uomo non è di sicuro il migliore amico del cane. La maggior parte dei cani vengono trattati malissimo dai padroni, che spesso li tengono legati alla catena h24, li riempiono di botte, li abbandonano, gli fanno fare lotte contro altri cani, per non parlare dei randagi, o semi-randagi che incontrano gente orribile che si diverte a torturarli molto più spesso di quanto si possa immaginare, per poi finire al canile e da lì, tranne pochi casi fortunatissimi, alla morte. Nelle città, i gatti di strada, invece, vengono direttamente e silenziosamente “terminati”, o venduti ai vari istituti che utilizzano la vivisezione come feroce e antiquato metodo di “sperimentazione clinica”, o nella migliore delle ipotesi vengono rinchiusi in quelle che chiamano “colonie feline”: per chi non lo sapesse ricordo che in natura i gatti vivono da soli o in piccoli gruppi familiari di tre, quattro individui al massimo. Gli unici felini che vivono in branco sono i leoni. Una delle tante contraddizioni italiane: il gatto è l’animale più amato su internet, le case degli italiani sono piene di gatti e il cibo per gatti un vero business ma alla gente non piace vederli in giro. Così come alla gente non piace vedere le api e gli altri insetti impollinatori, visto che – alla faccia della transizione ecologica e tanti nuovi termini che contengono il nulla – perfino in Europa che, in teoria non è la Cina, sono stati allegramente riconfermati gli ultimi anti-parassitari della Bayer-Monsanto e di altri giganti della Big Pharma che stanno letteralmente facendo strage di api e di ogni insetto impollinatore.

L’insofferenza di Roma per gli animali…

E adesso passiamo a Roma, città bellissima e contemporaneamente infernale. Dove i suoi abitanti non fanno che lamentarsi degli animali con cui dovrebbero coabitare. I romani odiano i piccioni perché sono “topi con le ali” (solo Dio sa perché…), odiano i pipistrelli perché, pur essendo le uniche creature che ci liberano dagli insetti nocivi, considerano i pipistrelli pericolosi e minacciosi (in realtà dovrebbero solo considerarli quasi estinti, grazie agli antiparassitari e all’inquinamento in primis), hanno fatto una campagna di anni contro i cinghiali, considerati alla stregua di demoni cattivissimi scappati in massa dall’Inferno. Un esempio: mi è capitato di sentire una signora dell’alta società, proprietaria di sei o sette ville con grande piscina annessa e diversi ettari di terreno, il tutto all’interno di uno dei parchi più belli e, in teoria, più incontaminati di Roma, lamentarsi per via dei cinghiali che entravano nella “sua proprietà” e scavando buche creavano disordine. Avrei tanto voluto spiegarle che non sono i cinghiali a invadere la sua proprietà, ma lei ad aver invaso la loro.

Ma ormai il nuovo governo di iper-destra ha sistemato tutto: con immensa gioia dei cacciatori, degli amanti del sangue, soprattutto se scorre facile, dei proprietari di tenute e villone all’interno di parchi pubblici – ottenute chissà come o, nel migliore dei casi, condonate – e di chiunque possa considerare “disordine” le buche scavate dai cinghiali in cerca di radici per sfamarsi, è possibile scendere per strada e sparare ai cinghiali, di qualsiasi età, in qualsiasi periodo, in qualsiasi zona. Evviva.

I gabbiani di Roma e i giornalisti americani

E finalmente arriviamo al punto. A Roma, fra i tanti animali maestosi e fieri, abbiamo Il gabbiano reale (Larus michahellis), lungo fino a 60 cm, con un’apertura alare che può arrivare ai 140 cm. L’adulto ha le parti inferiori bianche così come testa e coda mentre le parti superiori sono grigie e le punte delle ali nere e bianche. Ha zampe gialle con grossi piedi palmati, il becco è massiccio e giallo con una macchia rossa nella mandibola.

Gabbiano su fontana a Campo de’ Fiori, Roma

In Italia i gabbiani reali nidificano con una popolazione stimata fra le 24000 e le 27000 coppie, principalmente nelle isole più piccole. Ma negli ultimi anni, attirati dalla gran quantità di immondizia abbandonata all’aperto, i gabbiani hanno colonizzato diversi centri urbani, fra cui Roma. Ovviamente i romani si sono lamentati anche per i gabbiani, ma non eccessivamente. Di solito i gabbiani volano, e volano in alto, e non sono molte le ore in cui scendono a terra, fra i rifiuti. Eppure, per una volta che i romani non si lamentavano dell’ennesimo “terribile” animale, un giornalista americano, @JasondHorowitz del New York Times, qualche tempo fa, si è sentito talmente indignato dalla visione dei gabbiani romani da scriverci su addirittura un lungo e appassionato articolo, di cui citerò qualche frase:

“Roma è una città sporca, assediata da gabbiani, attratti nel cuore della capitale da rifiuti che abbondano ad ogni angolo della città eterna. Non hanno alcun timore di avvicinarsi alle persone, le attaccano e sembrano i padroni del territorio.” E del resto, il titolo del furibondo articolo è: ““When in Rome, Sea Gulls do as they please” ovvero “A Roma, I gabbiani fanno quel che gli pare e piace”.

I gabbiani di Roma e le armi di New York: gabbiano a Castel Sant'Angelo, Roma
Gabbiano su angelo di fronte a Castel Sant’Angelo

Wow!!! Sono veramente curiosa di sapere dove, qui a Roma, il signor Horowitz abbia visto un gabbiano “attaccare le persone” perché io, nel corso di decenni, in quelle rare volte in cui ne ho visto uno che non era appollaiato troppo in alto, ho sempre provato ad avvicinarmi, silenziosamente e a volte anche con del pane da dargli – per riuscire ad accarezzarlo o a fotografarlo da vicino – ma il gabbiano è sempre fuggito. E che a Roma i poveri gabbiani facciano “as they please” è parimenti falso, oltre che ridicolo. Dispiace contraddire il NYTimes ma qui a Roma i gabbiani sono sempre molto circospetti, vivono la città esclusivamente dall’alto, non solo per controllare meglio le possibili risorse di cibo ma anche e soprattutto perché temono gli esseri umani e, ben lungi dall’attaccarli, evitano proprio di trovarglisi vicino.

Gabbiano sul balcone, Roma centro

Perché se parliamo di immondizia è vero, la raccolta di rifiuti a Roma, pur se costosissima per noi cittadini, non funziona minimamente. Noi paghiamo – tanto – per un servizio che non ci viene fornito. A voi il piacere di scegliere il nome da dare a questa simpatica pratica. Che è rimasta la stessa con tutte le amministrazioni, di varie parti politiche, che sono venute una dopo l’altra negli ultimi trenta anni.  Perché il sistema di Roma, ormai, è così corrotto, sproporzionatamente fallato, da far pensare a una pianta completamente marcia, che non possa più essere salvata. Bisognerebbe espiantarla e ricominciare dall’inizio, con tutto un nuovo e differente sistema, altrimenti è inutile. Ma, in tutto questo, cosa hanno a che fare i gabbiani? Perché raccontare una versione delle cose del tutto falsa e anti-animalista?

Le armi di New York

A questo punto, quello che mi suscita qualche riflessione è: il NYtimes considera i gabbiani di Roma come creature pericolose, cattive, tanto da meritare una reprimenda addirittura dagli Stati Uniti d’America. Ma forse, se si parla di pericolo, @JasonHorowitz e amici non dovrebbero invece pensare al problema – tutto loro – delle armi? Solo per parlare di New York, due anni fa è stata fatta una legge per cui non si poteva entrare armati a Times Square. Una piazza sola, quindi. Beh, qui a Roma avremo pure i “terribili gabbiani”, ma tutte le nostre piazze sono “gun free”. Eppure, anche una sola piazza di New York libera da armi ha scatenato la furia dell’NRA, la potentissima lobby americana delle armi, tanto che la Corte Suprema americana ha subito dichiarato anticostituzionali le nuove regole di New York sulle armi schierandosi di fatto a sostegno di chi chiede una maggiore diffusione delle armi. Il tutto a poche settimane dalle due orribili stragi a Buffalo, New York e Uvalde, Texas.

I gabbiani di Roma e le armi di New York
Gabbiano a Campo de’ Fiori, Roma

I gabbiani di Roma e le armi di New York

Nel 2020 il New York Time fece un’inchiesta da cui è risultato che nel mese successivo al massacro della Sandy Hook Elementary School, dove morirono in 27, quasi tutti bambini fra i 6 e i 7 anni, gli americani hanno acquistato circa 2 milioni di pistole. E ogni volta che in America c’è un attacco di qualsiasi tipo, la vendita delle armi sale vertiginosamente. Perfino nei primi mesi della pandemia hanno venduto una marea di armi. Cosa pensavano di fare, di sparare al virus?

Gli americani hanno una sorta di ossessione compulsiva e narcisista per le armi da fuoco, questo è un fatto. Un fatto terribile quanto innegabile. Proprio come il governatore Fugatti ha una compulsione narcisista nei confronti dei poveri orsi. Per Fugatti non c’è niente da fare, ci vorrebbe una abbondante aggiunta di neuroni, ma al giornalista americano, che come me racconta storie, posso provare a far cambiare idea sui nostri gabbiani raccontando la storia di Emilio, gabbiano romano molto speciale.

Emilio, gabbiano romano

Emilio, gabbiano romano

Il gabbiano Emilio deve il suo nome alla Basilica Emilia, nel Foro Romano, dove ha scelto di nidificare. Gli archeologi che lavorano nel Parco Archeologico del Colosseo hanno raccontato che tutti gli anni, a luglio, Emilio si allontana e vola per ben 750 km verso nord, sorvola le Alpi e se ne resta “in vacanza” per qualche mese sul Lago di Costanza, in Svizzera.

Quando è di nuovo inverno e per il gabbiano reale si avvicina la nuova stagione riproduttiva, eccolo tornare a Roma, puntuale come un orologio, nel suo nido accanto al Colosseo. I dati che lo riguardano sono rilevati ed elaborati da Ornis italica, un’associazione non-profit formata da biologi e scienziati ambientali con cui il Parco ha siglato un protocollo d’intesa.

Inoltre, sulla pagina Facebook del Parco archeologico del Colosseo è stata pubblicata una mappa che mostra tutti i voli effettuati finora da sei gabbiani che risiedono nel Foro Romano.

L’etologo Claudio Carere dice: “Nelle grandi città del nord Europa o a Napoli i gabbiani sono parte della collettività e quindi, come succede anche con esseri umani che vengono da paesi lontani, con culture diverse dalla nostra il conflitto diminuisce quando c’è la conoscenza. Per esempio il gabbiano sul becco ha una specie di bottone che se premuto fa rigurgitare la preda nel becco del piccolo. Vedere questa scena è commovente, e se hai un cuore cambierai subito la tua idea negativa sui gabbiani. Inoltre il gabbiano non attacca l’uomo, non ne ha motivo. Ovviamente se mi avvicino a un nido, anche per sbaglio, i genitori cercheranno di allontanarmi, ma mai con violenza.”

In breve: impariamo a coabitare con gli animali che appartengono all’area in cui viviamo, impariamo a rispettarli e a conoscerli, e ogni cosa andrà bene. Se nelle grandi città del SudAfrica come Durban, Cape Town, la popolazione si è abituata perfettamente a coabitare con serpenti di ogni genere, dai velenosissimi mamba e cobra reali, fino ai muscolosi pitoni, o Bera, cittadina del Rajasthan, India, dove da tempo umani e leopardi convivono in perfetta armonia, e i leopardi sono trattati come “animali guardiani” dalla popolazione (e il fatto che passeggino indisturbati per le vie della cittadina mentre gli abitanti li salutano abbassando lo sguardo, in segno di reverenza, attira anche molti turisti) allora capiremo quanto insensate e patetiche siano le nostre paure.

Con le armi da fuoco, invece, non si può convivere. Durante l’amministrazione Biden gli Stati Uniti hanno avuto più di 690 sparatorie di massa. Solo nel 2021 45.000 morti, di cui più di 1500 erano bambini o giovani adolescenti. Tutte vittime sacrificate ad un business da 240 miliardi di dollari l’anno, che l’America “is pleased to call it democracy”. (L’America si compiace di chiamarla democrazia).

Altri articoli animalisti scritti su questo blog potete trovarli tutti nella categoria In the name of. Grazie!

Narcisi e Narcisisti

Per parlare di Narcisi e Narcisisti partiamo dal narciso, che è una pianta bulbosa mediterranea, con più di 50 variazioni solo in natura, senza considerare gli ibridi creati dall’uomo, diffusa in tutta l’Europa e oltre. Esiste perfino un narciso cinese importato secoli fa dai preti portoghesi. Di sicuro è una pianta piena di fascino, dai colori prevalentemente gialli e bianchi, e la corolla delicatamente piegata sullo stelo. La sua prerogativa, oltre alla bellezza, è il profumo. Il suo nome viene dal greco νάρκη, narke, che significa torpore, irrigidimento, sonno. Da questo etimo deriva anche “narcotico” e nel caso del narciso molti sostengono che la motivazione del nome dipenda dal profumo così forte da essere considerato inebriante come un narcotico. Ma io credo che – senza nulla togliere al profumo meraviglioso – il vero narcotico risieda in un alcaloide, la narcisina, che rende foglie e bulbi del narciso molto velenosi e in certi casi quel veleno può essere mortale. Di sicuro questa unione fra bellezza e morte, fra Eros e Thanatos, ha reso il narciso degno di uno dei più bei miti greci e classici che ci sono stati tramandati.

Narcisi e Narcisisti: bulbi di narciso giallo
Bulbi di narciso giallo

Il Mito di Narciso raccontato da Ovidio

Nelle Metamorfosi Ovidio ci racconta di Narciso, ragazzo bellissimo, figlio di un fiume, Cefiso e di una ninfa dell’oceano, Liriope. La bellezza di Narciso attirava il desiderio di donne, uomini e ninfe, e, in pratica, di chiunque lo vedesse, come in una sorta di attrazione fatale, ma lui non era interessato all’amore e passava il suo tempo in solitudine, cacciando. Poi la ninfa Eco si innamorò follemente di lui.

Narcisi e Narcisisti: Narciso, di Gyula Benczur
Narciso, di Gyula Benczur, olio su tela, 1881

Eco era stata condannata da Giunone a dover ripetere l’ultima sillaba di ogni parola detta dagli altri, come punizione per aver distratto la dea con lunghi racconti, per dare il tempo a Zeus di amoreggiare con altre ninfe. Narciso respinse il suo amore, ed Eco, disperata, si nascose nei boschi continuando a ripetere il nome dell’amato e smise di nutrirsi fino a perdere il corpo e a diventare solo voce. Allora intervenne Nemesi, dea della giustizia e della vendetta, e per vendicare Eco fece sì che Narciso si innamorasse di se stesso, guardando la sua immagine riflessa in uno specchio d’acqua. Non riuscendo a toccare né a comunicare in nessun modo con la creatura irraggiungibile immersa nell’acqua Narciso si lasciò andare alla disperazione, proprio come Eco, e si lasciò morire di fronte a se stesso.

Narcisi e Narcisisti: Caravaggio, Narciso alla fonte
Caravaggio, Narciso alla fonte, olio su tela, 1597

Il suo corpo fu trasformato nel bellissimo fiore che abita gli ambienti umidi, vicino agli stagni, e che sembra piegare la testa verso il basso, come a specchiarsi, e che prenderà proprio il nome di Narciso.

Da questo mito nasce un termine oggi molto moderno, che spesso diventa patologia, estremamente diffusa ai nostri giorni: il narcisismo, che, di base, consiste nell’impossibilità di accogliere l’altro da sé e nella fissazione sulla propria immagine.

Il termine “narcisismo”

Il termine “narcisismo”, che deriva esplicitamente dal mito di Narciso, indica l’atteggiamento psicologico di chi si interessa esclusivamente a se stesso, al proprio fisico, alle proprie capacità e qualità, e che fa della propria persona oggetto di ammirazione e compiacimento, disinteressandosi del tutto degli altri e delle loro opere. In questo senso il narcisismo è la malattia della nostra società, del terzo millennio dopo Cristo, una vera pandemia molto più grave di quello che potrebbe sembrare. Infatti non esistono vaccini né medicine per questa patologia, che di fatto sta trasformando il mondo in un’orribile arena di combattimento, dove ognuno combatte per se stesso e tutti contro tutti. Senza che ci sia neanche uno che capisca che le condizioni del nostro mondo sotto ogni punto di vista: ambientale, sociale, demografico, per non parlare di diritti civili e della tirannide del denaro (unico amico del narcisista) tirannide che ha ucciso ogni speranza di democrazia, tutto questo non si può cambiare se non siamo realmente uniti.

Narcissus Poeticus
Narcissus Poeticus

Non c’è Covid né malattia che possa competere. Quando arriveremo all’Apocalisse, la Rivelazione* avrà, fra gli altri, sicuramente anche il volto di Narciso.

*Apocalisse deriva dal greco apokálypsis (ἀποκάλυψις), composto da apó (ἀπό, “da”, usato come prefissoide anche in apostrofo, apogeo, apostasia) e kalýptō (καλύπτω, “nascondo”), significa togliere il velo, letteralmente scoperta o disvelamento, quindi Rivelazione.

Narcisi e Narcisisti: vita da narcisista

Il narcisista vive se stesso come fosse il centro dell’Universo e utilizza gli altri solo per soddisfare le esigenze del suo ego smisurato. Questo mega ego potrebbe far pensare che il narcisista sia una persona coraggiosa e convinta delle proprie azioni, mentre in realtà è molto insicuro. La sua insicurezza fa sì che finisca col considerare il parere degli altri su di sé qualcosa di importantissimo, e ovviamente non è capace di accettare e nemmeno affrontare critiche, anche se critiche esposte con gentilezza da persone vicine, persone che più volte gli hanno dimostrato affetto e solidarietà. Ma lui non conosce amore, empatia e nemmeno gratitudine, e per ogni fallimento della sua vita è sempre pronto a cercare qualcuno – amico, parente, collega – a cui accollare la colpa.

Ripete continuamente, come in un mantra, che lui ha sempre ragione, che lui è superlativo in tutto quello che fa, senza accorgersi che questo insensato ripetere lo rende ridicolo o addirittura patetico. Per tornare al mito, l’immagine di Narciso che si piega su se stesso per cercare di raggiungere la figura che vede nel laghetto, fa pensare – senza alcun dubbio – al modo di dire “ripiegarsi su se stessi” o “ripiegarsi sul proprio ombelico” che è molto utilizzato ai nostri giorni per definire persone, o gruppi di persone, a volte perfino partiti politici che non sono interessati ad uscire dalla visione di se stessi e non vengono mai neanche sfiorati da quelli che sono i bisogni, gli interessi, le necessità di buona parte del resto degli esseri umani.

Il narcisismo come patologia

Il narcisismo diviene una condizione patologica quando l’individuo rimane ‘bloccato’ all’interno del mito, senza possibilità di crescere, evolversi in modo sia produttivo che creativo con gli altri. Il processo che investe Narciso è il contrario di un’evoluzione naturale che non può rimanere immobile ma ha invece bisogno di piccoli o grandi cambiamenti, di quello che – mutuato dal linguaggio informatico – definiremmo “patch” per potersi evolvere e crescere.

L’Ego del narcisista, invece, percepisce solo se stesso, è privo di filiazioni e parentele e mira a mantenere solo relazioni fusionali. Cosa sono, dunque, le relazioni fusionali? Le relazioni possono essere definite fusionali quando due persone sono intrecciate l’una all’altra fino a fondersi e a creare una gran confusione nelle specifiche posizioni, che siano relazionali (la madre che diventa grande amica della figlia, ad esempio) o nei loro ruoli (il padre che chiede al figlio di proteggerlo) o nelle rispettive identità (ammirare un’amica fino ad imitarla in modo inquietante).

Narcisi intorno a un lago

Per capire come questo disturbo cresce e diventa patologico bisogna inquadrare il rapporto madre-bambino nella sua evoluzione, dall’iniziale fase fusionale-simbiotica alla relazione adulta, che non può essere altro che una progressiva separazione dal corpo materno. Normalmente, il bambino si rispecchia all’inizio nella madre, cosa che, più tardi, gli permetterà di separarsi da lei e crescere autonomamente. Se invece la madre è assente, o non ha il minimo istinto materno, o – non in pochi casi, purtroppo – è sadica e gode nell’abuso del proprio figlio bambino, la sola compensazione che il bimbo riesce a trovare è sostituire l’immagine della madre con l’immagine riflessa del proprio corpo. Questa sostituzione impedisce il processo di crescita senza il quale nessun frutto arriva alla maturazione e nessun essere umano può raggiungere l’identità adulta. Non sarà mai in grado di avere una percezione di sé che gli permetta di relazionarsi realmente al mondo esterno invece che solo a se stesso.

Narcisi e Narcisisti. Narcisi nel giardino di casa.
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Narcisi e Narcisisti: Narcisismo e Social Media

Una spinta ulteriore e molto forte allo sviluppo del narcisismo in quanto malattia della società l’hanno data i Social Media. Nati come strumento per socializzare anche con chi abita in altre città o nazioni, o per conversare su argomenti specifici con persone che mai ti capiterebbe di conoscere, sono diventati, rapidamente, il mezzo migliore per trasportarci tutti di fronte a quel laghetto e narrare la meraviglia di ciò che vediamo ma non riusciamo ad afferrare. Ci sono vari soggetti affetti da “social-narcisismo” ma voglio citare solo quelli che reputo i peggiori: persone piene di soldi che raccontano i loro viaggi “fantastici” conditi da stupide foto o i loro mesi trascorsi in una delle tante ville che possiedono, senza provare vergogna, senza pensare che fra i tanti “amici” ci sono persone che non hanno i soldi né per i viaggi né per le ville, o peggio, senza pensare che, in quella stessa acqua, a poche miglia da dove fanno il bagno in qualche luogo meraviglioso dell’estremo sud Italia, c’è gente che sta affogando, o sta disperatamente cercando di raggiungere un sogno che, per citare Scott Fitzgerald, è sempre stato alle loro spalle.

Narcisi e Narcisisti: Narciso di Gerard Van Kkuijl  1645
Narciso di Gerard Van Kuijl, olio su tela, 1645

Inoltre, una delle tante cose negative dei cosiddetti “Social” (che forse sarebbe più giusto chiamare Asocial) è che molta gente dopo un po’ diventa irritata o irritabile, si sfoga con rabbia, cattiveria, mostra   la propria ignoranza – anche qui senza vergogna – e aggredisce persone sconosciute o perfino vecchi amici dell’Era Pre-Social come se fosse in missione per conto delle Erinni. Per non parlare di quelli che leccano i piedi ai potenti e maltrattano i deboli. O quelli che ti usano quando gli fa comodo e poi spariscono. O anche quelli che guardano il tuo numero di “amici” o di “followers” e in base a quello giudicano. Il tutto è di una tristezza infinita, senza parole.

Guardarsi nel laghetto senza nemmeno essere innamorati di quello che vedi non fa differenza: ugualmente ci morirai dentro perché quella visione, bella o orribile che ti possa sembrare, è come il canto di una Sirena. Non puoi resistere al canto delle Sirene, e quando ti tuffi, loro ti sbranano. Buona fortuna, amici Narcisisti.

LA SINDROME DA RASSEGNAZIONE DEI BAMBINI MIGRANTI

La sindrome da rassegnazione: madre e figlia

In quanti siete a conoscere “La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti”? Pur essendo una patologia grave e molto particolare, credo che siano in pochi ad averne sentito parlare, visto che i nostri media -in particolar modo i vari talk show giornalistici televisivi- non la citano nemmeno per sbaglio. Eppure si tratta di una patologia terribile, che funziona anche come specchio per il nostro ingiusto e avido mondo contemporaneo.

A questa patologia hanno dato vari nomi: Sindrome del rifiuto traumatico, Sindrome del sonno profondo, Sindrome della Bella addormentata, o, in Svezia, dove è nata “uppgivenhetssyndrom”. Di base è una condizione psicologica che porta a uno stato di notevole riduzione della coscienza. Inizialmente è stata riscontrata in Svezia, negli anni ‘90, fra i figli dei richiedenti asilo che provenivano dai paesi dell’ex Unione Sovietica, dell’ex Jugoslavia e più tardi dalla Siria. Col passare degli anni e l’aumentare delle guerre, delle invasioni – a iniziare da quelle “economiche e quindi legittime” – della miseria, fame, malattie, sono aumentati i flussi migratori e di conseguenza anche i malati di sindrome da rassegnazione.

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti

Chi si ammala di sindrome da rassegnazione?

Colpisce prevalentemente bambini fra i quattro e i dodici anni (più raramente adolescenti fino ai 15 anni), in seguito al trauma delle violenze vissute nel paese d’origine, al trauma della migrazione e a causa dell’insicurezza in cui sono costretti a vivere. Che cosa hanno in comune bambini e giovani ragazzi colpiti da questa patologia? Sono tutti figli di rifugiati, a cui lo Stato Svedese ha revocato – o rischia di revocare – il permesso di soggiorno. Bambini che crescono sotto alla spada di Damocle del rinnovo, arrivati piccoli, o molto piccoli, in Svezia, cresciuti imparando una lingua e una cultura molto differenti da quelle di provenienza, e che vivono nel terrore di essere rispediti indietro; il che, nella peggiore delle ipotesi, significa che i genitori saranno giustiziati o finiranno in carcere a lungo, e nella migliore delle ipotesi le famiglie potranno scegliere se morire di bombe, di fame o di qualche malattia. Pensate alla Siria adesso: in contemporanea c’è la guerra, il terremoto e l’epidemia di colera. Fa pensare a quella canzone di Fabrizio De André: “Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi.”

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: sorella maggiore legge alla sorellina in coma
La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: sorella maggiore legge una favola alla sorellina in stato d’incoscienza

Se hanno una cosa in comune, questi bambini figli di molte parti del mondo, è quindi l’insicurezza quotidiana, vissuta in prima persona e filtrata dalla famiglia, in attesa di sapere cosa ne sarà di loro. Inizialmente, in Svezia, in molti hanno ipotizzato una messinscena da parte di questi bambini catatonici (purtroppo noi italiani – a quanto pare – non siamo i soli a dare la colpa di una tragedia alle vittime, come ha appena fatto il nostro ministro dell’interno nel caso del naufragio-strage a cento metri dalle rive di Cutro, Calabria).  Ma tutti i medici che hanno preso in carico la questione hanno confermato la profondità della patologia, che nei casi più estremi ha portato i malati in uno stato di coma per oltre due anni.

Quando la sindrome è stata riconosciuta ufficialmente

Nonostante fosse stata segnalata, almeno in Svezia ripetutamente dagli anni ‘90, questa condizione non è stata riconosciuta dai pediatri e dagli psichiatri infantili per molti anni. Ma poi, a causa dell’aumento notevole del numero dei malati, dal 1 gennaio 2014 il Consiglio nazionale svedese per la salute e il benessere ha identificato questa sindrome con una diagnosi ufficiale e l’ha inserita nella classificazione svedese degli ICD-10.

La sindrome da rassegnazione. Photo by Magnus Wennman
La sindrome da rassegnazione; foto di Magnus Wennman, vincitore di due World Press Photo Awards

Una delle particolarità di questa patologia è che tutti i casi che si sono verificati fino ad ora sono stati registrati solo in Svezia. Pochissimi bambini e ragazzi con sintomi uguali o simili sono stati segnalati da altri paesi europei. Recentemente però, sono stati segnalati dall’Australia un certo numero di bambini rifugiati e richiedenti asilo con una sindrome molto simile a quella da rassegnazione: erano sull’isola di Nauru da diversi anni e sull’isola sono stati allestiti centri di detenzione per i profughi. Andando indietro nel tempo è possibile trovare casi di manifestazioni simili alla sindrome da rassegnazione in ragazzi e giovani adulti deportati nei campi di concentramento nazisti, e questo credo che dica tutto…

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: i sintomi

La sindrome da rassegnazione nei bambini e negli adolescenti inizia con sintomi di ansia e depressione, in particolare apatia e letargia. Pian piano questi bambini e adolescenti iniziano a mostrarsi nervosi, irritabili, e come ultimo step si allontanano dal mondo, giorno dopo giorno, si chiudono in se stessi come ricci, senza più desideri né passioni, e totalmente disinteressati alla scuola e al gioco.

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti: Magnus Wennman fotografo
La sindrome da rassegnazione: foto Magnus Wennman

Gli incoraggiamenti dei familiari sbattono contro un muro di gomma. Dopo qualche tempo smettono di camminare, parlare, mangiare e diventano deboli, incontinenti, incapaci di reagire perfino agli stimoli dolorosi. E dopo un periodo più o meno breve, alcuni di loro arrivano a una condizione letargica e di incoscienza, mentre altri vanno in coma, che può durare mesi o anni.  

Bambini migranti. foto di Magnus Wennman

A seconda della reattività agli stimoli, i medici hanno suddiviso i sintomi, e di conseguenza la patologia, in due categorie:

Sintomi di “grado 1”: quando i bambini mostrano qualche parola strascicata come risposta se si parla loro, camminano di tanto in tanto con un supporto e riescono a ingoiare qualche cucchiaio di minestra o frutta frullata;

Sintomi di “grado 2”: quando i bambini non hanno alcuna reazione al tatto, al suono, al dolore o al calore ed è necessaria l’alimentazione con sondino. Possono essere presenti anche tachicardia, temperatura elevata, sudorazione eccessiva ed iperventilazione.

A seconda della variabilità individuale, la sindrome può regredire e di conseguenza vengono ripristinate gradualmente tutte le funzioni cognitive e motorie. Questo, però, può verificarsi anche dopo alcuni anni di tempo.

La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti. Foto di M.Wennman
Foto: Magnus Wennman

Il neurologo svedese a capo degli studi sulla sindrome all’interno dell’ospedale Pediatrico Astrid Lindgren di Stoccolma, si è espresso più volte sulla necessità del rinnovo del permesso di soggiorno per le famiglie di questi bambini, per ottenerne la guarigione. Gli svedesi sono riusciti, con una petizione, a far rimanere nel loro paese 30.000 famiglie con permesso scaduto. Perché comunque sia, che lo stato da rifugiati spetti loro o no, bisogna essere consapevoli che i bambini sono sempre vittime. Attraversare il mondo con fatica e mezzi di fortuna e non sempre al seguito dei genitori, in viaggi che a volte durano anni interi, mette a rischio non solo la sopravvivenza, ma anche la psiche di questi bambini, come piccoli Odisseo alla disperata ricerca di Itaca, che – una volta giunti a destinazione – avrebbero il diritto di potersi fermare e respirare, ma la condizione di precarietà legata alle scadenze dei rinnovi non glielo permette. Come se fuggire dalla miseria, dalla carestia, dalla fame, dalle malattie, dalle torture di qualche tirannia non sia già stato sufficiente.

Perché il sonno

Il sonno profondo è la risposta a una sofferenza intensa ed espressa a livello corporeo, come se l’assenza assoluta della capacità di interagire a qualsiasi stimolo fosse un meccanismo di protezione. Il ritiro dal mondo è un comportamento che viene messo in atto per evitare una situazione insostenibile, una dissociazione che nei gruppi di bambini può trasformarsi in una sorta di “contagio emotivo”. Questa condizione può essere aggravata anche dalla familiarità per disturbi mentali. 

Sindrome da rassegnazione: genitori migranti con la figlia in coma
La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti

Ma la scelta del cervello che – per andare in protezione del corpo e della mente – decide di optare per un sonno così profondo che spesso diventa coma spiega molte cose. Prima di tutto spiega perché fra le vittime di questa patologia ci sono solo bambini o giovani adolescenti. Perché nessun adulto? Perché gli adulti, in casi di estrema disperazione, hanno la possibilità di fare un’altra scelta: quella del suicidio, che nessun bambino, almeno fino ai dodici-tredici anni sarebbe mai in grado di fare.

E se qualcuno dovesse domandarsi che cosa ha a che vedere il sonno con la morte, proverò a rispondere tramite il mito, che potrebbe farci capire qualcosa di più di questa sindrome che nessuno riesce ancora a comprendere veramente.

Hypnos e Thanatos, i due gemelli del mito classico greco

vaso greco classico: Hypnos e Thanatos depongono un eroe morto
Vaso con Hypnos e Thanatos, ovvero Sonno e Morte, i due gemelli alati nella “deposizione” di un eroe morto

Hypnos, il Sonno, e Thanatos, la Morte, sono entrambi figli di Nyx, la Notte ed Erebo, la Tenebra Infera, ovvero: la Notte che porta i sogni e la Tenebra Infera che porta la fine della vita. Eppure hanno preso porzioni diverse di “eredità genetica”. Hypnos entra ed esce dai corpi senza recare danno a nessuno, e quindi appartiene allo stato dell’essere. Thanatos, invece, entra nei corpi solo nel momento in cui separa l’anima eterna dal corpo mortale, e di conseguenza appartiene allo stato del non-essere.

La parentela del sonno con la morte costituisce uno dei topoi maggiormente consolidati della letteratura di ogni tempo: Omero esalta la potenza di Hypnos, fratello gemello di Thanatos, nell’episodio della Διὸς ἀπάτη (l’inganno nei confronti di Zeus), quando Era vuole distogliere il suo regale sposo dalle incombenze della guerra di Troia (Iliade XIV 231-237). Sempre nell’Iliade, vediamo i due gemelli, qui definiti da Omero come “veloci portatori” mentre attuano uno dei compiti più importanti che i due gemelli devono svolgere – nel campo dell’epica e del mito in genere – ovvero il compito della “deposizione dell’eroe morto”; in questo caso a Hypnos e Thanatos è affidato il compito di trasportare in Licia il cadavere di Sarpedone, perché possa ricevere i dovuti onori funebri (Iliade XVI 677-683):

“(Apollo) lo unse d’ambrosia e gli mise addosso vesti immortali;
poi lo affidò ai portatori veloci,
il Sonno e la Morte, i gemelli, che subito
lo deposero nella ricca regione di Licia
.”

La sindrome da rassegnazione: Hypnos e Thanatos in un anime "I cavalieri dello Zodiaco"
I gemelli Hypnos e Thanatos in un famoso anime “I cavalieri dello Zodiaco” che fa capire quanto il mito greco sia così importante da essere arrivato fino alla cultura popolare dell’Estremo Oriente

Esiodo nel rappresentare la morte degli eroi della generazione aurea, per rappresentare il tipo di morte ideale, senza alcuna sofferenza, dice: «morivano come vinti dal sonno» (Teogonia 116) e più avanti, sulla parentela fra sonno e morte, si sofferma in una lunga descrizione (Teogonia 755-766)

Molto bella l’immagine proposta da Alcmane, in un contesto erotico, dove lo sguardo struggente della fanciulla amata è paragonato al sonno o alla morte. Del resto è noto il rapporto ambiguo ma fortissimo fra Thanatos ed Eros:

“e col desiderio che scioglie le membra, e più struggente
del sonno e della morte guarda verso di me”

Fondamentali, nell’ambito  “sindrome da rassegnazione”, sono i contesti nei quali la divinità del sonno è esaltata per i benefici che arreca e viene invocata come rimedio delle sofferenze umane. Così, ad esempio, in Sofocle, Filottete 828-832, il coro lo invoca perché liberi Filottete dal dolore causatogli dalla ferita purulenta:

“Sonno che ignori il dolore, Sonno privo di sofferenze,
vieni a noi col tuo soffio benefico,
Signore beato! Diffondi sugli occhi
questa luce di salvezza, che finalmente risplende!
Vieni a me, vieni, Guaritore!”

Gli esempi sarebbero tantissimi, ma non si può non citare almeno il famosissimo brano di Platone nel quale Socrate, in prossimità dell’esecuzione capitale, paragona la morte al sonno (Apologia di Socrate, 40 c-d).

Ora, se la morte è il non aver più alcuna sensazione, ma è come un sonno che si ha quando nel dormire non si vede più nulla neppure in sogno, allora la morte sarebbe un guadagno meraviglioso… Se, dunque, la morte è qualcosa di tal genere, io dico che è un guadagno. Infatti, tutto quanto il tempo della morte non sembra essere altro che un’unica notte. Invece, se la morte è come un partire di qui per andare in un altro luogo, e sono vere le cose che si raccontano, ossia che in quel luogo ci sono tutti i morti, quale bene, o giudici, ci potrebbe essere più grande di questo?”

Bambino migrante in coma in ospefaleFoto di Magnus Wennman
La sindrome da rassegnazione dei bambini migranti Foto: Magnus Wennman

Infine bisogna ricordare che, nella Grecia classica, il sonno portatore di sogni era una componente determinante della vita. Tutta l’epica omerica è un continuo di sogni e visioni, di ombre che nel sogno visitano e guidano gli eroi: «Tu dormi, Atride», dice il sogno nel II libro dell’Iliade. «Tu dormi, Achille», dice lo spettro di Patroclo. L’ate, lo stato d’animo che molto spesso decide il comportamento dei guerrieri nel mito greco, è un temporaneo dissociarsi della coscienza, ispirato dagli stessi Dei. Erodoto diceva che non solo il sogno visita il sognatore, ma «gli sta sopra», per far capire il potere onirico di influenzare, profondamente, la realtà del dormiente.

Avendo ampiamente dimostrato la stretta parentela fra Sonno e Morte, è facile ipotizzare che il coma sia una delle fasi che possano portare dal sonno alla morte, e quindi una via di mezzo fra “l’essere” di Hypnos e il “non essere” di Thanatos: forse una scelta ideale per un cervello molto giovane che cerchi scampo da una realtà psicologicamente insostenibile.

Nella sindrome da rassegnazione, poi, è difficile capire – razionalmente – come possano, bambini in stato di coma da tanti mesi, accorgersi se qualcosa di positivo è avvenuto nelle loro vite: principalmente se uno status da rifugiati o un permesso di soggiorno sia stato accordato alla famiglia. E solo allora, piano piano, iniziano a risvegliarsi. Come se, nel corso di quei lunghi mesi o anni di sonno, Hypnos e i suoi figli, i Sogni, abbiano accompagnato i piccoli migranti tenendo sempre per mano la loro coscienza.

Trattamento della sindrome della rassegnazione

Nella sua fase acuta, il trattamento della sindrome della rassegnazione si basa, pertanto, sul mantenimento in vita dell’individuo in stato di torpore. Per garantire la sopravvivenza del bambino sono spesso necessari dei supporti artificiali, come la nutrizione attraverso sondino nasogastrico, l’idratazione endovenosa ed il controllo delle funzioni corporee. Nei casi più gravi si interviene anche con le benzodiazepine per contrastare la catatonia. Ovviamente, fin dalle prime fasi, è necessaria una terapia psicologica, per aiutare bambini e famiglie a rielaborare i traumi e tutte le emozioni dolorose che sono stati costretti a vivere.

La domanda a cui è ancora impossibile dare risposta

Quello che invece rimane incomprensibile, dopo anni di studio e ricerche, è: perché la Svezia? Perché tutto questo accade quasi esclusivamente in Svezia? Sempre che la Svezia non sia altro che “il paziente zero” e questa patologia sia destinata ad espandersi come un’epidemia fra tutti i piccoli migranti che affollano i centri di “accoglienza” della ricca, avida e succube Europa, e che “colpisca” anche tutti i ricchi paesi del mondo che scelgono di spendere miliardi in armi per una guerra ma neanche un centesimo per i poveri e i reietti di tutta la Terra, che siano migranti o meno, il cui numero continua ad aumentare esponenzialmente.

Giancarlino Benedetti Corcos e il suo Festival del NonSense

Benedetti Corcos, note e strisce

Giancarlino Benedetti Corcos è un artista a 360 gradi. Nel senso che si porta dietro l’arte non solo quando dipinge, ma quando parla, cammina, si relaziona con gli altri, ride, inventa cose, scrive, organizza eventi, mangia un panino con la frittata. Giancarlino vive e lavora a due passi da Campo de Fiori, ma è come se fosse rimasto immune al mutamento che il centro storico di Roma, e quella parte soprattutto, fra Tor di Nona, il ghetto, via Giulia, piazza Farnese, Campo de Fiori e piazza Navona ha subìto negli ultimi trenta anni. Fino all’immediato dopo-guerra quell’area di centro storico era ancora fortemente popolare. Oggi è un quartiere abitato da ricchi e da turisti, pieno di locali alla moda, ristoranti di lusso, pub americani o simulacri di pub americani o irlandesi.

Giancarlino Benedetti Corcos, intervista su Ostinata e Contraria
Giancarlino Benedetti Corcos

Eppure nel quartiere c’è ancora un’anima antica che Giancarlino conosce bene. Andare in giro con lui in quella zona è divertente perché è amico di tutti i vecchi artigiani così come di molti fra i nuovi abitanti, che spesso sono suoi collezionisti, e lui è la stessa identica persona con tutti: fluido come acqua che passa attraverso i muri.

Allo stesso modo è fluida la sua arte, che racconta un mondo onirico, favolistico, coloratissimo, musicale: il mondo di Giancarlino. Lui dipinge su vari tipi di superficie, dalla ceramica ai murales ma principalmente su teli di cotone naturale che poi, a seconda di come preferisce il cliente, possono essere attaccati ad una tela e trasformarsi in un quadro o lasciati così come sono.

Domanda: Ciao Giancarlino, inizierei col domandarti: come sei diventato pittore?

Risposta: Di base per due motivi: il primo è la mia passione per l’arte, fin da ragazzino, quando andavo, ad esempio, agli Uffizi con i miei e riconoscevo tutti i quadri del ‘300, ‘400, ‘500. Il secondo è semplice: “Non sapevo fare altro”, frase che diceva anche Schifano. Nella vita l’unica cosa che mi ha dato la possibilità di campare è stata questa. In più c’è una mia visione dell’arte come farmaco, come qualcosa di curativo, che può cambiare i rapporti, cambiare le persone. E poi è una porta verso l’inconscio, verso la realizzazione dell’inconscio. Achille Bonito Oliva diceva: “I quadri di Giancarlino vanno ascoltati, più che guardati” e poi ha sempre detto che il mio lavoro non è mai aggressivo, e questo mi ha fatto davvero piacere.

Giancarlino Benedetti Corcos, Demetra
Benedetti Corcos: Demetra

D. E le tue ispirazioni da un punto di vista strettamente artistico?

R. Intanto tutta l’arte greca e romana. Poi, come ho detto prima, i grandi maestri, dal ‘300 al ‘600. E passerei direttamente ai tre grandi pittori che mi hanno colpito, influenzato, che sono El Greco, Goya e Rembrandt fino ad arrivare al grandissimo Francis Bacon.

Giancarlino Benedetti Corcos, città
Benedetti Corcos

D. Io trovo che, almeno nei tuoi quadri recenti, ci sia molto Klimt.

R. Certo, i due grandi pittori della secessione viennese sono Klimt e Schiele, molto diversi sotto tutti i punti di vista, anche quello sociale. Klimt, che era un uomo di potere ha cercato molto di aiutare Schiele che però non voleva essere aiutato. Di diverso c’è che la mia pittura è anche una presa in giro della pittura, è una pittura che non cerca il valore tecnico.

D. Mi parli di Achille Bonito Oliva?

R. Achille è l’unico storico dell’arte che io conosco che riesca ad entrare nella parte letteraria della pittura. Lui riesce a entrare nei ritmi delle cose trasferendo però questi ritmi nel quotidiano. Io per esempio, per un lungo periodo ho fatto tutto un lavoro sulla “pattinatrice”, questa pattinatrice che va sopra e va sotto, che entra nel Carcere Mamertino e poi ne esce, e questo rappresenta il partire dal classico per arrivare all’oggi. Cosa che è sempre stata una delle grandi capacità di Achille.

Intervista a Giancarlino Benedetti Corcos

D. Quando hai iniziato a guadagnare con quello che dipingevi?

R. A 27 anni, circa. I miei lavori su carta, sulla carta da pacchi, sulla carta paglia, sono state le prime cose che ho venduto.

D. E che cosa ti ha aperto la strada verso il mondo del mercato?

R. Sicuramente una mia ottima capacità di relazionarmi con le persone, ma anche le recensioni che, dal 1984 mi ha fatto Achille. Però sono sempre rimasto marginale, ho voluto sempre essere me stesso, ho scelto di mantenere una mia autonomia da tutto.

Giancarlino Benedetti Corcos

D. A proposito di autonomia dell’arte, cosa pensi della Street Art?

R. Ci sono molti street artists che amo. Ad esempio il lavoro che hanno fatto a San Basilio è meraviglioso, ma certo, in questi ambiti anche l’architettura dovrebbe fare la sua parte. Ad esempio Banksy, il più famoso: non c’è dubbio che rappresenti una parte dell’arte inglese, è un erede di certa arte inglese ed è sicuramente interessante anche il suo modo di essere stato presente nel quotidiano, ammiccando o non ammiccando. Parliamo di un’arte che però non è di opposizione, anche se è così che viene venduta, mentre in realtà è del tutto trasversale.

Giancarlino Benedetti Corcos, opera

D. Tornando a quello che dicevi prima, che sei molto connesso con la musica, tanto che anche Bonito Oliva considerava la tua pittura come qualcosa da ascoltare, qual è la tua musica preferita?

R. In questo periodo sto ascoltando molto Frank Zappa ed è descritto, nel web, come un musicista nonsense, che mi riporta al festival che sto organizzando. Poi in questo periodo sto rivalutando molto alcuni musicisti tipo Albarn Berg, Schonberg, o il grande Bruno Maderna, tutta musica dodecafonica.

Giancarlino Benedetti Corcos, il giallo

D. Andando avanti, come descriveresti la tua vita adesso?

R. Io ho avuto una compagna per 30 anni, Laura, con cui scrivevamo delle piccole commedie, dipingevamo ceramiche, abbiamo fatto tante cose bellissime insieme, mostre in tutta Europa, e poi è morta 10 anni fa. Ovviamente è stato per me un grande lutto, difficile da superare. Ma avendo io un rapporto molto bello e costante con il sogno, considero Laura come parte integrante della mia vita, perché la sogno continuamente. E poi anche sul lavoro ho conosciuto tante persone belle e ho scoperto che ogni persona è unica, decisamente.

Benedetti Corcos, ortaggi
Giancarlino Benedetti Corcos, ortaggi

D. Parliamo adesso di questo festival che stai organizzando, “Il Festival del NonSense”. Se mi racconti un attimo il perché e come pensi di svolgerlo.

R. All’inizio ho apprezzato molto il lavoro di Cosimo Angeleri, uno scrittore mio amico, e il suo libro Frantumpio che è tutto nonsense. Poi mi è venuto in mente di creare una sorta di palinsesto, una forma che io identifico con un esagramma dell’I Ching “Il crogiuolo”, dentro cui tutti possono mettere il proprio nonsense, considerando il nonsense non solo un semplice gioco di parole fatto per far ridere, ma una sorta di trasformazione del linguaggio che si presta alla fantasia di ognuno. Beckett, ad esempio, nel suo essere surreale, è più fuori sense che non sense, come fosse un fotogramma “fuori quadro” solo per fare un esempio, ma rientra perfettamente nella nostra visione di nonsense. Una visione con la mente ben aperta.

Benedetti Corcos, vaso in ceramica
Benedetti Corcos, lampada in ceramica

D. Come pensi di organizzarlo, quindi?

R. Come uno “Speaker corner”. Prima ci sarà una lista di artisti, che saranno scrittori, musicisti, pittori, ballerini, ognuno presentando il suo lavoro in modo rapido, per forza di cose. Alla fine, se ci sarà tempo, tutti gli spettatori avranno la possibilità di partecipare con il loro proprio nonsense, per instillare nelle persone una capacità di auto-nonsense. Questa cosa porterà sicuramente un benessere dal punto di vista del divertimento, della lingua, nel capire che ogni nonsense ha una sua forte motivazione.

D. Quindi all’inizio ci sarà una lista di partecipanti.

R. Sarà un grande happening spettacolo con una lista. Poi “invasione di campo” da parte di chiunque, fra il pubblico, voglia improvvisare un suo nonsense.

Benedetti Corcos, fiori

D. Mi domandavo, quelli che portano dei quadri, dei disegni che non sono giganteschi come fanno a farli vedere?

R. Apriranno il rotolo, piccolo o grande che sia e poi ci sarà una “valletta” che lo porterà in giro per il pubblico. Io sarò il regista e fischierò… oppure se lo metteranno addosso tipo uomo-sandwich. Insomma, ci sarà un po’ di improvvisazione perché questo evento è una sorta di arnese che io ho creato per darlo agli altri.

Benedetti Corcos, green

D. Quindi quelli che ancora volessero iscriversi, o che fossero interessati alle tue opere possono contattarti tramite il messenger del tuo account Facebook Giancarlino Benedetti Corcos?

R. Certo. Il tutto avverrà il 27 ottobre 2022 al centro Zalib, all’aperto, via della Penitenza, Roma. Ci sarà un secondo giorno, il 28 ottobre 2022 alla Cappella Orsini, Piazza Grottapinta, Roma, dove però saranno solo attori a leggere i testi e quindi l’happening vero e proprio sarà il 27. Sulla locandina c’è scritto tutto.

Festival del NonSense locandina
Festival del NonSense locandina

UOMINI CHE ODIANO I LUPI

Uomini che odiano i lupi: lupo grigio

Gli uomini che odiano i lupi sono tanti, proprio come gli uomini che odiano le donne, e nonostante i lupi siano diminuiti in modo tristemente notevole su tutta la superficie terrestre, l’odio di questi uomini non diminuisce, anzi, se possibile aumenta. In alcuni luoghi della Terra il lupo è completamente estinto e in altre zone, come l’Italia, per scongiurare l’estinzione ormai prossima sono nati progetti di reinserimento del lupo nella fauna dei principali parchi nazionali, non solo perché il lupo è un animale meraviglioso che appartiene al nostro Paese, ma anche perché è fondamentale per mantenere stabile l’ecosistema. Basta informarsi sulla cascata trofica avvenuta a Yellowstone, USA, in seguito all’estinzione dei lupi per capire come siano importanti. Attualmente si contano circa 3300 lupi in tutto il territorio nazionale, ma si calcola che ogni anno siano almeno 300-400 i lupi che vengono massacrati dall’uomo.

Uomini che odiano i lupi: cucciolo di lupo grigio
Uomini che odiano i lupi: cucciolo di lupo

Chi sono dunque gli uomini che odiano i lupi? Nessun animale, come il lupo, è simbolo della natura selvaggia, della bellezza, della libertà, della magia, della socialità, delle culture antichissime di quasi tutto il mondo. Gli uomini che odiano i lupi non a caso odiano tutto ciò che non è “loro proprietà” e non potrà esserlo mai, come la natura, la bellezza, la cultura.

UOMINI CHE ODIANO I LUPI: LUPI MASSACRATI IN ITALIA NEGLI ULTIMI ANNI

Questi che seguono sono solo alcuni esempi, particolarmente significativi per ferocia e meschinità, presi dai tanti episodi di lupi massacrati di recente dall’uomo in Italia.

2017: Coriano, provincia di Rimini, lupo appeso alla fermata dell’autobus dopo essere stato seviziato con un forcone e ucciso fracassandogli il cranio.

Uomini che uccidono i lupi: Coriano, Rimini, lupo ucciso e appeso a fermata bus
Coriano, Rimini: lupo ucciso e appeso alla fermata dell’autobus

2017: Pitigliano, provincia di Grosseto, lupo decapitato e con la coda mozzata abbandonato in mezzo alla strada.

2017: Pergola, provincia di Pesaro, lupo decapitato e abbandonato in uno spartitraffico.

Uomini che odiano i lupi: Pergola, Pesaro, lupo decapitato
Pergola, Pesaro: lupo decapitato abbandonato in uno spartitraffico

2017: Rocca Priora, provincia di Roma, lupo inchiodato per una zampa ad un palo ed esposto sotto il portale di ingresso al paese.

2017: Parco nazionale d’Abruzzo, zona Opi, cinque cuccioli di lupo, nati da meno di un mese, ritrovati uccisi, probabilmente avvelenati o soffocati.

2020: Marcellinara, provincia di Catanzaro, lupo avvelenato e poi impiccato al cartello di entrata del paese

Uomini che odiano i lupi: Marcellinara, CZ, lupo avvelenato e appeso al cartello del paese
Uomini che odiano i lupi: Marcellinara, Catanzaro, lupo avvelenato e appeso all’entrata del paese

2022 Provincia di Ancona, tre lupi ritrovati nelle campagne marchigiane, uccisi uno al laccio, uno colpito da un proiettile, il terzo avvelenato. Due lupi erano dotati di radiocollare.

2022: Caprara, al centro di Monte Sole, nel Parco dell’Emilia orientale, un intero branco di lupi è stato eliminato per avvelenamento tramite pesticidi pericolosissimi, il Brodifacoum e il Bromadiolone, che sono però liberamente in vendita e facilmente acquistabili. Il responsabile dell’area Ambiente dell’Ente Parco Emilia Orientale, David Bianco ha detto “È un fatto gravissimo, anche perché a Monte Sole non ci sono pecore o altri allevamenti, e i lupi vivono in equilibrio, senza creare problemi”.

2022: Valchiavenna, provincia di Sondrio, un lupo è stato ucciso, decapitato e la sua testa attaccata a un cartello stradale con – in aggiunta – un foglio con su scritto “I professori parlano, gli ignoranti sparano”

Uomini che odiano i lupi: provincia di Sondrio, lupo decapitato e testa appesa con scritta "Gli ignoranti sparano"
Sondrio: lupo decapitato e la testa appesa a cartello stradale insieme a scritta

GLI IGNORANTI SPARANO

I criminali che hanno ucciso e decapitato poche settimane fa un lupo a Sondrio una cosa giusta l’hanno detta: “Gli ignoranti sparano”. Infatti, nel secondo millennio d.C. tutti quelli che considerano ancora la caccia uno sport e si divertono ad andare a sparare a piccole creature come uccelli e lepri con fucili potentissimi, hanno di sicuro una cosa in comune: l’ignoranza e la ferocia. Per quanto riguarda il lupo dobbiamo ricordare che in Italia è una specie protetta rigorosamente dalla legge e chi gli fa del male o lo uccide rischia fino a tre anni di carcere (purtroppo solo in teoria). Eppure, gli assassini di lupi di Sondrio sono orgogliosi della propria ignoranza e se ne vantano. Questa è una novità molto triste che va però a braccetto col percorso che sta facendo il mondo. Potremmo aggiungere che, in Italia di sicuro “gli ignoranti vengono eletti in Parlamento”, che “gli ignoranti governano”, che spesso “gli ignoranti fanno i giornalisti”, che ancora più spesso “gli ignoranti fanno ottime carriere” e anche che “gli ignoranti sono una razza trasversale, sia politicamente che socialmente: si va dal coatto al radical chic, dall’uomo di estrema destra a quello che si dichiara moderato”. Il nostro mondo, ormai, è un mondo dove solo nascere in una famiglia ricca e potente può garantirti una vita decente. Se non sei ricco ma sei ignorante e feroce, privo di ogni scrupolo, avrai comunque delle opportunità da poter sfruttare.

UOMINI CHE ODIANO I LUPI: IL CULTO DEL LUPO NEI MILLENNI

I nativi d’America hanno sempre ritenuto che l’osservazione attenta dei lupi e dei loro comportamenti ci possa aiutare a guarire interiormente: da qui il termine “la medicina del lupo”, che è di base una medicina dell’anima. Ti aiuta a immagazzinare forza interiore con cui affrontare le sfide che incontrerai nella vita. Il lupo, non a caso, è sempre stato considerato un animale sacro dai nativi d’America.

Uomini che odiano i lupi: disegno di lupi e nativi d'America
Lupi e Nativi d’America

Il lupo è al centro anche degli antichi miti norreni: i suoi occhi sono molto luminosi di notte e questo fa sì che rappresenti la Luce Primordiale.

Nell’antica mitologia greca, l’aurora veniva chiamata anche “lykauges”, ovvero “luce dei lupi”, perché grazie al loro tapetum lucidum, strato riflettente a forma di mezzaluna situato dietro la retina, riescono a vedere anche al buio.

In Siberia il lupo rappresenta la fecondità, per i turchi e i mongoli è l’antenato del conquistatore Gengis Khan: il lupo celeste è il compagno della cerva bianca, che rappresenta la terra da cui nascono eroi e famosi guerrieri, mentre il lupo bianco, Fenrir fu associato, negli antichi miti nordici al dio della vittoria Tyr, ed alla di lui runa Taiwaz, ma anche al Dio Apollo presso le antiche popolazioni greche e romane. In greco antico lupo si diceva “lukos”, e “lukios” era uno degli appellativi di Apollo, come luke, lux, luceo, liceo, tutti riferimenti al lupo, animale a lui sacro, e alla terra di Licia, la regione nella quale era nato Apollo. Il bosco sacro che circondava il tempio di Apollo era inoltre chiamato lukaion, ovvero regno del lupo; Aristotele vi teneva le sue lezioni: da qui l’origine della parola liceo. Sembra ovvio che un animale sacro che ha dato il nome a un’istituzione creata per la conoscenza come il liceo non possa essere amato da chi è fiero della propria ignoranza.

Uomini che odiano i lupi: lo splendido lupo bianco
Uomini che odiano i lupi: il lupo bianco

Nei musei di Perugia e Volterra sono conservati dei vasi funerari etruschi raffiguranti il lupo che si affaccia dalla caverna in comunicazione con l’altro mondo. Infatti anche il lupo era visto come una delle creature che sorvegliano l’entrata del mondo dei morti e le sue fauci simboleggiavano l’antro dell’aldilà, da cui una volta entrati non si fa più ritorno.

Antico mascherone in bronzo con faccia di lupo per fontana: Capua, Eboli
Antico mascherone in bronzo per fontana raffigurante lupo ritrovato a Capua, Eboli

Da “IL PATIBOLO” di AJTMATOV, SCRITTORE KIRGHISO, 1986

“Ma ecco il cielo tuonare: di nuovo gli elicotteri. Questa volta volarono bassi e minacciosi sopra i gruppi di antilopi. Tutto avvenne in maniera brusca e imprevedibile, alcune centinaia di antilopi impazzite si abbandonarono al panico totale non avendo resistenza alcuna da opporre ai motori dell’aviazione. Era proprio ciò che gli elicotteri si proponevano. Schiacciando a terra la mandria in fuga e superandola la costringevano a scontrarsi con un’altra e poi un’altra e un’altra coinvolgendo così in questo finimondo masse sterminate di abitanti della savana. E non solo di antilopi ma anche di lupi.

Akbara e i suoi fuggirono a rotta di collo alla ricerca di un rifugio sicuro. Ma era destino che non lo trovassero. I lupi si trovarono mischiati a quel torrente largo e turbinoso che incalzava. Si trovavano ora imprigionati in quella grande fuga generale, incredibile e inverosimile… Più di una volta Akbara aveva cercato di uscire da quel torrente, ma invano, ogni volta rischiava di essere travolta da centinaia di antilopi. Nel rabbioso, mortale galoppo, la famiglia di lupi si teneva ancora unita e Akbara riusciva a controllarli tutti. Vedeva che i suoi figli acceleravano, strabuzzavano gli occhi per lo spavento… Preferita fu la prima a crollare. Cadde travolta da migliaia di zampe. Il suo grido fu coperto all’istante dallo scalpitare di una mandria di zoccoli…”

IL FUTURO DEL LUPO E DEL MONDO

Credo che il futuro del lupo non sia roseo, purtroppo: l’essere umano aumenta in numero, in avidità e in ignoranza. L’essere umano, poi, è anche così stupido da non riuscire a comprendere perché mai la fine del lupo dovrebbe essere connessa alla fine dell’uomo. Ancora una volta: se il mondo non cambia subito e prepotentemente direzione, la nostra vita diventerà sempre più triste, priva di senso e di futuro.

HEMINGWAY VERSUS MUSSOLINI

Hemingway giovanissimo

Il motivo per cui parlerò della conferenza di Losanna del 1923 è per via di un articolo scritto da Hemingway, allora giovanissimo reporter che lavorava soprattutto per giornali canadesi. Il modo in cui Hemingway faceva il giornalista era particolare, proprio come in seguito lo sarebbero stati i suoi libri. Per una conoscenza vera e approfondita di Hemingway la sua attività da reporter è imprescindibile, anche perché il suo modo di scrivere da giornalista è completamente diverso dal suo stile letterario: il reporter Hemingway è fortemente ironico, mentre lo scrittore Hemingway è drammatico. A volte possiamo trovare, in un suo libro, qua e là, una vena di sarcasmo, ed è sempre sarcasmo molto amaro. Credo che questo possa dipendere dal fatto che per lui la vita narrata che diventa letteratura, sia sempre stata qualcosa di maledettamente serio. Al contrario la vita vissuta, che è ciò di cui si parla nei reportage, puoi affrontarla solo finché riesci a farlo con ironia. Il momento in cui perdi l’ironia, quel grande nonsense che è la vita ti schiaccia.

Hemingway giovane Reporter

Hemingway versus Mussolini: come è nato il reciproco odio fra un grande scrittore e un piccolo dittatore

Altro motivo per cui ne parlo è che mi è capitato di leggere articoli su giornali di destra o addirittura libracci che sostengono che Hemingway amava Mussolini e lo considerava un grande. Hemingway aveva in simpatia D’Annunzio, che è tutta un’altra cosa. In realtà considerava Mussolini un grande… coglione, lo prendeva in giro in ogni articolo e Mussolini lo odiava, tanto che solo in Italia “Addio alle armi” scritto nel 1929 ha dovuto attendere il 1946 per essere pubblicato. Quindi, in questo paese dove ognuno è libero di dire quello che gli pare, perché la verità ormai è un genere passato di moda, parlerò da parte di Hemingway usando brani di un suo famoso articolo “Mussolini Europe’s prize bluffer” che significa “Mussolini è il più grande bluff d’Europa”. Reportage per il “Toronto Daily Star” 27 gennaio 1923.

Hemingway soldato nella prima guerra mondiale

La conferenza di Losanna, 1923

In questo articolo si parla della conferenza di Losanna tenuta nel 1923, subito dopo il trattato di Sevres, dove i vincitori si erano spartiti i territori dei vinti, post prima guerra mondiale, ma le decisioni non erano state ratificate a causa dell’opposizione turca. In questo pezzo Hemingway si scatena e ce n’è per tutti: prende in giro gli svizzeri, prende in giro i rappresentanti della neonata Unione Sovietica, prende in giro Ismet Pascià, braccio destro del celeberrimo Ataturk, presidente della nuova e moderna Turchia, anche se per Ismet Hemingway ha una certa simpatia. Ma più di tutti prende in giro Mussolini.

Losanna 1923, capi di Stato fra cui Mussolini con le ghette bianche

Sfortunatamente per l’Italia Mussolini non era un bluff come dittatore, e in un certo senso Hemingway ha perso la sua scommessa. In compenso con questo ed altri articoli Hemingway riuscì a farsi odiare da Mussolini che l’ostacolò in ogni modo possibile.

Hemingway versus Mussolini: gli svizzeri

“Losanna, Svizzera. Allo Chateau di Ouchy, così brutto che in confronto la Old Felow’s Hall di Petoskey, nel Michigan, sembra il Partenone, si tengono le sedute della Conferenza di Losanna.

Una sessantina di anni fa Ouchy era un villaggio di pescatori con case scolorite dal tempo, una simpatica locanda dipinta di bianco con una veranda ombreggiata e fresca dove Byron si soffermava facendo riposare la gamba malata su una sedia, contemplando l’azzurro del lago di Ginevra e una vecchia torre in rovina che spuntava tra i canneti sulla riva del lago.Gli svizzeri hanno abbattuto le case dei pescatori, inchiodato una lapide sulla veranda della locanda, scaraventato la sedia di Byron in un museo, riempito la spiaggia a canneti con la terra raccolta negli scavi per gli alberghi enormi e deserti che coprono la collina sino a Losanna, e hanno costruito intorno alla torre il più brutto edificio d’Europa. Questo edificio di pietra grigia compressa assomiglia a uno di quei nidi d’amore che prima della guerra i re crucchi avevano l’abitudine di costruire lungo il Reno come “case da sogno” per le loro regine crucche, e riassume tutte le fasi più deplorevoli della scuola architettonica del cane-di-ferro-sul-prato.”

Hemingway versus Mussolini: Lord Byron

Bulgaria e Russia

“Il primo ministro bulgaro Stambuliski esce pesantemente dalla porta girevole dello Chateau, squadra con diffidenza i due poliziotti svizzeri con l’elmetto in testa, guarda torvo la folla e sale a piedi la collina fino al suo albergo. Stambuliski non potrebbe permettersi di viaggiare in berlina neanche se avesse i soldi. Lo riferirebbero a Sofia e il suo governo contadino chiederebbe spiegazioni. Poche settimane fa al parlamento bulgaro si è appassionatamente difeso dall’accusa, rivoltagli da un gruppo di elettori vestiti con pelli di pecora, di portare calze di seta e di dormire fino alle nove di mattina.”

Il Primo Ministro Bulgaro Stambuliski

…I membri della delegazione russa non sanno mai con precisione quando verranno invitati alla Conferenza e quando ne saranno esclusi e hanno perciò deciso, sin dall’inizio, in uno dei consigli di famiglia che tengono a mezzanotte all’Hotel Savoy, che prendere una berlina fissa sarebbe troppo costoso. Si presenta alla porta un taxi e si fa avanti Arrens, uomo della Ceka e addetto stampa bolscevico, con un volto severo, scuro e sogghignante e con l’unico occhio che vaga qua e là senza controllo. Lo seguono Rakovskij e Cicerin. Rakovskij, l’ucraino, ha il viso pallido, i lineamenti splendidamente modellati, il naso adunco e le labbra tirate di un antico nobile fiorentino.”

Christian Rakovskij

Cicerin non è più quello di Genova, quando sembrava batter le palpebre davanti al mondo… Adesso è più sicuro di sé, ha un cappotto nuovo, anche se di profilo è ancora lo stesso, con l’atteggiamento furtivo del mercante di abiti usati.

Il turco

“Tutti vogliono vedere Ismet Pascià, ma una volta che l’hanno visto non hanno nessuna voglia di rivederlo. È un ometto scuro, privo di magnetismo… Assomiglia più a un merciaio armeno che non a un generale turco. Ha qualcosa di un topo…

Quando lo intervistai ce la intendemmo perfettamente, in quanto entrambi parlavamo malissimo il francese… Egli sa apprezzare una battuta umoristica e sorride compiaciuto a se stesso raggomitolandosi nella sua poltrona, ma si fa urlare all’orecchio in turco dal suo segretario gli interventi dei grandi. Quando lo rividi, Ismet era seduto a un tavolino in una sala da ballo di Montreux e sorrideva compiaciuto alle ballerine. Allo stesso tavolo due grossi turchi dai capelli grigi si guardavano attorno imbronciati, mentre lui mangiava enormi porzioni di torta. La cameriera sembrava soddisfatta di Ismet e Ismet di lei; si divertivano moltissimo. Nessuno dei presenti lo aveva riconosciuto.

Ismet Pascià

Hemingway versus Mussolini: Ritratto n.1

“A far contrasto con Ismet c’era Mussolini. Mussolini è il più grande bluff d’Europa. Anche se domattina mi facesse arrestare e fucilare, continuerei a considerarlo un bluff. Sarebbe un bluff anche la fucilazione. Provate a prendere una buona foto del signor Mussolini e esaminatela. Vedrete nella sua bocca quella debolezza che lo costringe ad accigliarsi nel famoso cipiglio mussoliniano imitato in Italia da ogni fascista diciannovenne. Studiate quella coalizione fra capitale e lavoro che è il fascismo e meditate sulla storia delle coalizioni passate. Studiate il suo genio nel rivestire piccole idee con paroloni. Studiate la sua predilezione per il duello. Gli uomini veramente coraggiosi non hanno nessun bisogno di battersi a duello. E guardate la sua camicia nera con le ghette bianche. C’è qualcosa che non va, anche sul piano istrionico, in un uomo che porta le ghette bianche con una camicia nera. Può darsi che duri quindici anni come può darsi che venga rovesciato la primavera prossima da Gabriele D’Annunzio che lo odia. Ma permettetemi di offrirvi due ritrattini autentici di Mussolini a Losanna.” 

Mussolini col suo tipico cipiglio

Il dittatore fascista aveva annunciato una conferenza stampa. Vennero tutti. Noi ci affollammo in una stanza. Mussolini sedeva alla scrivania leggendo un libro. Il suo viso era contratto nel cipiglio famoso. Faceva la parte del dittatore. E restava assorto nel suo libro. Mentalmente leggeva già le pagine dei duemila giornali serviti da quei duecento inviati: “Quando entrammo nella stanza, il dittatore in camicia nera non alzò gli occhi dal libro che stava leggendo…” eccetera eccetera.

Per vedere quale fosse il libro che leggeva con avido interesse gli andai dietro in punta di piedi. Era un dizionario inglese-francese che teneva capovolto.”

Hemingway versus Mussolini: Ritratto n.2

“Lo stesso giorno un gruppo di italiane che vivono a Losanna vennero al suo appartamento dell’Hotel Beau Rivage per offrirgli un mazzo di rose. Erano sei donne di ceppo contadino, mogli di operai, e attendevano fuori della porta di rendere omaggio al loro nuovo eroe. Mussolini arrivò in redingote, calzoni grigi e ghette bianche. Una delle donne si fece avanti e cominciò il suo discorso. Mussolini la guardò torvo, sogghignò, posò i suoi occhioni da africano sulle altre cinque e tornò in camera sua. Quelle poco attraenti contadinotte rimasero lì con le rose in mano. Mezz’ora dopo ricevette Clare Sheridan, che a forza di sorrisi è riuscita a ottenere molte interviste e trovò il tempo di conversare con lei per mezz’ora.”

Clare Sheridan, giornalista e scultrice inglese

…Mussolini comunque non è uno sciocco ed è un grande organizzatore. Ma è molto pericoloso organizzare il patriottismo di una nazione quando non si è sinceri, specialmente se si porta questo patriottismo a un livello tale da far offrire al governo prestiti senza interessi. Quando un latino ha investito i suoi soldi in un affare, vuole dei risultati, e dimostrerà al signor Mussolini che è molto più facile stare all’opposizione che non essere il Capo del governo. Sorgerà una nuova opposizione, anzi si sta già formando e sarà guidata da quel rodomonte vecchio e calvo, forse un po’ matto ma profondamente sincero e divinamente coraggioso, che è Gabriele D’Annunzio.”

Hemingway versus Mussolini: da ragazzo col fratellino

La domanda che sorge spontanea è: perché Hemingway ha voluto credere che Mussolini non fosse un vero dittatore e che fosse interessato al limite ad un regime semi-democratico in cui stare all’opposizione, quando è noto che i dittatori le opposizioni le fanno fuori molto facilmente col sangue e che Mussolini non avrebbe mollato quella parte da Capo di Stato per niente al mondo? Perché Hemingway era americano, pragmatico. In Italia c’era stato, sì, ma come soldato durante la prima guerra mondiale e non si conosce una popolazione durante una guerra. Non poteva quindi avere un’idea di quanto profonda e insensata sia la vanità dei maschi in genere e di quelli italiani in particolare, in special modo quando hanno un briciolo di potere. Né poteva sapere che popolo di pecore eternamente senza pastore sia il popolo italiano, fin dal primo giorno in cui l’Italia è stata “riunificata” dai francesi Savoia. Forse, se lo stesso articolo l’avesse scritto solo qualche mese dopo, nel giugno 1924, di fronte all’assassinio di Giacomo Matteotti, Hemingway avrebbe capito che Mussolini non era un bluff in quanto dittatore, ma era sicuramente un giocatore d’azzardo, di quelli che non conoscono strategie ma più perdono più continuano a giocare, si vendono tutto “l’oro della famiglia oppure della patria”, s’indebitano con soggetti ancora più pericolosi e alla fine si ritrovano “gambe all’aria”. Nel caso di Mussolini letteralmente.

DA LESS THAN ZERO A EUPHORIA

da less than zero a euphoria

Da Less than zero a Euphoria sono passati esattamente 40 anni. Il che è almeno peculiare, perché i ragazzi in genere, ma soprattutto gli americani, non sembrano cambiati granché, se non nelle mode, nei tipi di droga di cui fare uso, nella violenza del sesso, nei modi sempre più cattivi – grazie ad internet – per bullizzare altri ragazzi e ragazze e, ovviamente, nell’utilizzo dei social media. È anche vero che l’adolescenza in sé si nutre, nella maggior parte dei casi, di quel senso di fragilità, impotenza, inadeguatezza che alcuni, crescendo, perdono, mentre altri si portano dietro per tutta la vita. Avrei voluto aggiungere anche Gli Indifferenti, capolavoro di Moravia: altra generazione ma stessa identica incapacità di vivere. Poi, però, l’articolo sarebbe venuto troppo lungo.

Labirinth e Zendaya: I’m tired

Less than zero

“Less than zero” è un romanzo, scritto da Bret Easton Ellis a soli venti anni e subito pubblicato da Simon & Schuster nel 1985. Dopo questo libro Ellis ne ha scritti molti altri di spessore diverso, alcuni veramente di pessima fattura, altri mediocri ma che l’hanno comunque fatto diventare milionario. Less than zero è rimasto il suo capolavoro per vari motivi: lo stile brillante, i dialoghi alla Hemingway, l’editing perfetto, e la storia di una generazione, detta “la Generazione Non”, tramite Clay che parla in prima persona. Ragazzo ricchissimo, Clay, dopo un anno di università in un altro stato, torna a Los Angeles per le vacanze e ricomincia le solite montagne russe fra droghe, sesso, e ogni trasgressione possibile, ma non riesce più a capire se quelli che credeva fossero i suoi amici di tutta la vita sono ormai solo un ricordo, sempre meno tollerabile.

Da less than zero a Euphoria: Bret Easton Ellis
Bret Easton Ellis

L’estate scorsa (da Less than Zero)

“L’estate scorsa. Cose che mi ricordo dell’estate scorsa. In giro per locali. The Wire, Nowhere Club, Land’s End, Edge. Un albino da Canter’s verso le tre del mattino. Un enorme teschio verde che fissa gli automobilisti da un tabellone sul Sunset, incappucciato con un calice in mano…Visto un travestito che indossava  un top di tessuto elasticizzato come in un film…I B52 sullo stereo, Gazpacho, chili da Chasen’s, hamburgers, daiquiri alla banana, gelato doppioarcobaleno…  Un ragazzo francese magro con cui Blair era andata a letto, che fumava un joint coi piedi nella Jacuzzi…”

Stupro una bambina perché posso (da Less than zero)

“Rip ci guida verso la camera da letto. C’è una ragazza nuda, molto giovane e carina, distesa sul materasso. Ha le gambe aperte, legate alle colonnine del letto. La fica è come squamata e sembra secca; capisco che l’hanno rasata. Spin le conficca la siringa nel braccio. Li guardo. Trent dice “Wow”.

“Ha dodici anni”

“Ben portati” ride Spin.

“Chi è?” domando io.

“Si chiama Shandra e va a scuola alla Corvalis”…

Esco dalla stanza. Rip mi segue.

“Perché?” è tutto quello che chiedo a Rip.

“Cosa?”

“Perché, Rip?”

“E perché no, che diavolo”

“OOh Dio, Rip, andiamo, ha 11 anni!”

“Dodici” mi corregge.

È… non penso che sia giusto”

“Che cosa non è giusto? Se vuoi qualcosa hai il diritto di prendertelo. Se vuoi fare qualcosa hai il diritto di farlo”

Mi appoggio al muro. Posso sentire i gemiti di Spin dalla camera da letto, e poi il rumore di una mano che schiaffeggia un volto…

Less than zero nuova serie
Less than zero film music site

Blair (da Less than Zero)

“Insomma, te ne torni a scuola veramente” dice lei.

“Credo di sì. Qua non c’è niente da fare.”

“Ti aspettavi di trovare qualcosa?”

“Non lo so. Sono stato qui molto tempo.”

Come se fossi sempre stato qui. Distrattamente sto dando calci alla ringhiera.  Improvvisamente Blair si toglie i Wayfarers e mi guarda.

“Clay, sei mai stato innamorato di me?”

Sulla terrazza il sole mi brucia gli occhi e in un momento di cecità mi vedo chiaramente. Mi ricordo della prima volta che facemmo l’amore, nella casa di Palm Springs, del suo corpo abbronzato e bagnato, disteso su fresche lenzuola bianche.

“Lascia stare Blair” le dico.

“Dimmelo”

Non dico niente.

È così difficile rispondere?”

La guardo fisso,

“Sì o no?”

“Perché?”

“Maledizione, Clay!” sospira.

“Ma sì, certo. Credo di sì”

“Non mentire”

“Che cazzo vuoi che ti dica?”

“Dimmelo e basta!” dice, alzando la voce

“No – quasi grido – Mai!” Quasi comincio a ridere.

“E tu sei mai stata innamorata di me? “ le chiedo di rimando, anche se al momento la cosa non mi interessa.

Lei sta un po’ in silenzio. “Ci stavo pensando. Sì, lo sono stata, una volta. Voglio dire, davvero. È andato tutto bene per un periodo. Eri gentile” Abbassa lo sguardo e continua “Ma era come se non ci fossi. …

“Non so se le altre persone con cui sono stata ci fossero veramente, ma almeno ci provavano.”

Giocherello col menu. Butto la sigaretta.

“Tu, mai. Gli altri facevano uno sforzo e tu… proprio non ci arrivavi. Non c’eri mai. Mi dispiaceva per te all’inizio, poi però è diventata dura. Sei un bel ragazzo Clay, e nient’altro.”

Da Less than zero a Euphoria: Rue e Jules psichedeliche
Da Less than Zero a Euphoria: Rue e Jules

Da Less than zero a Euphoria: EUPHORIA

Dopo 40 anni arriva Euphoria. Ovviamente anche il mezzo è diverso. Come diceva Mc Luhan, “il mezzo è il messaggio” ed ogni nuovo messaggio ci parla anche del vestito che indossa la società in quel determinato periodo. I libri, ormai, se la passano male, l’editoria è un campo minato, e di sicuro oggi Ellis, se fosse uno sconosciuto, non diventerebbe ricco. Nemmeno il cinema se la passa molto bene, mentre le “serie televisive” sono il mezzo di adesso. La maggioranza delle serie televisive sono inguardabili, ma ogni tanto ne costruiscono una che ti lascia di stucco da quanto è bella, da come ti racconta la verità senza veli e senza sforzi.

La bellezza di Euphoria

Che cos’ha, dunque, Euphoria di così diverso da tutte le tante altre serie che cercano di parlare di adolescenti trasgressivi? Euphoria è violenta, non conosce finta pietà e la sua arma più potente è una verità mai edulcorata né ingentilita da lasciare che alcune scene seguano il proprio corso e arrivino anche ad essere disgustose. Euphoria è il ninja che taglia la testa all’ipocrisia e squarcia ogni velo, affinché la verità possa apparire ben chiara e luminosa, pur essendo orribile e indigesta. E, nonostante sia una storia che parla della cosiddetta Generazione Z (questa mania di etichettare le generazioni con lettere dell’alfabeto mi fa domandare: ora che siamo alla Z che cosa ci aspetta? L’Apocalisse?), nonostante siano gli adolescenti i protagonisti e gli autori di azioni in genere molto negative, l’autore e regista, Sam Levinson, indica senza incertezze i colpevoli di questo sfacelo: la colpa è dei genitori, delle generazioni “adulte”che hanno completamente abbandonato i propri figli, senza rendersi conto di quello che accade proprio sotto ai loro occhi. Per capire quanto questo sia vero è sufficiente pensare alle reiterate critiche da parte del Parents Television Council, perché uno degli episodi contiene «quasi trenta peni [esibiti] sullo schermo». Questi contatori di peni sono proprio come l’imbecille dell’aforisma zen “quando il dito indica la luna l’imbecille guarda il dito”. Di fronte all’immagine di una generazione che ha perso completamente la via per tornare a casa semplicemente perché non riconosce nessun posto come casa, loro pensano che il pericolo sia rappresentato da qualche ragazzo nudo.

Da less than zero a Euphoria: ragazzi nudi
Euphoria: lo psicopatico Nate e ragazzi nudi

Inoltre la serie è curata come nemmeno un film di Lanthimos, dalle luci al montaggio a scene magistralmente psichedeliche, alla regia perfetta e trasgressiva a sua volta e a una trama ottima perché racconta diverse storie contemporaneamente ma armonizzandole tutte, l’una con l’altra. Al contrario di Lanthimos che dilata il tempo così tanto da farti credere di essere arrivato nei pressi di un buco nero, Levinson va alla giusta velocità: non c’è un attimo di noia né un momento privo di senso né personaggi la cui storia non sia ben comprensibile. E poi una soundtrack bellissima, che va da Labirinth a Dominic Fyke.

Da Less than zero a Euphoria: La trama di Euphoria

Anche qui seguiamo un gruppo di ragazzi che frequentano la fine dell’high school; sicuramente sono californiani ma non viene nominata nessuna città. Da alcune scene all’aperto chi conosce bene Los Angeles l’ha riconosciuta. Mentre i ragazzi di  Less than zero erano ricchissimi, e i genitori lavoravano quasi tutti nello show business, i ragazzi di Euphoria appartengono alla middle class. E anche questo ha un senso: se nei primi anni ’80, mentre Reagan faceva a pezzi il proprio paese, propagandando le mille e una notte di ricchezze che ben presto avrebbero toccato tutti, – e del resto lui era un attore, e per raccontare cazzate al popolo non c’è mai nessuno che sia meglio di un ex attore – apriva invece le porte alla prima grande crisi economica del dopo-guerra e quindi la ricchezza favolosa che vediamo in Less than zero non esiste più se non in gruppi sempre più piccoli di uomini sempre più ricchi, che letteralmente possiedono il mondo mentre il capitalismo è diventato iper-capitalismo. In Euphoria ci sono famiglie più stabili economicamente, altre più incasinate ma siamo molto lontani dalla ricchezza e dalle ville da sogno di Less than zero. Invece, come facevano i ragazzi di Ellis, anche quelli di Euphoria si drogano, anche se spesso con droghe diverse da quelle degli anni ’80 e fanno sesso continuamente, spesso in modo ancora più violento dei ragazzi degli anni ‘80. Una delle novità che cambia tutto, e che rende questi ragazzi quasi incapaci di intendere e di volere è l’uso smodato ed autistico dei social media. Se guardiamo nelle pagine social della maggior parte di questi ragazzi vediamo quasi esclusivamente selfie. Nonostante i ragazzi di Ellis fossero molto più ricchi non dedicavano al vestiario la cura folle usata soprattutto dalle ragazze di Euphoria. E la cosa più incredibile di tutto ciò è che questa enorme massa di vestiti, trucchi, bigiotteria in Euphoria vengono indossati quasi esclusivamente per apparire nei social, dove queste foto tutte uguali di ragazze bellissime ma conciate come giovani prostitute, con le labbra all’infuori e gli occhi ammiccanti fanno pensare a un gigantesco lago dove giovani Narcisi e Narcise innamorati della propria immagine, a forza di postare e guardare selfie uno dopo l’altro, perdono l’equilibrio e ci cadono dentro. Ma d’altra parte la generazione anni ’80 non era ancora l’era dell’immagine mentre nel 2020 l’Immagine è la Dea, la Musa a cui tutti devono pagare un pegno, in un modo o nell’altro.

Da Less than zero a Euphoria: Dominic Fyke
Da Less than zero a Euphoria: Elliot, interpretato dal musicista e cantante Dominic Fyke

Da Less than zero a Euphoria: Rue Bennett

Se in Less than zero il protagonista era maschio, bello, ricco, e la sua malattia era la noia, una noia sempre più profonda provocata dalla totale mancanza di desideri e di ambizioni, in Euphoria abbiamo una protagonista femmina, con una famiglia che è ben lontana dalla ricchezza: il padre non c’è, la sorella è più piccola di lei e la madre è sempre assente e stanca perché fa due lavori. Rue, interpretata da Zendaya che oltre a saper cantare e ballare ha dimostrato di essere un’attrice magistrale, dalle mille sfumature, è bella, ma al contrario delle altre ragazze della scuola si veste sempre in modo semplice, jeans e felpa, senza trucco, con meravigliosi capelli arruffati e un rapporto con se stessa e con il mondo piuttosto diverso da quello degli amici. Poi si innamora di Jules, una transgender in transizione, e questa è un’altra novità rispetto agli anni ’80, dove già accettare l’omosessualità era difficile, ma i transgender, sempre chiamati travestiti, erano considerati la feccia dell’umanità. Anche Jules ha i suoi problemi, ad esempio ha una sorta di dipendenza dal sesso. Inoltre, essendo Rue malata di depressione maniacale, e poi di dipendenza da oppioidi il rapporto con Jules diventa una sorta di detonatore: a seconda di come vanno le cose fra loro Rue passa dall’euforia all’angoscia più nera.

Euphoria: Rue piange
Euphoria: Rue Bennett

C’è una scena che forse, chi non ha provato la vera depressione non può capire. Perché la depressione, la depressione maniacale, ti porta a un vero stato di paralisi, in certi casi quasi ad uno stato vegetativo, non fosse per la sofferenza. In questa scena Rue è sdraiata sul letto e deve andare a far pipì ma è talmente paralizzata che non riesce a muoversi e resiste, resiste finché non si fa la pipì addosso. Ma il personaggio di Rue è fantastico perché è un po’ come una montagna russa: passa dalla disperazione più cupa a momenti di ilarità assoluti. Rue è molto spiritosa, e nel corso della serie la sentiremo spesso parlare in sottofondo, come se stesse pensando, o chiacchierando. Una delle scene più famose della prima stagione è Rue che fa una specie di trattato sulle “dick pic” (foto di cazzi, mandate tramite telefonino, da ora in poi le chiameremo dick pic perché suona meglio)

Il monologo sulle “dick pic”

Jules inizia a raccontare dettagli sulla sua semi-anonima relazione online con “Ragazzotimido”. Dice a Rue di aver ricevuto una foto del suo cazzo da lui. A quel punto Rue se ne esce con una convinzione: le dick pic hanno decisamente bisogno di una scala per un riferimento più preciso e appropriato. La scena poi si sposta nella classe agghindata con un vecchio proiettore di diapositive, con Rue che ci spiega l’arte delle dick pic.

“Alcune persone dicono che gli occhi sono la finestra sulla vostra anima – dice Rue sopra le slides che continuano ad andare nell’antico proiettore “Io non sono d’accordo. Io penso che sia il vostro cazzo e il modo cazzuto in cui lo fotografate.”

Rue prosegue identificando due tipi di dick pic: non richieste e richieste. Lei scava a fondo nella categoria “richieste”, che comprende circa l’1% di tutte le dick pic spedite e ricevute. Continuando, Rue precisa le tre sottocategorie del contagio che forma quel’1%: terrificante, orribile e accettabile.

La sequenza arriva ad un brusco stop, mentre Rue giudica la foto che Jules le ha dato: “La luce è bella, la sua stanza sembra pulita, lui sembra ben curato – dice lei – va bene, ok, sto iniziando a capirne il fascino!”

Euphoria seconda stagione

A mio parere la seconda serie di Euphoria è anche più bella della prima, pur essendo più estrema, più psichedelica, quasi beckettiana in certi punti e quindi iper-reale. Rue esce dalla rehab ma, come tutte le rehab americane che si rispettano, è costata tanto e non è servita a nulla. Rue finge con la famiglia di avere smesso ma non è vero. Fezco, lo spacciatore che ama Rue come fosse una sorella minore cerca ancora di aiutarla, quando può, e di presentarle gente pericolosa quando non può.

Da less than zero a Euphoria: Fezco, lo spacciatore dal cuore d'oro
Euphoria: Fezco

In questa seconda parte c’è molto più spazio per tutti gli altri personaggi: le due bellissime della scuola, Cassie e Maddie che si contendono Nate, il belloccio sempre più psicopatico;

da less than zero a Euphoria: Cassie
Euphoria: le due bellissime, Maddy e Cassie

Jules che torna insieme a Rue ma solo parzialmente, forse perché Rue è poco interessata al sesso, come tutti i tossici da oppiacei, mentre Jules lo è fin troppo. Appare un ragazzo nuovo, Elliot, sempre con la sua chitarra con sé (anche perché nella vita vera è un bravissimo cantante e musicista, Dominic Fyke) che diventa il nuovo grande amico di Rue, spesso si fa con lei ed è forse – al momento – la sola persona che la capisce veramente; Elliott ha una cotta per Rue, che però ha occhi solo per Jules, che quando scopre la tossicodipendenza mai passata di Rue va a raccontare tutto alla madre di Rue.

Euphoria: Elliot song cantata e suonata da Dominic Fyke

Si dà molto spazio anche a Kat, la ragazza grassa che viene presa in giro perfino dal preside per il suo corpo, e questo ci fa capire quanto sia diffuso in America – il Regno dell’Immagine, non dimentichiamolo – il body-shaming, ovvero il prendere in giro in modo malvagio le persone che non hanno un corpo snello e conforme alle regole. Alle regole che, messe insieme, devono a tutti i costi raccontare la favola di un impero dove la gioventù è bella e sana, gli adulti fanno quello che media e politici gli dicono di fare e lavorano, tanto, tantissimo o poco a seconda di quello che possiedono, perché il fine ultimo dell’american dream è essere molto ricchi. E se già si è ricchi allora bisogna competere per diventarlo di più. Per quanto riguarda la trama di Euphoria 2 non posso raccontare di più, per non spoilerare chi ancora non l’avesse visto.

Da qualche parte ho letto che Euphoria racconta tutti i Temi senza parlarne mai. Non sono d’accordo. In realtà Euphoria non fa altro che parlare di tutti i Temi che affliggono la Generazione Z, chiamandoli col loro nome e tutti i traumi che gli adolescenti nascondono dietro allo schermo degli smartphone. 40 anni prima, la Generazione Non soffriva e si drogava pesantemente perché quello era il suo compito, deciso dai padroni del mondo: dopo ’68 e i ribelli anni ’70 era meglio una generazione di ragazzi tossici e disperati piuttosto che una generazione di ragazzi pronti alla lotta armata.

Per quegli adulti, genitori o no, che non riescono a decifrare la generazione dei ragazzi che hanno meno di vent’anni, Euphoria gli fornirà molti indizi per decrittare quello che accade nelle menti dei propri ragazzi. Tutti quegli argomenti vissuti da tanti, decisamente da troppi, come la depressione, il suicidio, l’ossessione per il sesso, la violenza, il bullismo, il revenge porn, il body-shaming vengono trattati dagli attuali media come se fossero una lontana malattia che ti puoi prendere solo su Marte e di conseguenza non interessa nessuno (forse Jeff Bezos?). Ho domandato a due fratelli americani che vivono in Italia da tre anni cosa ne pensassero di Euphoria. Premetto che era piaciuto molto ad entrambi ma la sorella, ventenne, riconosceva tutti i temi e pur avendo l’aspetto di una ragazza serena ed equilibrata comprendeva bene la violenza e l’insensatezza di buona parte della sua generazione. Il fratello di 16 anni, invece, a occhio (ma naturalmente potrei sbagliare) sembrava meno sereno della sorella, eppure pensava che parte di quello che si vedeva in Euphoria fosse esagerato, estremo, distante dalla realtà. Ma in effetti, pur essendo giusto e importante che i ragazzi guardino Euphoria, bisogna ricordarsi che è una serie creata da adulti per adulti.

Vorrei finire con alcune citazioni prese da Rue Bennett in Euphoria e da Clay in Less than zero (il libro è in prima persona). Leggendo queste frasi, le due generazioni non sembrano affatto così distanti, al contrario

Citazioni da Rue Bennett

Da Less than zero a Euiphoria: Zendaya strepitosa
Euphoria: Rue Bennett

Tutto quello che so è che la vita non è un romanzo di Nicholas Sparks.

Ogni volta che mi sento bene, penso che durerà per sempre, ma non succede

Non c’è nulla sul pianeta Terra che sia paragonabile al fentanyl, tranne Jules.

L’altro aspetto della depressione è che il tempo passa più rapidamente. Improvvisamente giorni interi si fondono insieme per creare un ciclo sempre più soffocante

Sai che questo non finirà bene

Odiava la sua vita non perché fosse brutta, ma perché quando odi il tuo corpo e il tuo cervello è difficile godersi il resto

Citazioni da Less than zero

Non passano auto. Blair alza il volume della radio. Non vede il coyote. È grosso,scuro sul grigio e la macchina lo prende in pieno mentre sta correndo al centro della strada… Ha gli occhi sbarrati e impauriti mentre lo guardo agonizzare sotto il sole, col sangue che gli scorre dalla bocca. Blair mi chiama, la ignoro e continuo a guardare il coyote.

Ci saranno stati circa cento teen-agers a ballare davanti un enorme schermo…Alcuni di loro cantavano le canzoni mentre venivano suonate. Ma io mi concentravo su quei teenagers che non aprivano la bocca, quelli che avevano dimenticato le parole, quei teenagers che forse non le avevano mai conosciute.

Più tardi, quando risalimmo in macchina, lui svoltò giù per una strada che ero quasi sicuro fosse cieca.

“Dove andiamo?” dissi. “Non lo so – disse – in giro” “Ma questa strada non va da nessuna parte” gli dissi. “Questo non importa” “E che cosa importa?” chiesi, dopo un po’. “Soltanto che ci siamo sopra bello” disse.

Guardo le macchine passare sul Sunset.

“È veramente difficile sentirsi dispiaciuta per qualcuno che non gliene importa niente”

“Sì?” chiedo.

“Che cos’è che ti piace? Che cosa ti rende felice?”

“Niente. Niente mi rende felice. Non mi piace niente” le dico

DOING IT ALL FOR LOVE

SLEEPWALKING E I MISTERI DI LUCY ASCHERS

sleepwalking lucy
Copertina del libro di Meg Wolitzer

Sleepwalker è un bel romanzo del 1985, scritto da Meg Wolitzer, in realtà meno minimalista – a mio parere – rispetto agli altri libri americani pubblicati nel medesimo periodo da giovani autori che ottennero subito un enorme successo: Less than zero e The rules of attraction di Bret Easton Ellis, Bright lights, Big city e Ransom di Jay Mc Inerney o quelli, ancora più minimal, come The lost language of cranes di David Leavitt, solo per citare i più famosi. In Sleepwalker ci sono diversi personaggi che incontriamo nel corso di vari periodi; le tre “Lady Death” studentesse di lingua inglese all’Università, così chiamate perché ognuna è innamorata di una poetessa che ha visto nella morte la sola via d’uscita da un mondo cui non sentiva di appartenere. Le tre poetesse sono Sylvia Plath, Anne Sexton e una biblio-poetessa fictional, creata da Meg Wolitzer: suicida a soli 24 anni, Lucy Ascher. Lucy dovrebbe essere la protagonista “fantasma” del libro, ma in verità Meg ci parla molto poco di lei. Più che parlarci della breve vita di Lucy decide di parlarci del prima e del dopo; il prima sono i genitori, Helen e Ray, di cui ci racconta molto: da quando si sono conosciuti al fidanzamento, al matrimonio, alla nascita di Lucy, unica figlia, e come sono riusciti, soprattutto alla grande forza di Helen, ad andare avanti dopo la morte di Lucy. Il dopo è Claire, la Lady-Death ammaliata dagli scritti di Lucy, ormai morta da anni. Pur di stare vicino a tutto ciò che le fa pensare e comprendere meglio Lucy, Claire riesce addirittura, con un trucchetto, ad abbandonare l’Università e a farsi assumere dagli Aschers – del tutto ignari – come cameriera. Altri personaggi su cui Wolitzer si sofferma sono Julian, il ragazzo innamoratissimo di Claire, che con estrema fatica cerca di riportarla a casa e agli studi facendole abbandonare casa Aschers. Poi le altre due lady-death, Naomi e Laura, e con eguale importanza, a parer mio, l’autrice ci parla delle spiagge, dei cestini, le panchine, i paesaggi, le villette graziose ma molto simili l’un l’altra, ci racconta di quegli ambienti middle-class, ma sempre un po’ malinconici e solitari delle aree poco distanti da New York. Di Lucy, volutamente, non sappiamo quasi nulla. Iniziamo a conoscerla quando ha già 12 anni e Meg si comporta nei suoi confronti quasi come avesse firmato una clausola su qualche contratto che le impedisca di farci sapere chi era – almeno in parte – Lucy Aschers e perché fosse così attratta dalla morte fin da adolescente.

Meg Wolitzer

Lucy Upgrade

Ho deciso di fare una prova, quindi, una sorta di laboratorio davvero “eretico”. Non so se la mia idea piacerebbe a Meg Wolitzer, ma immagino che non lo leggerà mai e quindi mi sento più sollevata. L’idea è quella di riprendere in mano il diario di Lucy “Sleepwalking”, con poesie, aforismi, perfino disegni che Lucy aveva creato nel corso di tanti anni e che Lucy avrebbe voluto tenere sempre e solo per se stessa. Dopo la sua morte i genitori l’avevano ritrovato e portato per un parere all’editore che aveva già pubblicato alcune poesie di Lucy. Si erano inaspettatamente ritrovati di fronte a una pubblicazione immediata che aveva venduto un gran numero di copie e reso Lucy famosa nella galassia degli artisti dell’epoca. So bene che il mistero in cui Meg avvolge la vita e la mente di Lucy per lei è voluto: ci racconta di una bambina di dodici anni che si rifiuta di parlare e che ritroviamo a 24 anni, suicida in un fiume. Oltre a questo, solo poche parole qua e là. Avevo la necessità di conoscere molto meglio la mente di Lucy, che percepivo parzialmente simile alla mia. Ho provato quindi ad entrare nell’animo di Lucy e possederlo, laddove la mancanza di notizie su Lucy bambina o giovane donna erano come grossi buchi nel terreno che andavano riempiti per la sicurezza di tutti. In ogni caso la mia narrazione non è mai in controtendenza con la vera Lucy creata da Meg ed è un lavoro che ho fatto con cervello, fantasia e amore. Se in qualche modo Meg dovesse riuscire a leggerlo, sperò proprio che mi perdonerà!

DEDICATO A MEG WOLITZER

Il romanzo Sleepwalking è di Meg Wolitzer.

Tutte le poesie sono di Sandra Azzaroni

I versi dell’Eneide, IV libro, sono di Virgilio. Quelli in italiano sono – ahimé – tradotti dalla sottoscritta

Tutte le parti in corsivo sono scritte da autori che vengono sempre indicati

Tutte le parti scritte non in corsivo sono mie.

Sleepwalking film ma non tratto da questo libro

Sleepwalking e i misteri di Lucy Aschers – Quando Lucy perse le parole (da Sleepwalking di Meg Wolitzer)

L’estate in cui Lucy Ascher smise di parlare, l’estate in cui le parole smisero di venir fuori, lei amava il pianto e i sussurri dei bambini nella notte. Ascoltava con attenzione, così come un cantante d’opera ascolterebbe un’aria difficile: sbigottita da quegli strambi suoni della gola che non riusciva ad emettere. Attorno a lei c’era rumore – bambini che soffocavano sullo scheletro di brutti sogni, la ragazza a un muro di distanza che urlava “Cazzo! Cazzo! Cazzo!” per tutta la notte.

Lei aveva perso la sua capacità di parlare; così, semplicemente. Dieci anni più tardi uscì con un uomo, Richard, la cui madre aveva avuto un ictus e ogni volta che il telefono suonava, lei diceva:” Per favore qualcuno può rispondere al campanile?” “Telefono” si era perso da qualche parte nella zona collassata della sua mente – perso per sempre, come un guanto o una scarpa. Perso, ma inesplicabilmente rimpiazzato, e questa era la differenza fra loro. Lucy non riusciva a rimpiazzare le sue parole. “C’era una conchiglia premuta nel mio orecchio, a tempo indefinito e il suono del mare mi terrorizzava. Io avevo dodici anni e un mattino mia madre mi trovò curva nella mia stanza, in ritardo per scuola, tremante. “Lucy – mi disse, mentre si asciugava le mani su uno strofinaccio – stai male, tesoro?” Ma io non potevo risponderle, quel rumore era troppo forte. Provai ad aprire la bocca come un patetico uccello appena uscito dall’uovo – la aprivo e la chiudevo, annaspando in cerca d’aria, annaspando in cerca di parole.”

“The Somnambulist” quadro di John Everett Millais

A 12 anni Lucy finì in una clinica psichiatrica (in parte da Sleepwalking)

Il tizio che si avvicinò al suo letto aveva un’aria molto sfacciata. Questa fu la prima cosa che notò Lucy. Non aveva camici quindi non era né un medico né un infermiere. Poteva avere trentacinque anni, aveva un bell’aspetto. Lucy spalancò gli occhi cercando di capire cosa voleva quell’uomo da lei.

“Io sono Reuben Levin. Tu sei quella che non parla, giusto?” Lui rise gentilmente. “Fa pensare a quegli orribili indovinelli che ti chiedono di capire quale uomo è il bugiardo. ‘A’ dice che non è il bugiardo. ‘B’ dice che A sta mentendo eccetera. Tu devi immaginare quale è l’uomo. Quindi io immagino che tu non mi rispondi o perché semplicemente non vuoi o perché davvero sei quella che non parla. Ho sentito un po’ di infermieri parlare di te, sempre che sia davvero te.”

Nella Terapia Occupazionale I bambini infilavano maccheroncini in lacci da collo, e Lucy iniziò ad apprezzare quel ritmo, il suono di un pezzo sopra un altro. Qualcuno si lamentava sul tavolo, una bambina di nove anni che aveva cercato di impiccarsi con una corda da salto nella sua camera a casa. Adesso era seduta senza aiuto, pasta cruda e pezzi di glitter sparpagliati di fronte a lei e mai toccati. Lucy guardò in alto e vide che Levin, in piedi accanto alla porta, la stava guardando. Anche Beverly, la terapista occupazionale, lo notò. “Salve, Mr. Levin,” disse “Posso fare qualcosa per lei? Vuole un altro laccio?” “No,” disse lui, una punta di sarcasmo nella sua voce “Ho ancora miglia* da fare. Sono venuto per chiacchierare con Lucy Ascher, se è possibile.” Beverly guardò dubbiosa, ma alla fine acconsentì che l’uomo potesse entrare per un pochino.

ancora miglia* da una famosa poesia di Robert FrostE molte miglia” dove dice “ma ho promesse da mantenere

e miglia da percorrere, prima di dormire,

e miglia da percorrere, prima di dormire.

The Sleepwalkers, film del 2016

Levin raccontò a Lucy che era un matematico, e risolvere enigmi matematici per lui era la vita stessa. Anche per Lucy  era così con le poesie e la scrittura in genere. Avrebbe voluto dirglielo ma le parole non le uscivano. Però riuscì a sorridere, con gli occhi sempre spalancati, e quando Levin vide che la bambina sorrideva scoppiò a ridere anche lui. Risero insieme, di cuore, senza un motivo al mondo, per alcuni minuti. Lucy pensò che avrebbe voluto prenderlo per mano e andare via con lui.

“Addio, ragazza senza parole – disse alla fine Levin – domani torno a trovarti.”

Lucy si sentì avvampare e pensò: “Saro’ mica innamorata? No, l’amore no. L’amore ti incastra, ti spalanca le porte dell’inferno. L’amore è peggio di una lama affilata nel fegato. E poi lui è un adulto, non mi lascerebbero mai andare via con lui.

Bisogna resistere alla vita. Bisogna resistere all’amore, ribadì a se stessa Lucy, ovviamente dentro di sé ma più e più volte.

Allora tirò fuori il suo diario dove, quando lo trovarono dopo morta, perfino Helen e Ray scoprirono qualcosa di difficilmente immaginabile: Lucy amava scrivere poesie e sonetti in italiano, lingua che parlava benissimo. La madre di Helen, italiana, era tornata in Italia quando il marito americano era morto, e da allora non si era più allontanata volentieri dall’Italia, ma tutti gli anni, d’estate, Lucy la raggiungeva per uno o due mesi, e invece di nuotare e prender sole, studiava la lingua italiana e i tanti modi di fare poesie in italiano. Quello che soprattutto l’incantava erano i sonetti italiani, così diversi dai sonetti inglesi e molto più complessi. Come uccellini nati in gabbie fatte di metrica e rime, li osservava con ansia in attesa di sentire i primi cinguettii.

Tutto il suo diario era scritto in parte in inglese in parte in italiano. In quel momento, soffocando per il dolore di un probabile amore sicuramente impossibile, prese la penna e scrisse il sonetto che un giorno avrebbe dato il titolo al suo libro, nonostante non fosse intenzionata a farlo mai leggere a nessuno.

Sleepwalking (sonetto italiano, abba, abba, cde, edc)

La notte ingoia tetti e sassi scuri

Onde di vento strozzano la terra

Dentro al silenzio il suono non ti afferra

Fulmini, tuoni, eco di tamburi

C’era una volta un letto fra due muri

Dove sognavo mostri sottoterra

Lingue in cantina e fuoco nella serra

Ragazzi color ambra e sessi duri

Ma il mio fantasma piange insieme al lupo

La luna è morta il cielo è ormai ghiacciato

Ora cammino sempre ad occhi chiusi

E i miei pensieri non son più confusi

Vivo nel sogno che mi ha attraversato

E che mi spinge in fondo a quel dirupo

Le parole escono

Levin sedette su uno degli alti, esili sgabelli. Levin indossava un costume da bagno marrone e Lucy notò quanto lunghe e slanciate fossero le sue gambe. “Non mi sono mai realmente presentato a te – disse lui – o almeno non in modo formale. Ti ho solo detto il mio nome, niente di più. Se fossimo in carcere, ti direi perché mi hanno arrestato, come ho visto fare in un famoso film sulla prigione. Ma qui non è poi così diverso, giusto? Voglio dire, tutti noi siamo qui per qualcosa. Comunque ti dirò che non sto pagando per questo. Si è scoperto che c’era tutto questo denaro da parte nell’università dove insegno – un fondo per aiutare i docenti della facoltà a pagare un’ospedalizzazione. L’ultima persona che ha usato quel denaro è stato tre anni fa. Cancro al colon. Lui ne ha usato solo il necessario per cinque settimane, e puoi praticamente immaginare il resto. Perciò io sto scontando la pena perché sono un disastro, perché chi tiene i conti ha puntato su di me – fece una pausa – immagino che suoni un po’ folle. Tu sei abbastanza giovane per capire di cosa sto parlando – quelle figure in cartone che tengono le mani alzate, e tu impari come sottrarre staccando le loro dita alle giunture, e poi impari come addizionare rimettendole al loro posto. Sono sicuro che le hai viste. Come un gioco accademico c’è un “omino dei conti” nel dipartimento di matematica della facoltà. La gente gli mette buffi cappelli o lo veste come una donna e gli mette un lampadario in testa e ci balla insieme al grande party di Natale e tutti ridono.”

Dead Asleep documentario by Hulu

Nel mio mondo muto anche i sogni erano senza voce – scrisse Lucy nel suo diario – popolati da personaggi che correvano intorno in silenzio e frenetici come i Keystone Kops. Un’infermiera mi ha acceso una luce negli occhi la scorsa notte, sbalzandomi via da uno di quei sogni. “Avevi i brividi” mi ha spiegato, tirandomi su la coperta fino alle spalle.”

Levin le aveva raccontato di questa nuova famiglia del Connecticut con un figlio. “Abbiamo una vita piuttosto buona” disse lui. “O almeno l’avevamo fino a poco fa. Jason ama il kindergarten, e Judith sembra piuttosto felice il più delle volte. Quella notte quando chiamò il mio amico Lew del dipartimento di matematica per farlo venire a parlare con me, penso che lei sapesse cosa stavo passando e che fosse davvero spaventata. Lei e Lew vennero nel mio studio, dove avevo agonizzato per dodici ore sui numeri, e Lew mi disse cosa stavo facendo a me stesso e che mi avrebbe aiutato. Disse che avrebbe coperto la mia lezione delle 9 in punto: al momento stavo insegnando gli “autovalori”, giusto?” Levin cercava di apparire superiore o comunque meno disturbato, e le sue parole vennero fuori più velocemente. “Judith mi chiese se mi serviva qualcosa per dormire, ed io dissi di sì, e lei mi diede qualcosa e poi tirò fuori il materasso dal divano-letto nello studio, perché non voleva che quella notte lasciassi la stanza. Questa è la parte orribile: tutto a un tratto Jason fece capolino attraverso la ringhiera delle scale; immagino che le voci l’abbiano svegliato, e Judith lo chiamò con voce davvero controllata: ‘Torna a letto, tesoro. Verrò subito a cantarti la nostra canzone sui mulini a vento.’ Allora mi resi conto che io non conoscevo quella canzone, e che ero stato un padre e marito negligente, e che mia moglie e mio figlio avevano un cameratismo che mi era ignoto. Fu come un’epifania o qualcosa di simile. Dopo questo monologo Levin si accasciò sul divano, con la testa china. Attraverso il vuoto del suo rumore continuo Lucy all’improvviso provò ciò che, in seguito, avrebbe considerato solo compassione. Lei non stava più ascoltando il distante e astratto piagnucolìo dei bambini; questo era un appello diretto. La sua empatia era a un tempo più forte e più impegnativa del dolore nella sua testa, e lei avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa. La sua lingua bloccò le parole, all’inizio, stoppandole nella gola. Lei provò di nuovo, aprendo la bocca lentamente, come se si potesse appiccicare. “Le cose andranno meglio,” disse, e le parole vennero fuori in modo disomogeneo, rauche, grattando l’una contro l’altra come gli ingranaggi in una bici arrugginita. Levin alzò la testa, sorpreso ma non del tutto sbigottito. “Tu hai davvero parlato, giusto?” le chiese. Sì, rispose lei, sì, sì, mentre la sua voce si schiariva e si rifiniva con ogni nuova parola.

“Immagino che sarebbe accaduto prima o poi” disse lui, e tirò le sue lunghe braccia e gambe accanto al suo corpo, e raccolse le sue lunghe braccia e gambe attaccate al suo corpo, ripiegandosi come una sedia “bridge”.

Il matematico incontrato da Lucy nel reparto di Psichiatria divenne il suo argomento principale. In fondo le aveva fatto ritrovare le parole come se avesse risolto uno dei suoi enigmi matematici con cui restava sveglio la notte. Lucy parlò non poco, in Sleepwalking, del matematico che incontrò nel reparto psichiatrico quando aveva 12 anni: “Quando lui ebbe il suo esaurimento nervoso, stava in piedi tutta la notte, lavorando su enigmi matematici. Non riusciva a lasciare la sua scrivania, lui doveva solo restare finché non li avesse risolti. Questa scena mi coinvolse e la trovai toccante. Era come se fossimo collegati, in qualche modo; voglio dire, io ho lo stesso genere di concentrazione che mi permette di stare seduta a studiare per un periodo di tempo veramente molto, molto lungo.

”Grazie – disse qualcuno in seguito – “per riprodurre (spawning) Lucy Ascher. Quando Lucy era ormai famosa e morta. Spawning, non era quella la parola di solito associata con pesce – del tipo: mamme pesce depositano centinaia di piccole creature traslucide, solo per mangiarne una parte dopo la nascita? In un momento di filosofia da quattro soldi Helen pensò che forse, tutti noi mangiamo i nostri figli. La gioia di ritrovare le proprie fattezze nel viso o in qualche parte del corpo del bambino. Il tuo naso. La mia bocca. Il bambino nasce con un set di vestiti usati…

Sleepwalking e i misteri di Lucy Aschers: Lucy ha ormai 17 anni e alcune riviste le pubblicano le prime poesie

Una delle prime poesie che le pubblicarono e fece un notevole scalpore, tanto da farle ottenere un’intervista in un canale TV dal target molto giovane, si chiamava “Di luce e gravità” che poi Lucy, per rendere il suo lavoro sempre più complicato, tradusse in italiano sul suo diario ancora segreto. Sulla frase “La luce è maschio perché ama stuprare” ci furono discussioni accese a cui Lucy non partecipò mai.

“Di luce e gravità” (versione in italiano)

“La luce è maschio, la luce è Imperatore

Di un Regno antico in via di distruzione   /di un Regno antico senza più un baluardo

La luce è bianca la luce è ogni colore

Confonde occhi, cervelli e inganna il cuore  /confonde il cielo e inganna ogni tuo sguardo

La luce è maschio perché ama stuprare

Penetra la materia con violenza

Cerca la gloria ed inni sull’altare

Mentre i suoi raggi vanno in dissolvenza

La gravità è femmina e perversa

E mentre cadi incontro alla sua voce

Attrae ogni corpo con la sua potenza

Ti mangia vivo e intanto ti seduce

Non c’è un ricordo che non sia di guerra

Femmina o maschio, luce o gravità

Chi stringe il nodo al collo della Terra?

Io sono sola nell’Oscurità”

Poi si iscrisse alla Barnard dove non rimase a lungo. Forse tre semestri, o meno, perché la didattica le sembrava “limitata”. Nell’anno che rimase lì accaddero comunque tre cose degne di esser citate: Lucy seguitò a studiare latino, che aveva già imparato in parte dalla nonna italiana, e nonostante il suo terrore per l’innamoramento, si mise con un ragazzo.

Riguardo all’Eneide ovviamente Lucy divorò il quarto canto, dove Didone disperata si uccide.

“(Aeneis, IV, v. 659-660)”

Dixit et os impressa toro “Moriemor inultae, sed moriamur – ait – sic sic iuvat ire sub umbras”

“Disse, e premendo le labbra sul letto: “Moriremo invendicate, ma moriamo – esclamò – così desidero discendere tra le ombre”

(IV, v. 700 – 705)

“Poi attraverso il cielo l’arcobaleno incontra piume rugiadose

Traendo mille colori vari dal sole

Discese e sulla sua testa si fermò

“Il mio comando è che questo reco sacro a Dite. Da questo tuo corpo io ti sciolgo.”

Disse così e con la destra staccò il capello; ed ecco che tutto il calore svanì, e la vita dileguò nei venti.”

La terza cosa è che finì all’ospedale con le vene dei polsi tagliate e la ripresero per  miracolo. Qual era il motivo, ammesso che ce ne fosse uno? Il ragazzo di cui si era innamorata e che l’aveva lasciata? Oppure il ragazzo che la amava, ma lei, per paura dei legami d’amore, aveva maltrattato e abbandonato? La madre corse per prima all’ospedale, dove la figlia di 18 anni piangeva rannicchiata nel letto e Helen non aveva idea, proprio non aveva idea di cosa fare o dire, tanto che dopo pochi minuti con una scusa si allontanò da lì, sentendosi malissimo, la madre peggiore del mondo. Eppure, continuando a sentirsi la madre peggiore del mondo, come era uscita dall’ospedale si era sentita meglio. Ma d’altra parte Helen, pur essendo una brava donna, di mente aperta, non aveva mai capito nulla della figlia, e la figlia, che fra le varie patologie aveva anche una sorta di autismo, io credo, non aveva mai avuto nessun interesse nel comprendere la madre.

Sleepwalking e i misteri di Lucy Aschers

Tornata dall’ospedale, Lucy scrisse una poesia sul ragazzo con cui era stata. Comunque fossero andate le cose, erano state abbastanza dolorose da trasformarle in poesia. Tutto il dolore che Lucy provava, fin da bambina, veniva sublimato in poesia, e questa era una cosa meravigliosa, ma più dal punto di vista dell’arte e poi anche di una certa fama, dei premi vinti, di qualche dollaro che guadagnava. Perché il dolore, poesia o non poesia, restava tutto lì, come un grosso blocco di marmo legato alle gambe che non ti permette il minimo movimento e ti fa soffrire sempre di più.

L’AMORE TI FINISCE (in italiano, per il suo diario privato: Lucy non avrebbe mai permesso che qualcuno pubblicasse questa poesia)

Perché l’amore ti strazia e ti finisce

Nel prato verde il tuo sangue svanisce

Come un papavero che al sole marcisce

Come lo riconosci un vero amore?

Può presentarsi in mille e cento modi

Ma ha frecce ed arco e spara sempre al cuore

Il mio ragazzo aveva la dolcezza di pesca, prugna e mandarino

Suonava il piano come un grande artista

Quando mi vide fece un sorriso da bambino

Io ero un’adolescente, il sesso sconosciuto

E un gioco immaginario l’innamoramento

Ma rapida come il vento imparai in un momento

A baciare, leccare e succhiare il suo velluto

All’Università iniziai a pubblicare

“Ma tu sei Lucy, quella delle poesie”

“O no, non le assomiglio affatto

È solo un caso di omonimia”

In tutta la mia storia che ha a che fare con l’amore

Così come la storia che ho avuto con la vita

Pochi attimi di gioia

E poi solo tristezza infinita

A volte torno indietro a quando non parlavo

E penso al matematico, che con lo stesso metodo

Che usava per gli enigmi risolse il mio e mi fece

Il dono del linguaggio

Ora vorrei stare con lui, sdraiati in fondo al mare

Abbracciati per sempre, lontani dai dolori, spezzati e rotolati dalle onde del villaggio.

Morte di Lucy

La Morte di Lucy (italiano, ultima pagina del diario Sleepwalking)

So già come sarà. So esattamente come sarà. Il ponte, silenzioso, scrostato, piccole onde d’acqua dolce e sporca che vanno avanti e poi tornano indietro, una vecchia costruzione di sassi per lo più bagnata, e una decina di metri più in giù l’acqua sarà mossa, scura, fredda, profonda. Prima di salire sul ponte mi riempirò le tasche del giubbotto di sassi: là intorno ce ne sono diversi, grossi, bianchi, grigi, tondi, pesanti. Certo, se avessi un’arma sarebbe la soluzione migliore, ma la morte nell’acqua credo abbia il suo perché. Virginia, il momento del salto, del tuffo, quell’ultimo respiro…

Queste le ultime parole di Lucy, senza un saluto ne una spiegazione. Io la immagino col suo solito giubbotto, i capelli sciolti e lunghi, raccogliere diligentemente i sassi e riempirsi le tasche e poi sedersi sulla ringhiera. Un ultimo respiro e magari quella frase dell’Eneide:

da questo tuo corpo io ti sciolgo”

Il romanzo Sleepwalking è di Meg Wolitzer.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque di Kurt Vonnegut

Dal film Mattatoio numero cinque di George Roy Hill

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque è il romanzo capolavoro del grande Kurt Vonnegut. Parlando ancora di autori che sono in grado di raccontarci la guerra, di farcela sentire e capire, Slaughterhouse five, che parla della seconda guerra mondiale è molto diverso e molto più famoso del pur meraviglioso racconto sul Viet-Nam di Tim O’Brien, racconto di cui ho scritto nel mio ultimo articolo. La prima categoria di persone che, forse, dovrebbe leggere questo incredibile libro o anche rileggere, è formata dai tanti che ormai credono fermamente, in questo manicomio di mondo occidentale, che “la guerra è pace”, e quindi, più armi vengono inviate, ad esempio, agli ucraini, e meglio sarà per la pace attuale, loro e nostra. O ancora, più soldi regaleremo alla Nato e alle lobbies delle armi da guerra, più in pace e in salute saremo. In uno dei peggiori momenti, sia economici che sociali vissuti dal nostro paese, dopo più di due anni di pandemia che ha fatto arricchire pochi e distrutto tanti, invece di migliorare scuola, salute pubblica, welfare, aiutare tutti quelli che non appartengono alle classi privilegiate, il nostro Parlamento regala 14 miliardi alla Nato. Come ha detto Marco Travaglio: “Ai poveri che hanno fame gli darete un mitra, così se lo mangiano.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque. Foto di Kurt Vonnegut in un suo libro
Kurt Vonnegut

La maestria di Kurt Vonnegut

Dovrebbero leggerlo o rileggerlo anche tutti quelli che qui in Italia si considerano scrittori, giornalisti, che spesso non conoscono nemmeno la grammatica, categoria, quelli di scrittori, giornalisti e tanti altri che lavorano nell’editoria (editor, traduttori ecc.) che ormai appartiene ad una nicchia di potere, ormai in pianta stabile, per la serie “Hic manebimus optime”. Non c’è spazio per gli altri, per chi non appartiene alla nicchia. Se questo piccolo mondo antico e privilegiato almeno desiderasse provare a capire cosa significa scrivere, allora dovrebbero proprio leggere Kurt Vonnegut. Nello stile, nella narrazione, nelle finalità, nell’originalità e nella creazione di personaggi Vonnegut scrive come una divinità. La sua prosa è fluida e piena d’energia come un torrente di alta montagna, la sua grande capacità è quella di unire l’ironia al tragico senza mai sembrare sgradevole o volgare, il suo sound è come un electric jazz, tutti i suoi personaggi spiccano e prendono il volo, ed i protagonisti escono dalle pagine e te li ritrovi lì davanti, come fossero veri e vivi. Prendete Billy Pilgrim, da Mattatoio numero cinque: ha molto sia del principe Miškin di Dostoevskij che del clown di Boll eppure è unico, è solo ed esclusivamente Billy Pilgrim, un tipo di soldato gracile, mite, non particolarmente sveglio, buono, fuori di testa, il genere di soldato che in guerra dovrebbe morire dopo due giorni, ma invece sopravvive, grazie all’immaginazione, alla fantasia e a quei viaggi nel tempo oltre ai viaggi interstellari nel lontanissimo pianeta di Tralfamadore, che potrebbero essere veri oppure frutto della sua testa matta: Vonnegut non dice nulla su questo, lascia decidere il lettore.

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: Trafalmadore
Da Mattatoio numero cinque: il pianeta di Tralfamadore

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: So it goes

Fra i tanti brani che vorrei e mi piacerebbe scegliere, da Mattatoio numero cinque, inizierò con una scena post guerra, dove Billy è rinchiuso in un ospedale psichiatrico:

“L’uomo nel letto vicino a quello di Billy era un ex capitano di fanteria che si chiamava Eliot Rosewater. Rosewater era ammalato e stanco di esser sempre sbronzo. Fu Rosewater a far conoscere a Billy la fantascienza, e in particolare i libri di Kilgore Trout. Rosewater aveva sotto il letto una fantastica raccolta di paperback di fantascienza. Se li era portati in ospedale in un baule. Quei libri tanto amati e cincischiati mandavano un odore che permeava la corsia – un odore come di pigiami di flanella che non fossero stati cambiati da un mese, o di stufato irlandese. Kilgore Trout divenne l’autore vivente preferito di Billy, e la fantascienza diventò l’unico genere di storie che potesse leggere.

Rosewater era il doppio sveglio di Billy, ma lui e Billy avevano crisi simili. Entrambi avevano trovato la vita insensata, in parte a causa di quel che avevano visto durante la guerra. Rosewater, per esempio, aveva ucciso un pompiere di quattordici anni, che aveva preso per un soldato tedesco. So it goes. E Billy aveva assistito al più grande massacro della storia europea, il bombardamento di Dresda. So it goes. Ora stavano cercando di ritrovare il proprio io e il proprio universo. La fantascienza in questo senso era un grosso aiuto. Rosewater un giorno disse a Billy una cosa interessante a proposito di un libro che non era di fantascienza. Disse che tutto quello che c’era da sapere della vita lo si poteva trovare nei Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij. «Ma quello ormai non basta più» disse Rosewater. Un’altra volta Billy sentì Rosewater dire allo psichiatra: «Credo che voialtri dovrete scovare un sacco di nuove meravigliose bugie, per far sì che alla gente non passi la voglia di vivere».”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: Dresda dopo il bombardamento del '45
Dresda dopo il bombardamento americano

L’infamia del bombardamento di Dresda

Del resto anche Vonnegut era quel genere di persona mite, piena di talento e priva di rabbia, dall’humor sottile ma costante, una caustica e satirica “macchina da guerra”, un ritmo pieno di idee brillanti, stravaganti, che eppure ci calzano, stranamente, come un guanto. Il suo libro è diventato un cult fra i libri anti-guerra prima di tutto, io credo, perché non è un’invettiva. Così come Ismahel ci racconta la guerra che Achab scatena contro Moby Dick, guerra in cui solo Ismahel potrà sopravvivere per raccontarla, senza aggiungere giudizi, anche Vonnegut – che nel ’45 era prigioniero di guerra dei tedeschi – è uno dei pochissimi sopravvissuti al terribile e infame bombardamento di Dresda fatto dagli americani, che rase completamente al suolo una città bella da togliere il fiato, dove morirono ben 135.000 persone quasi tutte civili (più o meno il doppio dei morti di Hiroshima, senza contare, certo, tutti i giapponesi morti orribilmente nei mesi successivi per le varie conseguenze delle radiazioni.) L’infamia americana qui sta anche nel fatto che Dresda era “città aperta” e, in conseguenza di questo status, non avrebbe mai dovuto essere sfiorata nemmeno da una mitragliata. Non c’era nulla di militarmente interessante da distruggere a Dresda, ma gli americani dimostrarono, ancora una volta, che a dispetto di ogni propaganda la guerra non sarà mai pace.

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: Frauenkirche distrutta nel bombardamento di Dresda
Dresda dopo il bombardamento: la Frauenkirche distrutta

La crociata dei bambini

Nel prossimo brano di Mattatoio numero cinque Billy è di nuovo in un ospedale, ma stavolta è un lurido campo di prigionia tedesco, dove viene aiutato dalle cure di un colonnello inglese:

“Il comandante degli inglesi venne all’ospedale a visitare Billy. Era un colonnello di fanteria fatto prigioniero a Dunkerque. Era stato lui che aveva dato la morfina a Billy. Nel campo non c’era un vero dottore, e così le faccende di medicina toccavano a lui. «Come sta il malato?» domandò a Derby. «Morto per il mondo.»

«Ma non morto davvero.» «No.» «Che bello non sentir nulla, ed essere considerato ancora vivo.» Derby a questo punto si mise tetramente sull’attenti. «No, no… per favore… resti lì. Con due uomini appena per ogni ufficiale, e tutti quanti malati, mi sembra che possiamo fare a meno delle solite formalità tra ufficiali e soldati.» Derby restò in piedi. «Lei sembra più vecchio degli altri» disse il colonnello. Derby gli disse che aveva quarantacinque anni: due anni più del colonnello. Il colonnello disse che gli altri americani si erano tutti rasati, che Billy e lui erano gli unici due ancora con la barba. «Sa,» disse «noi, qui, la guerra abbiamo dovuto immaginarcela, e io immaginavo che a farla fossero uomini abbastanza anziani come noi. Avevamo dimenticato che a fare le guerre sono i ragazzini. Quando ho visto quelle facce appena rase, è stato uno shock. “Dio mio, Dio mio,” mi sono detto «questa è la crociata dei bambini.”» Il colonnello domandò a Derby com’era stato fatto prigioniero, e Derby gli raccontò che era finito in mezzo a un gruppo d’alberi insieme a un centinaio di altri soldati spaventati. La battaglia durava da cinque giorni. I cento uomini erano stati spinti verso gli alberi dai carri armati. Derby descrisse l’incredibile atmosfera artificiale che i terrestri creano a volte intorno ad altri terrestri quando non vogliono che quei terrestri abitino più la Terra. Le bombe scoppiavano in cima agli alberi con un frastuono terribile, disse, facendo cader giù coltelli, aghi e lame di rasoio. Dei mucchietti di piombo rivestiti di rame si incrociavano tra gli alberi sotto gli scoppi delle bombe, sibilando via molto più veloci del suono. Un sacco di gente era stata ferita o uccisa. So it goes. Poi il bombardamento cessò, e un tedesco nascosto, con un altoparlante, disse agli americani di metter giù le armi e di venir fuori dagli alberi con le mani sopra la testa, se no avrebbero ricominciato a bombardarli e non avrebbero smesso finché non fossero stati tutti morti. Così gli americani misero giù le armi, e uscirono dagli alberi con le mani sopra la testa, perché volevano seguitare a vivere, se possibile.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: la passione dell’America per la guerra

 La guerra non ha morale, si sa, ma fin dagli inizi, quando l’America era ancora una colonia inglese, bisogna proprio dire che gli americani e la guerra andarono sempre in perfetto accordo, come fratelli gemelli, come pezzi di un puzzle che si incastrino perfettamente fra loro: videro quelle terre meravigliose e per prendersele tutte fecero un genocidio, quello dei nativi americani, genocidio che, per qualche strano motivo non li consegnò alla storia come mostri e nemmeno come “persone non esattamente perbene”. Perfino nella seconda guerra mondiale, dove il diavolo era evidentemente il nazismo, gli americani, entrati tardi in una guerra che non li interessava troppo, la utilizzarono per fortificare a livelli mai visti il proprio esercito e, una volta risultati vincitori, si presero più della metà del mondo. Non si preoccuparono mai di far spargere troppo sangue ai propri soldati, sangue che continuarono a spargere insensatamente anche in seguito, in tutte le assurde guerre intraprese, fra cui quella contro il Viet-Nam del nord, durata ben più della guerra di Troia. Però usarono “la vita dei propri soldati da salvare” come scusa ufficiale quando testarono l’atomica sui civili giapponesi.

Guerra e letteratura. Bambina sfigurata dall'atomica su Hiroshima
Bambina sfigurata ad Hiroshima

La dichiarazione del Presidente americano Truman dopo aver lanciato l’atomica su Hiroshima

Basta leggersi la dichiarazione da brividi che fece Truman al suo popolo dopo aver sganciato la prima atomica, quella su Hiroshima (bomba a cui avevano dato un nome, e per di più un nome da cartoon “Little boy”, Ragazzino, un po’ come Mickey Mouse o Donald Duck) per capire quanto andassero fieri di quello che avevano fatto:

“Sedici ore fa un aereo americano ha sganciato una bomba su Hiroshima, un’importante base militare giapponese. Quella bomba era più potente di ventimila tonnellate di trinitrotoluene. Aveva una potenza duemila volte superiore a quella del «Grand Slam» inglese, la più grande bomba mai usata nella storia militare. I giapponesi hanno cominciato la guerra con un bombardamento dal cielo, a Pearl Harbor; ora sono stati abbondantemente ripagati. E non è ancora tutto. Con questa bomba abbiamo creato un’arma nuova e rivoluzionaria, da aggiungere alla potenza crescente delle nostre forze armate. Ora queste bombe, nella loro versione attuale, sono in corso di produzione, e se ne stanno creando versioni ancor più potenti. È una bomba atomica. È un congegno in cui sono imbrigliate le forze fondamentali dell’universo. Le energie da cui il sole deriva il proprio potere sono state scagliate contro coloro che hanno scatenato la guerra…”

L'atomica su Hiroshima, 6 agoisto 1945
6 agosto 1945, la prima atomica sganciata dall’America su Hiroshima

Sono diventato il Tempo, colui che distrugge i mondi

A me la dichiarazione di Truman fa venire in mente una canzone di fine anni ’90, di un gruppo di nome Fluke, che dice: “Baby’s got an atom bomb, a motherfuckin’ atom bomb, twentytwo megatons, you’ve never seen so much fun” Tradotto: La ragazza ha una bomba atomica, una cazzo di bomba atomica, ventidue mega tonnellate, non ti sarai mai divertito così tanto. Invece a Oppenheimer, che l’aveva creata, l’atomica in azione fece venire in mente una citazione dalla Bhagavad-Gita: “Sono diventato il tempo, colui che distrugge i mondi” (anche se Oppenheimer utilizzò una traduzione sbagliata, e del tutto in contrasto con le nozioni basilari dell’induismo, dicendo -sono diventato Morte- invece che -sono diventato il Tempo. Ma, insomma, bisogna comunque apprezzare la buona volontà: dopo tutto Oppenheimer era un fisico, non uno studioso di sanscrito e indologia)

Billy e gli altri prigionieri escono dal rifugio

Ma tornando a Vonnegut, nella realtà lui e pochi altri soldati americani prigionieri a Dresda sopravvissero perché si trovavano all’interno della parte più sotterranea del mattatoio, il reparto 5, uno dei pochi angoli della città non toccati dal terribile incendio:

“«Dresda venne distrutta la notte del 13 febbraio 1945» cominciò Billy Pilgrim. «Noi uscimmo dal nostro rifugio il giorno dopo.» Raccontò a Montana delle quattro guardie che, nel loro stupore e nel loro dolore, somigliavano a un quartetto di dilettanti. Le parlò del macello con tutti i pali di cinta spariti, con i tetti e le finestre andati; le disse di quelle cose che parevano piccoli ceppi, e che erano persone rimaste prigioniere dell’incendio. So it goes. Billy le disse che cos’era accaduto agli edifici che prima formavano come delle scogliere intorno al macello. Erano crollati. Il legno si era consumato, le pietre erano cadute e si erano ammucchiate una contro l’altra fino a formare delle basse dune graziose.

«Era come sulla luna» disse Billy Pilgrim. Le guardie dissero agli americani di mettersi in file di quattro, ed essi ubbidirono. Li fecero marciare di nuovo verso il recinto per i maiali in cui avevano vissuto finora. I muri erano ancora in piedi, ma le finestre e il tetto erano andati giù e dentro non c’era altro che cenere, pezzetti informi di cibo e frammenti di vetro. A quel punto ci si rese conto che non c’era più né cibo né acqua, e che i sopravvissuti, se volevano continuare a sopravvivere, dovevano mettersi a camminare sulla superficie lunare, scavalcando una duna dopo l’altra. Il che fecero. Le dune erano lisce solo a distanza. Quelli che vi si arrampicarono sopra impararono che erano delle cose frastagliate e infide, calde al tocco, spesso instabili, pronte, quando venivano smosse certe rocce grosse, a rotolare ancor più giù e a formare dune più basse e più solide. Mentre la spedizione attraversava la luna nessuno parlò molto. Non c’era nulla da dire. Una cosa era chiara: nella città dovevano esser proprio morti tutti, e se c’era ancora qualche anima viva, rappresentava un’incrinatura in questa immagine. Non c’erano altri lunari. Dei caccia americani calarono sotto il fumo per vedere se qualcosa ancora si muoveva. Videro Billy e gli altri; li spruzzarono di proiettili di mitragliatrice, ma li mancarono. Poi videro dell’altra gente che si muoveva lungo la riva del fiume e spararono anche a loro. Ne colpirono alcuni. So it goes.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: la guerra contro i nazisti finisce

Una delle parti più commoventi di un libro che non è nato né per propagandare qualcosa, né per far commuovere o per far incazzare è la scena in cui Billy, appena finita la guerra ma ancora a Dresda, mentre si gode finalmente un momento di serenità, disteso al sole, si accorge della sofferenza dei cavalli che trainano il carro su cui stanno lui e gli altri americani e scoppia a piangere a dirotto, come Nietzsche a Torino che piange abbracciando il cavallo frustato dal vetturino:

“Ma i russi non erano ancora arrivati, neppure ora, due giorni dopo che la guerra era finita …

Quando giunsero al mattatoio Billy restò sul carro, a prendere il sole. Gli altri andarono in cerca di souvenir. In seguito, i tralfamadoriani avrebbero consigliato a Billy di concentrarsi sui momenti felici della vita, e di ignorare quelli tristi, di fissare lo sguardo solo sulle cose belle mentre l’eternità si fermava. Se gli fosse stato possibile realizzare questo tipo di selettività, Billy avrebbe scelto forse quel momento in cui se ne stava a sonnecchiare al sole nel retro del carro …

Il suo sonnecchiare si fece più leggero quando udì un uomo e una donna che parlavano in tedesco, in un tono di commiserazione. Stavano dolendosi liricamente con qualcuno. A Billy, prima che aprisse gli occhi, parve che quello avrebbe potuto essere il tono usato dagli amici di Gesù mentre ne tiravano giù il corpo devastato dalla croce. So it goes. Billy aprì gli occhi. Un uomo di mezza età e sua moglie stavano parlando sommessamente ai cavalli. Avevano notato quel che era sfuggito agli americani: che le bocche dei cavalli, ferite dai morsi, sanguinavano, che gli zoccoli erano rotti, cosicché ogni passo doveva essere un tormento, e che i cavalli erano mezzi morti di sete. Gli americani avevano trattato il loro mezzo di locomozione come se non fosse più sensibile di una Chevrolet a sei cilindri.

I due si mossero lungo il lato del carro, verso Billy, che guardarono con un’aria di condiscendente rimprovero; verso Billy Pilgrim, che era così lungo e fiacco, così ridicolo nella sua toga azzurra e colle sue scarpe argentate. Non avevano paura di lui. Non avevano paura di nulla. Erano medici: ostetrici tutti e due …

Tentarono di parlare a Billy Pilgrim in polacco, dato che era vestito in modo così tanto clownesco e che i poveri polacchi erano gli involontari buffoni della seconda guerra mondiale. Billy chiese loro in inglese cosa volessero, e loro lo rimproverarono subito, in inglese, a proposito dei cavalli. Fecero uscire Billy dal carro e gli fecero dare un’occhiata agli animali. Quando Billy vide in che stato erano i loro mezzi di locomozione, scoppiò in lacrime. Non aveva mai pianto per nient’altro, durante la guerra. In seguito, quand’era ormai un ottico di mezza età, a volte avrebbe pianto, quietamente e per conto suo, ma mai più così rumorosamente. Ecco perché l’epigrafe di questo libro è una quartina tratta da una famosa canzoncina natalizia. Billy piangeva molto poco, anche se gli capitò spesso di vedere cose per cui valeva la pena di piangere, e sotto questo aspetto, per lo meno, somigliava al Cristo della canzoncina:

The cattle are lowing, The Baby awakes. But the little Lord Jesus No crying He makes.”

Guerra e letteratura. Mattatoio numero cinque: ritratto di Kurt Vonnegut
Ritratto di Kurt Vonnegut

So it goes. Così va la vita

Non ho molte speranze riguardo alla specie umana, e dubito che possa cambiare idea chi pensa una cosa così evidentemente priva di senso come l’idea che spendere miliardi in armamenti possa essere funzionale alla pace. So it goes. Così va la vita. Ma se almeno una, o due persone, grazie a questo articolo leggeranno questo libro e lo ameranno, sarà qualcosa. Così va la vita.

Saggia tshirt su Kurt Vonnegut
Traduzione: Leggi Kurt Vonnegut Ascolta David Byrne Sii un buon essere umano
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