Il nuovo spot Lavazza Chaplin e i media di McLuhan

Il nuovo spot Lavazza Chaplin

Il nuovo spot Lavazza Chaplin, che da alcuni giorni viene mandato a raffica su tutte le televisioni italiane: vediamo il classico montaggio di immagini che ci raccontano un mondo tanto bello quanto inesistente, con il famoso monologo di Chaplin preso dal film Il grande dittatore:

“Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca. È sufficiente per tutti noi. Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore. Voi avete il potere di rendere questa vita libera e magnifica, di trasformarla in un’avventura meravigliosa. Combattiamo per un mondo nuovo, un mondo giusto, che dia a tutti un lavoro. Ai giovani un futuro e agli anziani la sicurezza. Combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso, diano a tutti gli uomini il benessere. Uniamoci tutti!”

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: Il grande dittatore
Il nuovo spot Lavazza Chaplin: Il Grande Dittatore

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: la New Humanity

Alla fine di tutto ciò, insieme al marchio Lavazza, appare la scritta #NewHumanity, questa ipotetica nuova umanità che a me – sarò fuorviata – ha fatto subito venire in mente il Nuovo Mondo o Brave New World di Aldous Huxley, che, come tutti sanno, è un mondo che non ha nulla di nuovo né di coraggioso. Al contrario, è un mondo di schiavi e padroni, proprio come quello attuale.

Andando poi a riascoltare il monologo del Grande Dittatore, prima di tutto notiamo quanto sia datato, ed è normale che lo sia, visto che da quel film sono passati ben 80 anni. In questo mondo c’è posto per tutti: sfortunatamente non è vero. All’epoca di Chaplin di sicuro non avevamo ancora raggiunto il numero di 2 miliardi, mentre alla fine del 2019 raggiungevamo quasi gli 8 miliardi di esseri umani. La natura è ricca e sufficiente per tutti noi. Non è mai stato vero e di sicuro non lo è adesso, sempre per lo stesso motivo di prima: siamo troppi e la natura siamo abituati a predarla e razziarla. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Nel 1940, anno in cui fu girato il film, gli americani non erano ancora entrati in guerra, ma di lì a meno di due anni avrebbero dato ufficialmente il via al Progetto Manhattan che nel 1945 li avrebbe portati a lanciare la loro scienza su Hiroshima e Nagasaki, per non parlare di tutti i morti negli esperimenti sull’atomica fatti precedentemente in Nevada, e quindi pensare che scienza, progresso e benessere potessero diventare un unicum era già piuttosto ipocrita allora, ma adesso è una sorta di insulto.

Gli Stati Uniti d’America lanciano la loro scienza su Hiroshima. Il video è volutamente privo di audio

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: possibile far incazzare tutti? Possibile!

La cosa peculiare di questo spot è di essere riuscito a far infuriare la gente di sinistra, quella di estrema destra e tutti quelli che si sentono presi in giro da pubblicitari che, per venderti una merce – caffè, in questo caso – si sentono in diritto di affliggerti con un discorsetto morale e etico.

Esempio di protesta di sinistra:

“Chi #Lavazza, quelli che comprano il caffè pagato quattro soldi dagli indigeni e lo rivendono 20 volte tanto?” utente Twitter.

Esempio di protesta di (spero estrema) destra:

“Meno male che non bevo caffè, non corro il rischio di dare soldi alla #Lavazza per ingurgitare un esotico intruglio, oltretutto pubblicizzato con uno spot che gronda insopportabile propaganda antifascista e antirazzista.” utente Twitter.

Esempio di protesta di chi si sente preso in giro:

“Lo spot della #Lavazza puzza di retorica nauseabonda, come la maggior parte degli spot attuali. Non era meglio continuare con quella pantomima di San Pietro in paradiso? Mai prendersi troppo sul serio, soprattutto se si deve semplicemente vendere del caffè.” utente Twitter

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: entra in scena il Social media Manager

Poi, quando si dice che piove sempre sul bagnato, ci si mette anche “il Social media Manager” del Fatto quotidiano a dire la sua, sul blog del giornale medesimo:

“Io non mi ritrovo nel dibattito buonista/ non buonista, sono categorie che non uso. Trovo semplicemente che Lavazza sia arrivata molto in ritardo su un modo di fare pubblicità vecchio di almeno vent’anni in cui l’obiettivo di impresa (il profitto) sembra eclissarsi dietro a un messaggio positivo per l’umanità, con lo scopo ultimo di far associare ai consumatori valori positivi con il proprio marchio… Secondo me è stata un’operazione stonata, nel senso che non darà niente di più a Lavazza, è troppo fuori Sync. Ormai questo tipo di meccanismi sono stati svelati e il pubblico ne è pienamente consapevole…”

Che il “Social media Manager” del Fatto quotidiano non usi quelle che chiama “categorie nel dibattito buonista/non buonista” ne eravamo tutti certi. Che l’obiettivo di un’impresa sia il profitto è una rivelazione di cui gli saremo eternamente grati. Che essere fuori sync non significa stonare, però, Scanzi (che immagino ami la musica, visti i poster di Celentano ed Eric Clapton davanti a cui si fa sempre inquadrare) glielo poteva anche spiegare. Ma soprattutto, che questo tipo di meccanismi siano stati svelati e la gente li riconosca, invece, è proprio una stupidaggine grossa come il mondo, nuovo o vecchio che sia. Ma del resto, immagino che nell’università da social media manager (a proposito, chissà se è la Ferragni con quel marito sempre più fuori sync a consegnare la laurea) non credo si studi McLuhan.

Il nuovo spot Lavazza Chaplin e i media di McLuhan

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: foto di Marshall McLuhan
Il nuovo spot Lavazza Chaplin: Marshall McLuhan

Marshall McLuhan, geniale sociologo, filosofo e professore canadese, morto nel 1980, è diventato famoso – in poche e semplici parole – per la sua teoria sui media, che, secondo lui vanno considerati non tanto in base ai contenuti, ma in base ai criteri strutturali con cui la comunicazione viene organizzata. Da qui la famosa frase “Medium is the message” ovvero “il mezzo è il messaggio”. In “Undestanding media” Mc Luhan dice:

“Si può dunque asserire che qualsiasi tecnologia costituisce un medium nel senso che è un’estensione e un potenziamento delle facoltà umane, e in quanto tale genera un messaggio che retroagisce con i messaggi dei media già esistenti in un dato momento storico, rendendo complesso l’ambiente sociale, per cui è necessario valutare l’impatto dei media in termini di “implicazioni sociologiche e psicologiche”.

Il nuovo spot Lavazza Chaplin: dare l’atmosfera terrestre in monopolio a una società

Se McLuhan si preoccupava già ai suoi tempi per il modo in cui la televisione ci avrebbe indirizzati tutti nel recinto da Walking dead in cui ci aggiriamo, è una fortuna che non abbia potuto vedere il baratro in cui i media cosiddetti “social” ci hanno ormai scaraventato. Ma, per chi fosse ancora disposto a leggere, studiare e capire, i suoi insegnamenti e i suoi libri restano.

Il libro geniale di McLuhan: Understanding Media

Ancora da Understanding media:

«Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre»

Riguardo allo spot Lavazza la mia modesta opinione è che – alla fine – non ci sia alcuna differenza fra i passati spot con San Pietro, lo spot attuale con Chaplin o un ipotetico spot futuro dove san Pietro e Chaplin imbracciano fucili d’assalto e vanno insieme a sparare in una high school texana. Il punto è semplice:

Mi affido a un media quindi sono e guardo. Se sono e guardo, poi compro. Tutte le altre considerazioni, scusate il francesismo, sono puttanate.

I Social Media e Brave New World

I Social Media e Brave New World è un breve ma intenso viaggio che ho percorso all’interno di pagine e gruppi Facebook. Ho scelto di andarmi a rileggere Aldous Huxley perché nessuno, come lui, è in grado di spiegarci così bene il mondo di adesso.

Partiamo dalla famosa frase pronunciata da Huxley nel corso di una conferenza nel 1961:

“The perfect dictatorship would have the appearance of a democracy, but would basically be a prison without walls in which the prisoners would not even dream of escaping. It would essentially be a system of slavery where, through consumption and entertainment, the slaves would love their servitudes. “

La dittatura perfetta sembrerà una democrazia, ma sarà principalmente una prigione senza mura da cui i prigionieri non vorranno mai fuggire. Essenzialmente sarà un sistema di schiavitù dove, fra consumi e divertimento, gli schiavi ameranno essere schiavi.”

I Social Media e Brave New World: foto di Aldous Huxley
Aldous Huxley

Aldous Huxley e “Brave New World”

Se torniamo al suo romanzo più famoso “Brave new world” scritto nel 1932, vediamo che Huxley immagina questo nuovo mondo coraggioso come un luogo dove i bambini fin da piccolissimi vengono condizionati tramite tecnologia e droghe, e una volta adulti, assolvono al compito deciso fin dalla loro nascita: i figli dei poveracci continueranno ad essere poveracci, i figli dei potenti saranno sempre potenti e così via. Adesso mettete bene a fuoco il periodo in cui Huxley ha scritto questo libro, che è il periodo delle dittature classiche: nazismo e stalinismo, dittature dove si comandava con la forza, la ferocia, la tortura e incutendo il terrore nei cittadini. Eppure, nonostante il mondo in cui viveva, lui è riuscito a guardare lontano, ancora più lontano di Orwell che peraltro era più giovane, fino a vedere esattamente il nostro molto poco coraggioso mondo odierno.

Trailer della nuova serie tratta da Brave New World di Huxley

In che modo, oggi, i padroni della Terra e i governanti, loro cani da guardia, riescono a controllare le masse, togliendoci tutto senza che nessuno decida di ribellarsi e spargere sangue milionario? Attraverso una tecnologia che Huxley non poteva prevedere, che ha un nome che fa sorridere molti mentre dovrebbe farci venire i brividi: questo nome è Social Media.

I Social Media e Brave New World: viaggio attraverso pagine Facebook

Icone Social
I Social Media e Brave New World: icone Social

Del mio intenso viaggio navigando su Facebook, sia come pagina che come singolo utente, racconterò solo un paio di esempi, secondo me molto esplicativi. Partiamo dalle Sardine. Prima del coronavirus ero stata ad una loro manifestazione, a Roma e, nonostante gli interventi dal palco spesso retorici e noiosi, l’organizzazione che non era nemmeno stata in grado di far cantare alla gente, in coro, “Bella ciao” che poi era quello che tutti volevano fare, mi ero comunque riconosciuta in un movimento anti-fascista ed eterogeneo, che univa giovani e vecchi. Ho deciso quindi di iscrivermi al gruppo Facebook delle Sardine, e lì ho avuto la prima sorpresa: di gruppo Facebook Sardine non ne esiste uno solo ma ce ne sono una miriade. Ma come? Non le avevano chiamate Sardine proprio perché bisognava stare tutti uniti e vicini (ora come ora solo in modo virtuale, ovvio)? Lo sapete, sì, che il metodo con cui le megattere fanno scorpacciate di sardine è proprio dividendole? Vabbè. Mi sono fatta consigliare un gruppo di Sardine Facebook e mi ci sono iscritta. Pochi giorni fa, entrata nella loro home, la prima cosa che ho visto era un post in evidenza (di quelli che solo l’admin può mettere, per capirci) gigantesco, dove appariva la faccia di Conte con una sua citazione “lotterò in Europa fino all’ultima goccia di sudore” e il commento dell’autore del post: Grazie, Presidente!

Sardine su Facebook

I Social Media e Brave New World: manifestazione Sardine a Roma dicembre 2019
Manifestazione Sardine a Roma, dicembre 2019

A parte il fatto che – casomai – si lotta fino all’ultima goccia di sangue e non di sudore (non è mica la finale di Wimbledon), ho pensato: sono finita su un gruppo dei 5 stelle? Sulla pagina Fb del governo? Sulla pagina Fb dell’Opus Dei? Ho notato che era un gruppo di quasi solo over 55, dove i pochi giovani avevano il terrore di esprimere un parere. Scendendo nella bacheca ho trovato un post che aveva, in meno di un’ora, già raccolto almeno quattrocento commenti. Wow! Mi sono detta: finalmente il gruppo delle Sardine parla di qualcosa di sinistra, ma mi sbagliavo. L’argomento scottante? Quanto sia maleducato dare del tu e non del lei alle persone anziane, e, per proprietà transitiva, alle persone in genere. Quando ho provato a dire che io, personalmente, preferisco il tu, ma in ogni caso non mi offendo se mi danno del lei e che, comunque, quest’argomento della malvagità insita nel tu mi sembra quanto meno ridicolo, soprattutto adesso, sono stata aggredita. Diverse sardine femmina e un paio di maschi mi sono saltati alla giugulare come vecchi vampiri con frasi come queste: “un ventenne egocentrico e saccente che non sa coniugare il lei mi fa proprio arrabbiare” oppure “un anno fa sono stato ricoverato e quando l’infermiera mi si è rivolta con il tu l’ho così mortificata che ancora se lo ricorda”. Non c’era verso di spiegare che “signora, il lei non si coniuga, non è un verbo” oppure “i ventenni di adesso non sono affatto saccenti” o anche “non è bello mortificare le persone, in nessun caso” perché improvvisamente saccente, egocentrica e irrispettosa diventavi tu. Senza nemmeno essere ventenne. Signore e signori, se questa è la sinistra italiana, arrendiamoci subito che è meglio!

I Social Media e Brave New World: gruppi Facebook sull’ironia

Allora ho proseguito il mio viaggio cambiando luogo. Mi sono detta: cerchiamo i cultori dell’ironia, che magari hanno qualche neurone in più. Mi sono iscritta a un gruppo sull’ironia, dove, per farmi entrare, mi hanno anche fatto l’esamino: “Che cos’è l’ironia per te?”. Una volta lì dentro, ho visto che il gruppo, composto principalmente da gente fra i 35 e i 50, comunicava esclusivamente tramite meme. Non voglio essere fraintesa: i meme mi piacciono, quando sono belli o divertenti li uso anch’io, ma quelli belli e divertenti sono sempre meno, e i meme dell’ironia è una facoltà a numero chiuso, spesso anche sgrammaticati, non facevano ridere nemmeno se guardandoli ti facevi il solletico da sola. Sotto ad ogni meme, i commenti: “bellissimo” “ahahahah” “ma anche no!” “anch’io” tutti farciti dalle solite emoticon – tante – e poi i like, le faccette wow e le faccette ahah come se piovesse.

Esempio di meme divertente e intelligente

In uno di questi meme della “facoltà a numero chiuso” c’era la foto di un uomo con tre puntini sul naso e la scritta: guarda il puntino rosso per trenta secondi poi scuoti la testa e guarda il muro. Gli appartenenti al gruppo erano entusiasti: “Se lo sapevo non perdevo tempo con le droghe sintetiche” “bellissimo” “ahahahah” “ma anche no!” “anch’io” “a me non succede nulla (con faccina stralunata)”. Allora ci ho provato e per un paio di secondi, sul muro, ho visto – più o meno – la foto del meme. Ho scritto “Sì vabbè. Si vede il tipo sul muro. Ma cosa c’è di divertente?” Non l’avessi mai detto! I cultori dell’ironia si sono improvvisamente trasformati in iene non ridens. “L’ironia non è solo sbellicarsi dalle risate – ha scritto una tizia, postando la foto presa dalla Treccani online con tutti i vari significati del termine ironia” “Grazie per la lezioncina – le ho risposto – e io che credevo che l’ironia significasse Boldi e De Sica” e subito un altro genio “quei due comici demenziali che sono sicuramente grandi attori non rappresentano la sola ironia eccetera eccetera” e io “Su Boldi e De Sica ero sarcastica. Pensavo fosse evidente. E non sono grandi attori, sono patetici.” Mio Dio, che fatica!!!

Più aumenta la demenza senile, più si utilizza Facebook

Poi, come esperimento, ho provato a postare, a distanza di una o due ore, due link di articoli molto divertenti, presi da blog diversi, invogliando i cultori dell’ironia alla lettura e spiegando loro che dopo aver fatto l’estrema fatica di cliccare sul link non si sarebbero trovati di fronte a “Guerra e Pace” ma a semplici articoli, spiritosi, comici, per niente lunghi, scritti in un italiano scorrevole. Niente che un bambino di terza elementare non sia in grado di affrontare. Risultato: nessuno si è cagato i link, come fossero stati invisibili.

Fino al 2015 i Social Media erano un fenomeno legato principalmente agli adolescenti, ma oggi i numeri sono del tutto cambiati. A fine 2018, in Italia, i numeri di Facebook, che rimane la piattaforma Social più utilizzata nel mondo, erano i seguenti: il 58% degli utenti aveva più di 35 anni. La fascia con più utenti era quella 35-46. Emergeva chiaramente la drastica diminuzione dei giovani, e considerando in particolare la fascia 13-29, il suo calo, rispetto all’anno precedente, era di 2 milioni di persone. In particolare i 13-18enni sono diminuiti del 40%, i 19-24enni del 17%, i 25-29 del 12%. Calati anche i 30-35enni e i 36-45enni. A crescere solo le fasce più avanzate: quella dei 46-55enni e quella degli ultra 55enni che ha fatto un salto del 17%. (Dati di Vincos.it) Come dire – in modo molto poco educato, ne sono conscia – che, più aumenta la demenza senile, più si utilizzano i social.

I Social Media e Brave New World: la prigione da cui nessuno vuole scappare

Ma comunque Facebook & co. vengono usati ormai da tutte le società del mondo, da oriente a occidente, da nord a sud, sono amati da gente di sinistra e da gente di destra, dai ricchissimi e dai poveracci, a partire da chi è ancora troppo piccolo per saper scrivere ma può già essere in grado di usare le emoticon fino a chi sta in casa di riposo e usa le stesse emoticon del pronipote. Ci sono suore di clausura che hanno pagine Facebook. Il Papa è famoso per avere 49 milioni di followers, e se ne esce con frasi come “Maria è la influencer de Dios…”

Eccola la prigione senza mura da cui i prigionieri non vogliono scappare. Un tossico scapperebbe da un carcere dove eroina e oxycodone sono sempre a disposizione, gratis, ogni giorno e tutti i giorni? È la stessa cosa: i Social Media rendono la gente dipendente, ma nessuno se ne accorge perché quella dipendenza appartiene a tutti. I social media sono il vero white horse di oggi, quel white horse che nessuno dovrebbe mai cavalcare.

Il ritorno al Paleolitico

Antichissima pittura rupestre, Chauvet Francia
Pittura rupestre di 32000 anni fa trovata in Francia

Ma soprattutto i Social Media rendono la gente stupida, stupida, stupida. Si inizia a comunicare solo coi like e con i meme, o con una riga sgrammaticata su whatsapp, ma in compenso farcita da una ventina di faccine (influencer de Dios, suggerisci al tuo amatissimo follower Zuckerberg di aggiungerne di nuove, perché sono sempre le stesse e non le sopporto più!) Dopo un po’ alcuni smettono di rispondere se gli amici pongono una specifica domanda o, peggio, un argomento su cui discutere. I più gentili ti rispondono con un like o una faccina. Poi, col tempo, la maggioranza della gente si rende conto che leggere qualsiasi cosa più lunga di 160 caratteri gli provoca una sorta di fastidio. Magari decidono di farlo ugualmente, i meno tossici, ma lo fanno solo per un senso di dovere, e quando le cose non necessarie le fai solo per dovere, poi smetti di farle. Leggere, discutere con parole e non con emoticon, argomentare, conversare sono tutte cose ormai faticose e quasi sovversive. Da lì inizia la decadenza, nostra, del nostro mondo e delle nostre vite, il ritorno al Paleolitico, dove uomini senza scrittura dipingevano pitture rupestri, con la differenza che quelle pitture erano molto belle e raccontavano la realtà di allora senza sovrastrutture.

“Comunità, Identità, Stabilità”

Nel primo capitolo di “Brave new world” di Huxley troviamo questa descrizione: “’Centro di incubazione e di condizionamento di Londra Centrale’ e in uno stemma il motto dello Stato Mondiale: ‘Comunità, Identità, Stabilità’.” Mentre tutti noi siamo in incubazione, o già trasformati in schiavi, cavie, esseri che non hanno possibilità di scelta né di ritorno, al grido di parole così attuali e fintamente democratiche, come “Comunità”, “Stabilità”, “Identità”, io mi immagino il signor Zuckerberg e gli altri padroni del pianeta mentre osservano il mondo distrattamente, come si conviene alle divinità, dall’alto del loro attico o del loro aereo privato e casualmente ci vedono, tanti ma piccolissimi, e ci guardano con lo stesso interesse con cui, molti di voi, potrebbero dare un’occhiata a una fila di formiche.

I Social Media e Brave New World: Zuckerberg
I Social Media e Brave New World: Mister Zuckerberg

Covid-19: Predatori o Salvatori?

Durante e dopo il Covid-19: Predatori o Salvatori? Se la storia ci ha insegnato qualcosa – e sottolineo se – è che, nel corso del tempo ogni tanto ci si imbatte in un bivio, e chi ha in sorte la sfortuna di essere al mondo in quel preciso periodo deve scegliere. Non sempre è possibile rimanere a guardare, starsene alla finestra da spettatore. Ci sono volte in cui, per forza si deve scegliere. Come nel famoso bivio di Robert Frost nella poesia “The road not taken”:

Two roads diverged in a wood, and I —
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.

Nel 1917, nella Russia non ancora sovietica, Lenin e Trotsky iniziarono la loro offensiva armata a febbraio, e ai primi di novembre riuscirono a prendere Pietrogrado e formare un governo rivoluzionario. A quel punto iniziò una lunga e sanguinosa guerra civile, che terminò dopo qualche anno con la vittoria di Lenin e della rivoluzione. Nel corso di quegli anni non era concesso stare a guardare: ti dovevi schierare, con una parte o con l’altra e combattere, in un modo o nell’altro, per sostenere la tua scelta. Spesso anche morire per essa.

Covid-19: Predatori o Salvatori?

Tutte le rivolte e le guerre di qualsiasi genere non avvengono mai per motivi morali o etici né, tantomeno, religiosi, ma sempre e solo in un’ottica economica. Nel famoso Boston Tea Party del 1773, ad esempio, per lottare contro le tasse sempre più pesanti e le decisioni sempre più impopolari che gli inglesi avevano imposto alle loro tredici colonie, gli attivisti americani di Sons of Liberty, sponsorizzati dai commercianti americani di tè di fatto tagliati fuori dal loro business, si travestirono da nativi Mohawk e si imbarcarono sulle navi inglesi ancorate a Boston. Una volta a bordo, buttarono le tante e preziose casse piene di tè in mare. In un Party come quello ti dovevi schierare: o con gli inglesi o con gli americani. Non potevi fare altrimenti, dovevi per forza scegliere e spesso pagarne il prezzo con la vita.

Covid-19: Predatori o Salvatori?Litografia a colori su Boston Tea Party dicembre 1773
The Boston Tea Party, 16th December 1773 (colour litho); Private Collection;

Predatori o Salvatori? Nel bosco di Robert Frost

Adesso il Covid-19 ci ha portati di nuovo nel bosco di Robert Frost con due strade fra cui scegliere, anche se molti ancora non se ne sono accorti. Una cosa è sicura: da dovunque provenga il virus, in ogni caso è il frutto di un mondo malato. E se il mondo è malato la sua economia è addirittura terminale, da ben prima di questa pandemia. Noi umani siamo come formiche Siafu, considerate il predatore più mortale di tutta l’Africa, capaci di uccidere oltre un milione di prede al giorno. Si muovono in colonie di venti milioni di individui, proprio come noi. Solo che loro sono più piccole.

Covid-19: Predatori o Salvatori? Formiche Siafu

Gli ultimi quaranta anni, che hanno spinto il piede sull’acceleratore del capitalismo fino a trasformarlo in ipercapitalismo, hanno creato: pochi uomini ultramiliardari e miliardi di gente a cui manca tutto, a iniziare da cibo e farmaci; diversi lavoratori privilegiati, che si godono il loro lavoro interessante, poco faticoso e molto ben pagato, ottenuto, di solito, grazie a nepotismo o politica, a fronte di moltissimi lavoratori che si ammazzano dalla fatica in attività alienanti, con turni infiniti per uno stipendio ridicolo; un numero impressionante di disoccupati, o di gente che deve arrangiarsi lavorando in nero; la specie umana cresciuta di numero in modo mostruoso e infestante, perché se è vero che “compro, quindi sono”, è ugualmente vero che “se sono, compro”, dunque più persone nascono, vivono e muoiono, e più i “mercati” guadagnano. Come conseguenza di tutto questo abbiamo inquinamento, cambiamenti climatici, miseria, disperazione e per finire, malattia e contagio.

Scegliere la vecchia strada?

Il bivio in cui ci troviamo adesso è il seguente: continuare sulla strada di prima, tenendoci stretti i nostri piccoli o grandi orticelli, continuando a invadere, prevaricare, togliere terreno e vita alle altre creature organiche, stuprare il pianeta con tutto ciò che contiene, noi compresi, come veri Predatori. Cercate di capire: fare qualche donazione qua e là non vi renderà meno Predatori. Dire “io sono di sinistra” mentre continuate a vivere da ricchi e intanto, intorno a voi, la gente non ha più casa, né lavoro, né soldi per cibo o bollette. Se sceglieremo la strada di prima, quella più battuta, allora prepariamoci: ci saranno altre pandemie, ci sarà una recessione al cui confronto la recessione del 2008 sembrerà un’oasi di pace, ci saranno guerre combattute in tanti modi diversi, lotte, rivolte, massacri, stermini e il mondo e l’apocalisse saranno una sola cosa. In compenso, quelli che possono, balleranno e brinderanno nelle loro belle ville così come facevano i passeggeri del Titanic mentre la nave aveva già colpito l’iceberg

Covid-19: scegliere la strada meno battuta

Oppure, potremmo prendere la strada meno battuta. Fare marcia indietro, su tutto. Rinunciare ai privilegi, ai super stipendi, alle maxi pensioni, ai vitalizi, ai conti in banca milionari, a possedere più case e a tutte quelle stronzate che vi comprate coi soldi senza che questo iper consumismo vi regali nemmeno un po’ di gioia. Fare in modo che per i nostri figli si parli sempre e solo di meritocrazia e mai di nepotismo, cambiare la nostra routine, il nostro sistema economico dalle fondamenta, dimenticare il nostro insensato “way of life”, cancellare l’avidità, dividere quello che abbiamo con chi ha poco o niente, fare un implacabile controllo delle nascite, trasformarci in Salvatori. Non dico che sia facile: in noi c’è molto Siafu e ben poco Cristo. Predare è più facile, ci viene automatico, fa parte del nostro DNA. Ma, ugualmente, siete pronti a salvare e salvarvi? Perché è la strada meno battuta la sola che può fare la differenza.

Covid-19: Predatori o Salvatori? La strada di Cormack Mc Carthy

Pensate a “La strada” di Cormack Mc Carthy e al suo mondo apocalittico, che improvvisamente sembra così vicino, dove le persone, per non morire di fame, diventano cannibali. Se siete adulti, genitori, zii, nonni, ricordate che ai vostri amati figli e nipoti, oltre a case, barche e posti di lavoro fichissimi lascerete una vita da scarafaggi, ma senza la capacità di sopravvivenza che hanno gli scarafaggi. Non ne faccio una questione morale. La storia ci ha posto di fronte a un bivio. Dobbiamo solo scegliere la direzione.

Bellissimo film tratto dal libro di Cormack Mc Carthy

“…Si sedettero al bordo della strada e mangiarono le ultime mele.

Cosa c’è? Disse l’uomo.

Niente.

Vedrai che troveremo qualche cosa da mangiare. La troviamo sempre.

Il bambino non rispose. L’uomo lo guardò.

C’è dell’altro, vero?

Non importa.

Dimmelo.

Noi non mangeremmo mai nessuno, vero?

No. Certo che no.

Neanche se stessimo morendo di fame?

Stiamo già morendo di fame.

Hai detto che non era così.

Ho detto che non stavamo morendo. Non che non stavamo morendo di fame.

Ma comunque non mangeremmo le persone.

No. Non le mangeremmo.

Per niente al mondo.

No. Per niente al mondo.

Perché noi siamo i buoni.

Sì.

E portiamo il fuoco.

E portiamo il fuoco, sì.

Ok. “  da “La Strada” di Cormack Mc Carthy

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Layne Staley indimenticabile

Layne Staley MTV Unplugged

Il 5 aprile 2002 è considerato ufficialmente il giorno della morte di Layne Staley indimenticabile artista, anche se, avendo ritrovato il suo corpo a tanti giorni di distanza, in avanzato stato di decomposizione, credo che il 5 aprile sia più che altro una data simbolica. Io, personalmente, lo considero morto in un giorno indefinito della prima decade di aprile, che, come diceva Eliot “è il mese più crudele”. Layne Staley, creatore e frontman degli Alice in Chains – ma anche, in seguito, dei Mad Season per un unico e bellissimo album – diventato molto famoso nell’ambito rock-grunge nato a Seattle, è stato, di certo, il cantante più dotato e l’anima più fragile fra tutti gli artisti rock degli anni ‘90.

Layne Staley e Kurt Cobain

Layne aveva molto in comune con Kurt Cobain (anche lui, ufficialmente, morto il 5 aprile): nati entrambi nel 1967, ipersensibili, bellissimi, pieni di talento, portati verso l’arte in genere, dalla pittura alla scultura, dalla poesia alla musica, con difficoltà nel relazionarsi ai compagni di scuola, sia da bambini che da adolescenti, entrambi usciti profondamente segnati dal divorzio dei genitori.

Layne Staley e Kurt Cobain, indimenticabili
Layne Staley e Kurt Cobain

Ma allo stesso tempo erano anche diversi: se Kurt Cobain potremmo definirlo crepuscolare, Layne era la notte senza luna e senza luci. Se la voce di Cobain divenne quella di un’intera generazione, la voce di Staley – a mio parere la voce più bella del rock anni ’90 – rimase sempre la voce della sofferenza. Mentre i testi di Kurt aprivano un mondo fatto di immagini – e proprio per questo divennero testimonial perfetti del nuovo genere di rock – i testi di Layne si snodavano lungo un’unica autostrada, quella del dolore che prova solo chi viaggia dentro all’inferno. Cobain decise di chiamare il proprio gruppo “Nirvana”, che rappresenta, nella dottrina buddista, la fine della sofferenza; Staley chiamò il suo gruppo “Alice in chains”: per il pubblico la Alice di Carroll non più libera di giocare nel suo mondo proibito ma incatenata in fondo alla tana del bianconiglio; nella realtà una sua amica, di nome Alice, da poco arrestata per traffici di droga. Se Kurt optò per il suicidio, perché, come scrisse nel suo biglietto d’addio citando Neil Young “It’s better to burn out than to fade away”, Layne si lasciò morire giorno dopo giorno, chiudendosi in solitudine per anni, nutrendosi di dolore, crack ed eroina finché la morte non andò a prenderlo per mano.

Layne Staley indimenticabile: bad habits aren’t my title

Layne Staley odiava i giornalisti e raramente concedeva interviste. Lui parlava attraverso l’arte e sono poche le frasi che di lui potremmo citare. Forse la più significativa è:

My bad habits aren’t my title. My strengths and my talent are my title.” I miei vizi non parlano per me. I miei punti di forza e il mio talento parlano per me.

Layne Staley, Down in a hole

Down in a hole, feelin’ so small/ Down in a hole, losin’ my soul/ I’d like to fly, but my wings have been so denied/ Down in a hole and they’ve put all the stones in their place/ I’ve eaten the sun so my tongue has been burned of the taste

Dentro a una buca, sentendomi così piccolo. Dentro a una buca, mentre perdo l’anima. Vorrei volare via ma le ali mi sono state negate. Dentro a una buca e l’hanno riempita di pietre. Ho mangiato il sole e la mia lingua, assaggiandolo, si è bruciata.

Indimenticabile Layne Staley: MTV Unplugged 1993, Down in a hole

Layne staley, Hate to see

Hate to see (wish I couldn’t see at all)/ Hate to feel (wish I couldn’t feel at all)/ So climb walls/ And I crawl, back to bed now/ What the hell, got to rest/ Aching pain in my chest/ Lucky me, now I’m set/ Little bug for a pet

Odio vedere (vorrei non poter vedere niente). Odio sentire (vorrei riuscire a non sentire nulla). Allora mi arrampico sul muro e striscio di nuovo a letto. Che diavolo, mi devo riposare, mentre provo dolore nel petto. Che fortuna, adesso sono a posto. Un piccolo insetto come animale domestico

Layne Staley: Mad Season – Long Gone Day

“Isn’t it so strange how far away we all are now?/ Am I the only one who remembers that summer?/ Oh-woah, I remember/  The music that we made/ The wind has carried all of that away/ Long gone day (Woah, woah-oh yeah)/ Who ever said we’d wash away with the rain?”

Non è così strano quanto lontano ci sentiamo tutti adesso? Sono l’unico che si ricorda quell’estate? Oh sì, io ricordo. La musica che suonavamo. Il vento ha portato tutto via. Tanto tempo fa chi avrebbe mai detto che tutto sarebbe stato spazzato via dalla pioggia?

Layne Staley con i Mad Season: Wake up, Seattle, 1995

Il testamento morale di Layne

A un mese dalla morte Layne telefonò alla giornalista argentina, Adriana Rubio, che stava scrivendo un libro su di lui e aveva parlato in più occasioni con la madre e la sorella di Layne. Lui era malato terminale, e quella telefonata di due ore e mezzo fu una sorta di testamento morale:

“… il dolore è molto più grande di quello che pensi. È il peggior dolore del mondo. La droga ti succhia tutto il corpo. Sono vicino alla morte, mi sono fatto di crack e di eroina per anni. Non avrei voluto finire la mia vita così. So che non ho più scelta, è tardi. Scrivi un capitolo speciale per Demri, chiarisci che la sua morte è stata causata da un’endocardite batterica, non è stata un’overdose. Scrivi alla gente che non ho mai voluto il loro appoggio riguardo a questa droga del cazzo. Non provare a contattare nessuno degli Alice in Chains: loro non sono miei amici.”

Noi invece, ti ameremo sempre e non ti dimenticheremo mai.

In memoria di Layne Staley 1967 – 2002

Pandemia e hikikomori

Trickster anime su hililomori

Pandemia e hikikomori: il Covid-19 trasformerà tutti in hikikomori? Per quelli che non conoscono questa parola giapponese, hikikomori significa “isolarsi, ritirarsi” e si riferisce alle persone che si rinchiudono nelle loro abitazioni e si rifiutano di lasciarle, per periodi lunghi o lunghissimi, a volte per sempre.

Welcome to the NHK. romanzo, manga e anime che raccontano la vita di un hililomori
Pandemia e hikikomori: Welcome to the NHK anime

Il fenomeno hikikomori

I motivi per cui le persone abbandonano completamente la vita sociale e si isolano in casa sono diversi, ma dagli anni ’80 in poi il numero è cresciuto così tanto da trasformarlo in un vero fenomeno sociale, all’inizio solo in Giappone, ma in seguito anche negli Stati Uniti, in Europa e in tutta l’Asia. In principio gli hikikomori erano solo adolescenti, ma col tempo si sono aggiunti anche molti adulti.

RELIFE, manga e anime su hikikomori

In pratica, cosa significa essere hikikomori? Soffrire di depressione, incapacità di sperimentare una vita sociale, essere compulsivi e avere paure specifiche, come la misofobia (paura dei germi). Da quando esiste internet gli hikikomori sono aumentati, perché i social, i videogame online possono dare la falsa sensazione di avere amici, di far parte di un gruppo, di una community, e alcuni hikikomori, grazie allo smart working, possono lavorare da casa senza dover mai uscire né dipendere economicamente dalla famiglia. Ma la maggioranza di loro passa comunque la vita in camera da letto, senza studiare né lavorare, in preda alla depressione più nera.

Pandemia e hikikomori: i 4 tipi di Maïa Fansten

Il fenomeno è composito e ci sono vari tipi di hikikomori, secondo Maïa Fansten, sociologa francese esperta di isolamento sociale:

  1.  gli “alternativi”, che non accettano di adeguarsi alle regole imposte dalla società e dall’esistenza in genere e, autoisolandosi, compiono una sorta di ribellione;
  2. i “reazionali”, che reagiscono con l’isolamento a traumi subiti o a infanzie molto infelici;
  3. i “dimissionari” che fuggono da forti pressioni sociali e decidono di nascondersi perché annichiliti da ciò che scuola, università, carriera, famiglia pretendono da loro;
  4. coloro che si ritirano “a crisalide”, di solito hikikomori meno giovani, in una sorta di fuga dalle responsabilità della vita adulta, che cristallizzano il presente cercando di dimenticare del tutto il futuro: il loro ritiro è come “una sospensione del tempo”, una sospensione senza deroghe, che può durare per tutta la vita.

La nostra vita attuale

Welcome to the NHK manga su hikikomori Satō
Welcome to NHK manga sull’hikikomori Satō

E con questo arrivo al punto: qualunque sia il motivo che porta la gente a rinchiudersi in casa è un fatto provato che l’isolamento prolungato, la mancanza di rapporti sociali rendono le persone, col tempo, del tutto incapaci di interagire col mondo esterno. Ed ecco perché rischiamo di diventare tutti hikikomori (se proprio devo essere sincera, io lo sono già, almeno part time, da prima dell’avvento del Virus). Mancanza di vita sociale, paura di entrare in contatto con patogeni invisibili e molto pericolosi come l’attuale Coronavirus, isolamento forzato, sospensione del tempo e di ogni progetto: non è l’esatta descrizione della nostra vita attuale? A questo dobbiamo aggiungere anche la paura di avvicinarci ad altri umani, in quanto possibili portatori del Covid-19, paura che continueremo a provare per molto, molto tempo anche dopo che non saremo più in lockdown.

Pandemia e hikikomori: il cerchio delle Fate

cerchio delle Fate, parlando di hikikomori
Tipico cerchio delle Fate: statene alla larga!

Se a tutto ciò uniamo la depressione che molti di noi soffrono già da prima della pandemia, credo che il cerchio si chiuda, e quando parlo di cerchio chiuso penso al cerchio delle Fate, che per quanto possa suonare disneyano, appartiene invece a una leggenda molto gotica. Si dice che gli sfortunati umani che si trovino a passare, di notte, nei pressi di un cerchio delle Fate, ne saranno inesorabilmente attratti all’interno, e una volta lì dentro entreranno in una realtà parallela dove saranno schiavi delle Fate per periodi lunghissimi, a volte per una vita intera.

Pandemia e hikikomori: manga e anime

Ma è anche giusto dire che, almeno in Giappone, gli hikikomori vengono ormai considerati non più come persone affette da una patologia ma come una sorta di eremiti del terzo millennio. Infatti l’hikikomori viene spesso utilizzato come figura tormentata ma eroica nell’ambito di manga e anime, come in Welcome to the NHK, manga e anime tratti dal romanzo di Tatsuhiko Takimoto, che diceva di essere hikikomori lui stesso; la sigla NHK significa Nihon Hikikomori Kyōkai, ovvero “associazione giapponese hikikomori”. Il protagonista, Satō, soffre di fobia sociale e cerca di lottare contro la sua condizione, aiutato da un’amica che lo supporta economicamente e ha con lui un rapporto madre-figlio.

Trickster, anime sulla ragazza hikikomori Noro

 Molto diverso è Trickster, manga e anime, dove la protagonista hikikomori è Noro, una giovane hacker che si rifiuta di abbandonare la casa non per paura di relazionarsi con gli altri né per depressione, ma solo perché, a sentire l’autore, sceglie la solitudine. Questo nuovo modo di vedere le persone che vivono in autoisolamento ha aiutato i giapponesi ad accettare gli hikikomori; o forse i giapponesi, non riuscendo a risolvere il problema, hanno semplicemente smesso di considerarlo tale. Come dice quell’aforisma: se non riesci a uscire dal tunnel, arredalo. I giapponesi, in qualche modo, quel tunnel l’hanno arredato.

La prima e più famosa hikikomori

Emily Dickinson, hikikomori ante-litteram
Emily Dickinson, hikikomori ante-litteram

Non possiamo dimenticare, però, che la più famosa hikikomori, o meglio, hikikomori ante-litteram è stata un’americana, la poetessa Emily Dickinson, che trascorse gli ultimi venti anni di vita dentro alla casa paterna. Certo, aveva un parco tutto intorno che amava molto, ma passava quasi tutto il suo tempo in camera da letto. A soli trentacinque anni Emily ha deciso di non varcare mai più il cancello di casa, e non è più uscita nemmeno quando sono morti i genitori. Nel suo caso, forse, è stato il prezzo da pagare alla Poesia, divinità antica che, da sempre, chiede un tributo di sangue ai suoi figli prediletti.

Ma anche noi, che dobbiamo pagare il nostro tributo solo al Fato, potremmo rimanere incastrati nel cerchio delle Fate o in un tunnel arredato. Se dovesse accadere, non vi preoccupate troppo, perché fra manga e Poesia, nella crisalide, sarete di certo in buona compagnia. Un po’ come all’Inferno.

The Dead South: In Hell I’ll be in good company

(Disclaimer: il link esterno sul favoloso Tatsuhiko Takimoto vi rimanda al suo sito ufficiale, che è tutto in giapponese. Non mi sono riuscita a trattenere, per fortuna c’è Google translate…)

La Poesia può fare cose incredibili

21 marzo, giornata mondiale della Poesia

Nel bel film horror “La settima musa”, la protagonista dice: “One day we’ll find a way to bring her back; Poetry can do incredible things”, che vuol dire “Un giorno riusciremo a riportarla indietro; La Poesia può fare cose incredibili.”

Nel film “La settima musa” le Muse sono viste non come semplici divinità ispiratrici, ma come vere e proprie manipolatrici. La settima Musa, Polimnia, Musa dell’eloquenza, attraverso le sue parole passa agli uomini che l’ascoltano messaggi diabolici. La Musa forse più importante, Calliope, Musa della Poesia, dentro alle parole che suggerisce ai poeti nasconde veri e propri incantesimi, di solito malvagi. Muse e film a parte, è sicuro che la Poesia può fare cose incredibili, meravigliose e terribili. Nessuno ha un Potere paragonabile a quello di un vero poeta.

La Poesia può fare cose incredibili: giornata mondiale della Poesia

Per questa giornata mondiale della Poesia che cade in periodo di epidemia voglio fare un piccolo tributo ad alcuni dei miei poeti più amati, che ci ricordano quanto la Poesia sia nata per raccontare morte, dolore, visioni, follia, così come amore e bellezza. Le traduzioni di Dickinson e Plath sono mie, quella di Thomas è di Emiliano Sciuba, ma se andate sui link in uscita (quelli blu) troverete le versioni originali.

La Poesia può fare cose incredibili: Emily Dickinson

Emily Dickinson, la Poesia e il Potere di uccidere

754My life had stood a loaded gun

La mia vita si era fermata – un fucile carico – In un angolo – finché un giorno – Il proprietario passò – mi riconobbe – E mi portò con sé –

E ora vaghiamo per boschi sovrani – E ora diamo la caccia al cervo – E ogni volta che parlo per Lui – Le montagne mi rispondono in fretta –

Ed ora sorrido, che luce amichevole – Brilla sulla vallata – È come se un viso vesuviano – Lasciasse capire il suo piacere –

E quando a notte – finita la nostra bella giornata – Io proteggo la testa del mio padrone – È meglio di aver condiviso – Un morbido guanciale di piume –

Del Suo nemico – io sono nemica mortale – Nessuno si muove – se gli punto addosso un occhio giallo – O un pollice energico –

Per quanto io possa più di Lui – vivere a lungo – Lui deve vivere più a lungo – di me – Poiché io ho solo il potere di uccidere, ma non ho – il potere di morire –

21 marzo giornata mondiale della Poesia, tributo a Sylvia Plath
La Poesia può fare cose incredibili: Sylvia Plath

Sylvia Plath, la Poesia e l’Arte di morire

Lady Lazarus

L’ho fatto di nuovo – un anno ogni dieci – mi riesce –

Una sorta di miracolo che cammina – la mia pelle brilla come un paralume nazista, il mio piede destro

Un fermacarte – il mio viso una scialba, fine tela ebraica

Togli via il velo, o mio nemico – ti terrorizzo?

Il naso, le occhiaie, i denti al completo? Il cattivo alito svanirà in giornata.

Presto, presto la carne che la tomba ha mangiato sarà di nuovo mia.

Ed io sono una donna che sorride. Ho solo trent’anni. E come i gatti posso morire nove volte.

Questa è la numero tre. Quanta immondizia da eliminare ogni decennio.

Un milione di fili. La folla che trangugia noccioline spinge per vedere.

Scartami entrambi, mani e piedi – il grande strip tease. Signori e Signore

Ecco le mie mani. Le mie ginocchia. Sarò pure pelle e ossa,

Eppure sono la stessa, identica donna. La prima volta avevo dieci anni. Un incidente.

La seconda volta volevo andare fino in fondo e non tornare. Mi dondolavo chiusa

Come un guscio. Hanno dovuto chiamare e chiamare e togliermi di dosso i vermi come perle appiccicose.

Morire è un’arte, come qualsiasi altra cosa. Io lo so fare bene.

Lo faccio come fosse inferno. Lo faccio come fosse reale. Potresti dire che ho una vocazione.

… Cenere, cenere – tu colpisci e rimesti. Carne, ossa, non rimane nulla.

Un pezzo di sapone, una fede nuziale, un dente d’oro.

Signor Dio. Signor Lucifero. State in guardia. State in guardia.

Dalla cenere risorgo coi miei capelli rossi e mangio uomini come l’aria.

La Poesia può fare cose incredibili: Dylan Thomas

Dylan Thomas, la Poesia e il Potere della Visione

Love in the Asylum

Un’estranea è venuta a dividere la mia stanza nella casa dei-fuori-di-testa,

Una ragazza folle come gli uccelli

Che fulmina la notte della porta con il suo braccio, sua piuma.

Stretta nel labirintico letto elude la casa a prova-di-paradiso con nuvole incalzanti

Intanto col moto inganna la stanza da incubi, vagante come i morti,

O cavalca gli oceani sognati delle corsie maschili.

È arrivata posseduta, e lascia entrare falsa luce attraverso il muro riflettente,

Posseduta dal cielo

Dorme nello stretto trogolo ma cammina sulla polvere

Eppure delira a comando sui legni del manicomio consumati dalle mie lacrime girovaghe.

E preso dalla luce nelle sue braccia infine, cara fine,

Io posso, senza errore, patire la prima visione che incendiò le stelle.

Alda Merini, articolo sulla giornata mondiale della Poesia, 21 marzo

Alda Merini, la Poesia e la Forza dell’Eros

Alda Merini

Amai teneramente dei dolcissimi amanti

senza che essi sapessero mai nulla.

E su questi intessei tele di ragno

e fui preda della mia stessa materia.

In me l’anima c’era della meretrice

della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.

Molti diedero al mio modo di vivere un nome e fui soltanto una isterica.

Anastasio, la Poesia del Rap e il Potere del Nichilismo

La fine del mondo

… ma io non voglio far finta di niente

se in giro vedo solo e unicamente facce spente, io

io sogno un mondo che finisca degnamente

Che esploda, non che si spenga lentamente.

Io sogno i led e i riflettori alla Cappella Sistina

Sogno un impianto con bassi pazzeschi.

Sogno una folla che salta all’unisono

fino a spaccare i marmi, fino a crepare gli affreschi

Sogno il giudizio universale sgretolarsi e cadere in coriandoli

sopra una folla danzante di vandali.

Li vedo al rallenty, miliardi di vite

Mentre guido il meteorite e sto puntando lì.

Auguri a tutti gli ultimi Poeti rimasti e a quelli che ancora non sanno di esserlo

We’re all gonna die!

We're all gonna die! Lenny Bruce by Robert Crumb

We’re all gonna die! o, in italiano Moriremo tutti! era il grido che Lenny Bruce ripeteva, nelle sue performance comiche e rivoluzionarie a un tempo, durante la cosiddetta crisi missilistica di Cuba. La crisi missilistica iniziò il 14 ottobre 1962, quando Unione Sovietica e Stati Uniti d’America si fronteggiarono rischiando, in vari momenti, di arrivare alla guerra. Nel corso della guerra fredda, nessun momento è stato più grave e difficile di quei lunghi tredici giorni, in cui la gente di tutto il mondo – chi più chi meno – era convinta che un nuovo conflitto mondiale e nucleare sarebbe scoppiato. In questo periodo di epidemia, purtroppo ben più lungo di tredici giorni, il grido di Lenny mi viene spesso in mente.

Il vero Lenny Bruce nella sua performance poi chiamata “Bla bla bla” dopo l’arresto per oscenità

We’re all gonna die! Chi era Lenny Bruce

Definire Lenny Bruce semplicemente un comico sarebbe fortemente riduttivo. Ai suoi tempi veniva chiamato “infamous sick comic”, cioè il famigerato comico perverso; di lui si diceva “the sick humor of Lenny Bruce” e non credo che Lenny lo considerasse offensivo. La sua comicità, così simile alla musica jazz che lui amava moltissimo, era come una session in solitaria dove parlava, a ruota libera, di morale, politica, patriottismo, religione, razza, aborto, droghe; pur avendo aperto le porte ai comici che sarebbero venuti poi, a fine anni ’70, il suo sick humor era unico.

Lottò duramente contro la censura, per garantire la libertà di parola, e fu più volte arrestato per “oscenità”, a causa di parole come cocksucker usate durante i suoi show. Se mai è esistito un uomo che nel corso della sua breve vita è sempre andato in direzione ostinata e contraria, quell’uomo è certamente Lenny Bruce.

Lenny di Bob Fosse e Lenny secondo Albert Goldman

Noi che a quell’epoca non c’eravamo, abbiamo conosciuto Lenny Bruce grazie al film di Bob Fosse “Lenny” del 1974, interpretato da un grande Dustin Hoffman. Ma anche attraverso il libro di Albert Goldman “Ladies and Gentlemen – Lenny Bruce!!:

“Questo è stato il momento in cui un giovane comico oscuro ma in rapida ascesa di nome Lenny Bruce ha scelto di dare una delle più grandi esibizioni della sua carriera… Si immaginava un jazzista orale. Il suo ideale era di andarsene come Charlie Parker, prendere quel microfono in mano come un corno e soffiare, soffiare, soffiare tutto ciò che gli passava per la testa proprio mentre gli veniva in mente senza nulla di censurato, niente di tradotto, niente di mediato, finché era pura mente, pura testa che emetteva onde cerebrali come onde radio nelle teste di ogni uomo e donna seduti in quella vasta sala… Un punto in cui, come i praticanti della scrittura automatica, la sua lingua avrebbe superato la sua mente e avrebbe detto cose che non aveva intenzione di dire, cose che lo sorprendevano, lo deliziavano, lo facevano a pezzi, come se fosse uno spettatore della sua esibizione!”

We’re all gonna die! La “Bla bla bla” performance rifatta nel film “Lenny” con Dustin Hoffman

We’re all gonna die! raccontato da De Lillo

Per tornare al We’re all gonna die! devo invece citare un altro libro: “Underworld” di De Lillo, che, nel quinto capitolo dedicato a “frammenti degli anni cinquanta e sessanta” ci racconta il panico della nazione americana durante la crisi missilistica e la reazione del pubblico a quel “Moriremo tutti!” gridato da Lenny, un pubblico che non sa se ridere o piangere.

Da Underworld, di Don De Lillo:

22 ottobre 1962

Lenny rifece la battuta d’apertura, controllandone lo stile e il ritmo.

“Buonasera, concittadini.”

… Poi si produsse nel più stridulo dei falsetti:

“Moriremo tutti!”

Questo lo fece esplodere. Si piegò in due ridendo e sembrò che usasse il microfono come un contatore geiger, agitandolo sopra le assi del palcoscenico.

“Capito, ragazzi? JFK ha questa specie di uomo-toro russo che vuole misurarsi con lui, cazzo contro cazzo, e questo qui è uno con cui Jack non sa come comportarsi. Cosa dovrebbe dire? Mi sono scopato più debuttanti di te? Questo qui è un minatore, è uno che portava al pascolo gli animali a piedi nudi per un paio di copechi. È risaputo che ha infilato il pugno nel culo di una scrofa per fertilizzare il suo orto. Cosa dovrebbe dirgli Jack, una segretaria mi ha fatto una sega sull’ascensore della Casa Bianca? Questo è uno che caga con la porta aperta nelle occasioni ufficiali. Fa sesso con i suoi trofei di bowling.”

… E il pubblico pensava, quanto può essere reale la crisi se siamo qui in un club di Santa Monica Boulevard a spanciarci dalle risate?

“Moriremo tutti!”

… 24 ottobre 1962

…Ed ecco all’improvviso Lenny che senza nessuna presentazione, era scivolato sotto ai riflettori…

Poi si interruppe per dire: “Amatemi. È per questo che sono qui. Stasera come tutte le altre sere. Se smettete di amarmi io muoio.”

Questo non era uno dei suoi numeri. Il numero venne dopo…

“… Gesù è vissuto in Medio Oriente, fa Castro, e Gabriele dice, devi essere matto per dire stronzate del genere. Il ragazzo è napoletano. Parla con le mani. Era ebreo, dice Castro, se proprio vuoi sapere la verità. L’angelo dice, lo so che era ebreo. Un ebreo italiano. Esistono, giusto? E Castro dice, perché sto qui ad ascoltare queste idiozie? E l’angelo dice, vorresti dirmi che per tutta la vita ho creduto che Gesù ha trasformato l’acqua in vino a un matrimonio italiano e non è vero?”

… Poi si ricordò della battuta che ormai adorava. Quasi accovacciato sul palcoscenico, si mise l’impermeabile sopra la testa e si infilò il microfono praticamente in gola.

“Moriremo tutti!”

Sì, adorava questa frase… era debole e di cattivo gusto, vile e impotente, patetica ma in qualche modo anche nobile, un lungo, fragoroso grido di dolore e di pena, acuto e straziante e conteneva un elemento di dolce sfida.”

L’epidemia di Covid-19 e il grido di Lenny

Lenny Bruce, grande comico rivoluzionario e il suo grido We're all gonna die
We’re all gonna die! Lenny Bruce Photo by GEORGE KONIG/REX/Shutterstock

Ecco perché in questo periodo di epidemia, o guerra biologica che dir si voglia, periodo così difficile, surreale, ansiogeno, un po’ come se stessimo tutti aspettando Godot pur sapendo – la maggioranza di noi – che Godot alla fine non arriva, ecco perché continuo a pensare al We’re all gonna die! di Lenny Bruce, a quel grido di dolore straziante e di dolce sfida. Forse, in balcone, invece di cantare insieme l’inno italiano, dovremmo gridare:

Moriremo tutti! E poi ridere come matti, così come rideva il pubblico di Lenny.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino: carrozza a cavalli a New York, 1900

Alcuni di voi forse conoscono quella che è conosciuta come parabola del letame di cavallo. In breve, la storia è questa: fra il 1850 e il 1900 il cavallo divenne, nelle città europee e in quelle americane il mezzo di trasporto privilegiato sia per trasportare merci che esseri umani. Londra, nel 1900 aveva 11.000 carrozze trainate da cavalli, per non parlare delle migliaia di omnibus, sorta di autobus, ciascuno dei quali aveva bisogno di 12 cavalli al giorno, per un totale di ben più di 50.000 cavalli; New York, nello stesso periodo, di cavalli in giro per la città ne aveva ben 100.000.

Il letame di cavallo

Come è facile capire, tutte queste città erano ricoperte dal letame dei cavalli, letame che, fino a decenni prima veniva raccolto e rivenduto in campo agricolo, ma ormai la quantità era così ingente da non sapere più come smaltirla. Si dice che nel 1894, sul Times di Londra, un giornalista scrisse “Facendo delle semplici stime, fra 50 anni ogni strada di Londra sarà sepolta sotto 2 metri e mezzo di letame…” Nel 1898 si tenne a New York il primo convegno sul tema, convegno abbandonato dopo tre giorni dai conferenzieri per l’incapacità di trovare una soluzione al problema.

La soluzione al letame di cavallo

Come sappiamo, la soluzione arrivò dopo poco, e si chiamava automobile. La parabola del letame dei cavalli viene spesso citata da tutti quelli che si rifiutano di credere ai cambiamenti climatici e alla necessità assoluta di trovare alternative alla plastica, al petrolio, all’energia non rinnovabile e all’inquinamento in generale. Che cosa si dimenticano di dire, questi signori? Che il letame del cavallo, per quanto poco piacevole possa risultare, soprattutto all’olfatto, non ha mai rischiato di creare catastrofi naturali e non è mai stato tossico. L’automobile, invece, ha delle emissioni fortemente inquinanti, e, oggi lo possiamo dire: passare dallo smaltimento del letame a un inquinamento che uccide è stato un po’ come curarsi col cancro.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino: il cancro come cura

Cancer for the cure, EELS live

Due cose si possono desumere: la prima: il futuro non è mai prevedibile, perché sono troppe le variabili di cui non riusciamo a tenere conto; la seconda: ognuna di queste variabili ci porta inevitabilmente verso un futuro peggiore, come ci insegna un’altra parabola, quella “dell’illusione del tacchino”.

L’illusione del tacchino

Il letame di cavallo e l'illusione del tacchino

Nassim Nicholas Taleb ha scritto nel suo “The Black Swan: The Impact of the Highly Improbable” un paragrafo chiamato “turkey fallacy”:

Immaginate un tacchino che viene sfamato ogni giorno. Ogni singolo pasto rafforzerà, nel tacchino, la convinzione che è nell’ordine generale delle cose che lui venga amichevolmente sfamato ogni giorno da membri della razza umana “che cercano di fare solo i suoi interessi” come direbbe un politico. Ma il pomeriggio del mercoledì subito prima del Thanksgiving, qualcosa di inaspettato accadrà al tacchino. Finirà col rivedere le sue convinzioni.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino

E quindi noi siamo tutti finiti con l’usare il cancro come cura e, allo stesso tempo, abbiamo drasticamente dovuto rivedere le nostre convinzioni. Se prima eravamo devastati dal traffico, dalle polveri sottili, dallo smog, ora le nostre città sembrano uscite da una delle tante pubblicità di auto (dove le strade sono vuote tipo day after e l’unica auto che circola, nuova e scintillante, è la tua.)

Se prima ci affannavamo alla ricerca di un lavoro, o nel tentativo di mantenere il lavoro stesso adesso il problema non si pone più; bisogna stare a casa mentre i pochi soldi diventano sempre meno e che importa, quando li avremo finiti risponderemo al poliziotto che ci interroga su dove stiamo andando:

“Al supermercato. A rapinarlo, però” e lui, da dietro alla mascherina che noi non possediamo perché non si trova, e se riusciamo a trovarne una costa così cara che non possiamo comprarla, ci sorriderà facendoci segno che possiamo andare.

Il nostro Thanksgiving

Il tacchino siamo noi e il Covid-19 è il nostro Thanksgiving. Mister Boris Johnson, che mi è venuto in mente pensando alle fattezze del tacchino, ha detto:

“Preparatevi a perdere i vostri cari”.

Proprio come sarebbe giusto dire a tutti i tacchini nel momento stesso in cui nascono. Ma noi siamo preparati a tutto. Siamo nati pronti per la sfiga. E invece a te, Boris, cosa porterà il Thanksgiving?

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure parla delle più diffuse e condivise, in ambito scientifico, teorie su come possa realmente essere nato il Covid-19, a partire dal Coronavirus della Sars, primo a compiere il salto della specie creando un’epidemia a inizio anni zero. Le ipotesi che vi presento hanno portato molti a parlare di complotto, anti-complotto e ogni possibile derivazione, ma comunque la vogliate pensare credo che conoscerle non possa fare del male a nessuno, al contrario dei virus di cui trattano. Quando non è un fake, la conoscenza è sempre utile e necessaria.

Prima di tutto parliamo della definizione “la scienza delle forze oscure”, coniata da Don De Lillo nel suo “Underworld”, romanzo meraviglioso e capolavoro della letteratura americana contemporanea.

Coronavirus e la scienza delle forze oscure: citazioni da Underworld di De Lillo

Da Underworld:

“C’è una parola in italiano. Dietrologia*. Sarebbe la scienza di quello che sta dietro a qualcosa. A un fatto sospetto. La scienza di ciò che sta dietro a un fatto.”

“Loro hanno bisogno di questa scienza. Io non so che farmene.”

“Non so che farmene neanch’io. Te lo sto solo raccontando.”

“Io sono americano. Vado alle partite di baseball” disse.

La scienza delle forze oscure. Evidentemente loro pensano che questa scienza sia abbastanza legittima da richiedere un nome.”

“Bah. La sai una cosa? A gente che ha bisogno di una scienza del genere, potrei degnarmi di dire che noi abbiamo scienze vere, scienze difficili, e non abbiamo bisogno di scienze immaginarie.”

“Ti stavo solo dicendo la parola. Sono perfettamente d’accordo con te, Sims. Ma la parola esiste.”

“C’è sempre una parola. Probabilmente c’è anche un museo. Il Museo delle Forze Oscure. Ci tengono un milione di fotografie indistinte. Oppure la mafia l’ha fatto saltare in aria?”

*dietrologia (in italiano nel testo originale)

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: il virus Sars

Severe acute respiratory syndrome (SARS Virus), computer artwork.

Nel 2003 il biologo russo Sergei Kolesnikov espose le prime teorie su un complotto alla base del coronavirus  Sars. Lo scienziato russo negava la possibilità che il virus Sars si fosse sviluppato autonomamente perché era un mix del tutto nuovo in natura e il materiale genetico di cui si componeva era totalmente sconosciuto: tutte osservazioni che portavano a pensare al Sars come a una costruzione artificiale fatta in laboratorio. A rendere più concrete le ipotesi è stato il fatto di non essere riusciti ad individuare il focolaio del virus, e quindi una possibile prova che il virus Sars sia stato infiltrato in varie zone della Cina ed Asia. L’ipotesi di Kolesnikov fu condivisa da molti altri scienziati. Tong Zeng, cinese, sempre nel 2003, scrisse un libro dove correlava il virus Sars con una cooperazione medico-genetica fra Cina e USA avvenuta nel 1998. In quell’ambito furono raccolti dagli americani 5000 campioni di DNA di gemelli dizigoti e monozigoti di etnia cinese, presi da 22 diverse province cinesi; scopo della raccolta americana, secondo il libro, era quella di trovare le debolezze nel DNA di quelle etnie, in modo da creare un’arma biologica per colpirle.

Il Covid-19 di Wuhan

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: giochi mondiali forze armate a Wuhan
Giochi Mondiali delle Forze Armate a Wuhan, Cina, ottobre 2019

Poco prima che esplodesse la nuova epidemia in Cina, nell’ottobre 2019, si sono svolti, proprio nella provincia di Wuhan, i Giochi delle Forze Armate, con atleti provenienti da tutto il mondo. A posteriori, sono stati in molti i cinesi, fra scienziati e autori dei maggiori siti internet nazionali, ad accusare gli Stati Uniti di aver mandato non una squadra di atleti ma gli agenti di una guerra biologica; infatti le prestazioni della squadra americana nei vari sport sembra siano state, diversamente da sempre, molto deludenti e al di sotto delle aspettative generali. Inoltre la loro residenza era vicina al mercato del pesce di Huanan, dove poi si è verificato il primo focolaio ufficiale di infezione da Covid-19.

Per quanto riguarda il contro-complotto, la versione diffusa negli Stati Uniti e a Taiwan sostiene invece che sia stata la Cina a sviluppare il virus, sia per testarlo che per incolpare gli USA.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: Gain-of Function

Un’altra teoria sull’origine artificiale di questi virus non incolpa una super potenza piuttosto che un’altra ma un preciso settore della ricerca scientifica, chiamato Gain-of Function (GoF). Questo settore si occupa principalmente di creare agenti patogeni, immagino a fini bellici, con tutti i rischi che questo può comportare. Dice Il Fatto Quotidiano:

«È un campo controverso, quello della ricerca GoF, sia per la pericolosità che la creazione in laboratorio di nuovi patogeni pone, sia per la mancanza di trasparenza e di controllo da parte della società civile, specie in paesi poco trasparenti per definizione, come la Cina o la Russia. Ma anche gli Usa. Spesso si tratta di ricerche in ambito militare o secretate per questioni di sicurezza nazionale, oppure finanziate con fondi pubblici a seguito della pubblicazione di bandi, ma in assenza di una reale ed affidabile valutazione del rischio.»

Covid-19 e OMS

Pipistrello Rhinolophus, considerato dall'OMS un possibile trasmissore di Covid-19 all'uomo
I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: Pipistrello Rhinolophus

L’Organizzazione Mondiale della Sanità, invece, ha reso noto che il Covid-19 ha legami sicuri con altri coronavirus già noti, presenti nei pipistrelli Rhinolophus. Eppure, sottolinea l’Oms, la via di trasmissione agli umani resta poco chiara. Infatti se è vero che gli asiatici mangiano pipistrelli è anche vero che raramente i pipistrelli si trovano nei mercati, perché di solito vengono cacciati e subito venduti ai ristoranti. Il salto della specie, in breve, è qualcosa che in natura avviene di rado, e sempre dopo rapporti “coordinati e continuativi” fra individui vivi appartenenti alle due specie.

Al momento l’OMS sta cercando un secondo animale, responsabile, in teoria, di essere il tramite fra pipistrello e uomo, ma nessuno riesce ancora neanche ad immaginare quale possa essere l’animale transfert e quindi, chi fosse in attesa di un identikit animalesco, temo dovrà attendere.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: mille anni di armi biologiche

Solo pochi esempi: nel Medioevo i cadaveri già in decomposizione venivano gettati con le catapulte nelle aree nemiche, o abbandonati nelle riserve d’acqua per avvelenarle. Famoso l’episodio del 1347, in Crimea, dove guerrieri tartari morti, di Ganī Bek, detto anche Khan dell’Orda d’Oro, furono lanciati oltre le mura della colonia genovese di Caffa (Ucraina); dal momento che i tartari erano morti di peste, sembra che questo episodio sia stato determinante perché la peste nera raggiungesse l’Europa.

In tempi più recenti, i Tedeschi, nel 1943 attuarono un attacco biologico contro gli Alleati e l’Italia in primis, infestando la provincia di Latina con il plasmodio della malaria. La cosa che dovrebbe far riflettere, in questo frangente, è che uno dei pochi motivi positivi per cui Mussolini viene ricordato è la decantata bonifica delle paludi pontine, ma nessuno racconta mai che, subito dopo, il suo amicone Hitler le ha contaminate di nuovo.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: cinematografia

Resident Evil, 2002, con Milla Jovovich

Sono tanti, forse troppi, i film e le serie tv dove un patogeno creato da industrie para-governative sfugge al controllo e mette in atto una pandemia che uccide, sotto forma di zombie, vampiri, virus, gente impazzita la maggioranza della popolazione. Impossibile citarli tutti. Fra le serie, ovviamente The Walking Dead. Fra i film abbiamo la saga Resident Evil, presa dall’omonimo videogame, con Milla Jovovich protagonista, Contagion di Soderbergh del 2011, 28 giorni dopo di Danny Boyle, 2002, La città verrà distrutta all’alba, di George Romero, 1973, il bello e claustrofobico It comes at night, di Terry Edward Shults, Train to Busan, coreano, 2016, Rec, spagnolo del 2007 e per finire i più recenti, Light of my life, del 2019, con Casey Affleck e l’horror surreale di Jim Jarmusch I morti non muoiono sempre del 2019.

Che dire? Dove c’è tanto fumo forse c’è anche un po’ di arrosto?

Covid-19 e Sun-Tzu

Il periodo attuale, dove le nuove guerre sono principalmente economiche, mi fa pensare che, i capi delle super potenze che minacciano di usare il nucleare e ne parlano spesso, lo facciano un po’ come un illusionista che mostri una mano per nascondere l’altra con cui sta effettuando il vero trucco. Tutti sappiamo che le nuove e ben più utili armi sono altre: quelle biologiche. Perché non lasciano traccia di chi le ha create e tantomeno diffuse e perché mettono in ginocchio un paese colpendolo nella sua umanità e senza lasciare fastidiose radiazioni.

Sun-Tzu, generale e filosofo cinese vissuto quasi tremila anni fa, ha scritto un meraviglioso libro taoista, dove parla di strategia di guerra e non solo. Alcune frasi tratte dal libro dovrebbero farci riflettere.

I Coronavirus e la scienza delle forze oscure: Sun-Tzu

L’Arte della guerra di Sun Tzu

Questo appartiene a chi sferra un attacco:

“Impercettibile, quasi senza forma; misterioso, quasi senza rumore: così sei padrone del destino del nemico.”

“Induci il nemico ad assumere uno schieramento mentre tu rimani senza-forma; così sarai concentrato, lui si dividerà.”

“Finché la tua forma è nascosta il nemico rimane nel dubbio ed è costretto a dividere le truppe per controllare punti diversi.”

Questo, invece, è per chi, come noi è sotto attacco:

“Nel pieno del pericolo, i guerrieri non hanno paura e ricorrono a tutto il proprio valore. Se non c’è dove fuggire, staranno fermi; se sono impegnati fino all’ultimo, si batteranno fino all’ultimo; se non hanno alternative lotteranno”

Ridotti alla disperazione, si batteranno fino alla morte.

Coronavirus e carceri italiane

Parlando di Coronavirus e carceri italiane è impossibile non citare la famosa frase di Voltaire:

“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”

Coronavirus e carceri italiane: Voltaire diceva che  la civiltà di un paese si misura dalla condizione delle sue carceri
Voltaire di Maurice Quentin de La Tour, 1740

Metto le mani avanti: Voltaire è uno dei miei idoli e condivido quasi ciascuno dei tanti suoi scritti e delle sue lettere da cui vengono tratte citazioni eccezionali, a iniziare da quel meraviglioso:

Écrasez l’Infâmeovvero schiacciate l’infame, dove l’Infâme è il fanatismo religioso così come s’incarna nelle religioni cristiane, in particolare nel cattolicesimo e non solo.

Immagino che già da tempo Voltaire si stia ribaltando nella sua pur lussuosa tomba con statua bruttina nel Pantheon di Parigi, e non solo per essere stato messo accanto al suo antagonista Rousseau (che, a sua volta, continua a ribaltarsi agitato, anche se per altri motivi facilmente comprensibili.) Tutto quello che Voltaire ha scritto, dichiarato, per cui ha lottato strenuamente, oggi è ormai lettera morta.

Coronavirus e carceri italiane

Torniamo alle carceri italiane. Leggo da “Left” e riporto un brano di un articolo del 2018 sulle patrie galere:

Il rapporto dell’Associazione Antigone lascia pochi dubbi: nel 2017 quasi la metà dei decessi avvenuti in carcere sono suicidi (52 su 123). C’è un luogo, nella civilissima Italia, in cui il suicidio è la causa principale di morte. E quei 52 sono solo una piccola parte dei 1123 tentativi di suicidi avvenuti durante l’anno.

Ma c’è altro: diminuiscono i reati e aumentano i detenuti. Scrive bene l’Associazione Antigone: “E’ evidente come l’aumento del numero delle persone presenti nelle carceri italiane, registrato negli ultimi due anni, nulla abbia a che vedere con la questione criminalità, ma sia figlio di un sistema politico che per accrescere i propri consensi ha fatto leva sulla paura dei cittadini e agitando lo spettro della sicurezza. Elementi, questi, tipici del populismo penale e dell’utilizzo dello stesso diritto penale in senso repressivo e antigarantista, senza – come detto – nessuna efficacia nel prevenire i crimini.”

Sempre che – e questo lo aggiungo io – i crimini non siano omicidi da prima pagina, dove gli assassini diventano VIP, regalano audience a Bruno Vespa e scontano pene brevissime (vedi Franzoni, Erika di Novi Ligure, gli assassini di Marta Russo).

Carcerati privati di diritti basilari

Coronavirus e carceri italiane: rivolta a S.Vittore Photo Claudio Furlan/Lapresse 09 March 2020 Milan (Italy)

Tornando ad oggi, sotto attacco del Coronavirus, i carcerati sono stati considerati come esseri privi di qualsivoglia diritto, a iniziare dal diritto prioritario di vivere in uno stato di sicurezza almeno medica.

Infatti continuano a tenerli stipati nelle celle (altro che droplet) con poche e sporche docce e bagni, il continuo contatto con l’esterno – tramite le guardie carcerarie e i nuovi arrestati che possono, tutti, portare il virus all’interno – ma il decreto Conte gli toglie il loro unico diritto, che è quello di incontrare i parenti.

Provate a mettervi al loro posto: non vi incazzereste come hanno fatto loro? Non fareste anche voi una rivolta, visto che in questo mondo solo con la forza e la morte i deboli possono farsi ascoltare? Non sembra più che ragionevole la loro richiesta di scarcerazione, almeno per chi ha commesso reati minori, vista l’emergenza?

Coronavirus e carceri italiane: rivolte negli istituti di pena

Rivolta nel carcere di Foggia

Mentre scrivo sono 27 le carceri italiane in cui sono scoppiate rivolte. Una quindicina di detenuti sono saliti per protesta sul tetto di San Vittore a Milano, dove hanno appeso uno striscione con scritto “Indulto” e acceso un piccolo rogo. I detenuti hanno posto ai magistrati una serie di richieste riguardo al sovraffollamento del carcere, le norme sulla recidiva, i domiciliari, i permessi, le misure alternative al carcere e il trattamento dei tossicodipendenti.

Sale a sei il numero di detenuti morti dopo la rivolta di domenica 8 marzo all’interno della casa circondariale di Modena. Un altro detenuto sembra sia in fin di vita. Carabinieri in assetto anti-sommossa sono stati inviati per sedare la rivolta, cosa che ha provocato una vera e propria guerriglia.

All’Ucciardone di Palermo alcuni detenuti per protesta hanno tentato di rompere la recinzione del carcere, nel tentativo di fuggire. A Foggia una ventina di persone sarebbe evasa mentre una trentina è stata bloccata nelle immediate vicinanze dalle forze di polizia. “Vogliamo l’indulto e l’amnistia, non possiamo stare così con il rischio del Coronavirus. Noi viviamo peggio di voi, viviamo all’inferno”, sono state alcune delle rivendicazioni dei detenuti foggiani, secondo quanto riferito da uno di loro durante le rivolte.

Gravi disordini anche a Rebibbia a Roma, dove – oltre a bruciare materassi – alcuni reclusi avrebbero assaltato le infermerie. Sono sicura che alla fine, queste rivolte rientreranno, perché i carcerati, al contrario di chi carcerato non è, sono abituati a vivere nell’emergenza e imparano ad essere responsabili.

I veri irresponsabili

Chi non impara e non vuole imparare ad essere responsabile, invece, sono molti fra i giornalisti televisivi e le persone da loro intervistate. Ho appena visto su Sky Tg24, la dottoressa Flavia Petrini, professore straordinario per Rianimazione e Terapia Intensiva dell’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti, nonché Presidente Società rianimazione, anestesia e terapia intensiva, dichiarare, sull’emergenza Coronavirus:

Chiediamo agli influencer di aiutarci. Crediamo possano essere molto utili. E d’altra parte se i nostri giovani hanno seguìto così tanto Greta Thumberg e le Sardine, perché non fargli ascoltare gli influencer?

D.sa Flavia Petrini: “Aiuto, influencer! Salvateci dal virus”

Ora, a parte la semplice constatazione che un influencer, filologicamente, è uno che l’influenza la porta e non la leva, cosa dire a questa Petrini, così in alto nella gerarchia accademica chietina ma così in basso nelle capacità di sintesi, riflessione e comprensione del mondo? Che Thumberg e Sardine non sono fashion influencer? Che se per salvarci dal virus abbiamo bisogno della Ferragni e delle sue brutte copie, allora è meglio suicidarci tutti subito? E per finire: Padre, perdonala, perché non sa quello che dice.

Cosa chiedere invece all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti? Mandate a casa la dottoressa Petrini, signori miei, fatelo per il bene della nazione.

Lo stesso che dovremmo dire a politici e ministri di Interno e Giustizia: Rimandate a casa tutti quei carcerati colpevoli di piccoli reati. Perché visto che la legge non è uguale per tutti, facciamo che lo sia almeno l’epidemia.

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