“Nel corridoio del tempo ci sono demoni, o forse animali. Vivono nello spazio, al di fuori del tempo, ma cercano sempre una via d’accesso. Sembrano gatti, grossi gatti blu, solo che invece di giocare coi topi giocano col tempo. E lo divorano”

Jean Paul Galibert, filosofo e scrittore francese ha scritto un saggio intitolato “I cronofagi. I 7 principi del capitalismo” (Stampa Alternativa, 2015). Nel suo saggio ci spiega come l’ipercapitalismo appaia, sempre di più, come un progetto di dominazione dell’insieme del mondo, facendo in modo che la redditività sia il principio, la causa unica e il solo criterio dell’essere e del non essere. Maestro nell’arte sottile di vendere il niente e il nulla al prezzo del reale, l’ipercapitalismo tenta la conquista dell’esistenza nella sua totalità. Galibert è stato il primo a definire la “cronofagìa” come uno dei princìpi dell’ipercapitalismo contemporaneo, in cui la risorsa scarsa, dopo il capitale, diventa il nostro tempo.
Divoratori di tempo: Cronofagìa di Davide Mazzocco
Partendo da questo breve ma illuminante saggio, il giornalista Davide Mazzocco ha scritto “Cronofagìa” (D Editore, 2019), dove spiega il suo intento fin dalle prime righe:
“La storia dell’umanità è contraddistinta da un insopprimibile istinto predatorio. Si tratta di una caratteristica che ci accomuna a un’infinità di specie animali che necessitano di cacciare per il proprio sostentamento. … Queste pagine, però non vogliono descrivere la predazione nella sua forma istintiva, perché questa è materia per psicologi ed etologi. Questo libro vuole, molto più semplicemente, mostrare le dinamiche, le strategie e le sovrastrutture con le quali i poteri politico ed economico depredano le masse del loro tempo.“

Mazzocco, con una capacità rara di spiegare con parole semplici ciò che semplice non è, torna sul saggio di Galibert: l’ipercapitalismo è riuscito a fare in modo che lo sfruttamento del tempo libero possa apparire come la giusta ricompensa dello sfruttamento del lavoro. Infatti, tutti coloro che sono sfruttati al lavoro vorranno essere sfruttati come consumatori.
In pratica, quello compiuto dai cronofagi è una sorta di miracolo di riprogrammazione delle menti.
Divoratori di tempo: Naomi Klein e Marshall Mc Luhan
Già la giornalista e attivista canadese Naomi Klein, nel suo famosissimo libro “No Logo”, pubblicato nel 2000, aveva previsto: i prodotti che si svilupperanno in futuro saranno quelli presentati non come “merci” ma come concetti. Di conseguenza, le aziende che venderanno meglio saranno quelle capaci di infondere significato agli oggetti apponendovi semplicemente il proprio nome; la Apple, ad esempio, che è riuscita addirittura a rendere il suo creatore, Steve Jobs, alla stregua d’un guru. E andando ancora più indietro nel tempo, non possiamo evitare di far riferimento a Marshall Mc Luhan, anche lui canadese, sociologo, filosofo e professore, autore, negli anni ’60, della celebre teoria “Medium is the message”, mai rivelatasi tanto attuale quanto in questo periodo. Mc Luhan, da “Gli strumenti del comunicare”:
“Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un’azienda privata o dare in monopolio a una società l’atmosfera terrestre.”
Chi controlla il presente controlla il passato: George Orwell “1984”
Come ricorda Mazzocco, per la propaganda il tempo è il presente eterno e indistinto dell’urgenza e dello schieramento. E per l’ipercapitalismo cronofago l’unico tempo utile è il tempo presente. La percezione della realtà è diventata praticamente la stessa di quella che il Grande Fratello di George Orwell in “1984” imponeva ai cittadini:
“Il partito diceva che l’Oceania non era mai stata alleata dell’Eurasia. Lui, Winston Smith, sapeva che appena quattro anni prima l’Oceania era stata alleata dell’Eurasia. Ma questa conoscenza, dove si trovava? Solo all’interno della sua coscienza, che in ogni caso sarebbe stata presto annientata. E se tutti quanti accettavano la menzogna imposta dal partito, se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera. “Chi controlla il passato” diceva lo slogan del partito “controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”

Il regime immaginato da Orwell utilizzava il Ministero della Verità per negare il passato, per poi negare ciò che aveva negato e negare il tutto ancora e ancora e ancora, in una sorta di negazione in progress, senza fine. Attività fondamentale, per il potere economico e politico di quasi tutti i tempi, ma più che mai nel tempo attuale, in modo da non doversi mai assumere nessuna responsabilità. E grazie a questa damnatio memoriae: la causalità viene sostituita dalla casualità: ciò che è prevedibile (un ponte che crolla, un territorio che si allaga, un villaggio distrutto da un terremoto, migliaia di abitazioni contaminate dall’amianto) viene trasformato dalla retorica della politica e del mercato in un evento imprevedibile, frutto del caso, autonomi rispetto all’ordine cronologico degli eventi (da Mazzocco, “Cronofagìa”).
Potere vuol dire infliggere dolore e umiliazione
Per comprendere in che modo una esigua minoranza di popolazione riesca a tenere sotto scacco tutti gli altri, dobbiamo ancora ricorrere al capolavoro di Orwell:
“Il vero potere, il potere per il quale dobbiamo lottare notte e giorno, non è il potere sulle cose ma quello sugli uomini”. Si interruppe e per un attimo riprese quell’aria da maestro che interroga uno scolaro promettente: “Winston, come fa un uomo a esercitare il potere su un altro uomo?”
Winston rifletté: “Facendolo soffrire” rispose.
“Bravo, facendolo soffrire. Non è sufficiente che ci obbedisca. Se non soffre, come facciamo a essere certi che non obbedisca alla nostra volontà ma alla sua? Potere vuol dire infliggere dolore e umiliazione. Potere vuol dire ridurre la mente altrui in pezzi che poi rimetteremo insieme nella forma che più ci parrà opportuna. … Un mondo fatto di paura e tradimento, di tormento, un mondo nel quale si calpesta e si viene calpestati, un mondo che, nel perfezionarsi, diventerà sempre più spietato…”
… “Non so come e neanche m’importa, ma non riuscirete nel vostro intento. Qualcosa vi distruggerà. La vita vi sconfiggerà.”
“Noi, Winston, controlliamo la vita a tutti i suoi livelli. Tu immagini che esista qualcosa come la natura umana che si sentirebbe oltraggiata da quello che noi facciamo e che si ribellerà contro di noi. Ma siamo noi, a crearla, questa natura umana. Gli uomini possono essere manipolati in tutti i modi … Se è vero che sei un uomo, Winston, tu sei l’ultimo uomo. La tua specie si è estinta e noi ne siamo gli eredi. Non capisci che sei solo? Tu sei fuori dalla storia, tu non esisti.”
Queste le parole del torturatore e potente nemico dello sfortunato eroe Winston Smith: la rappresentazione e personificazione del Potere, del Regime, l’uomo che fa torturare Winston non perché pensi che il ragazzo abbia qualcosa da rivelare (sa già tutto di Winston, forse anche più dello stesso Winston) ma solo perché Potere vuol dire infliggere dolore e umiliazione.
I’ll stay home forever, where 2 and 2 always makes 5
La domanda che il torturatore continua a porre a Winston è “Quanto fa 2+2?” pretendendo che lui risponda “5”. Quando il povero Winston, stremato dalla tortura, risponde finalmente “5”, il torturatore non è ancora soddisfatto. Perché non basta che risponda che 2+2 fa 5: deve credere che 2+2 faccia 5.
“I’ll stay home forever, where two and two always makes five” cantavano, non a caso, i Radiohead nell’album “Hail to the thief”, del 2003, più di diciassette anni fa, e da allora, l’ipercapitalismo ha davvero fatto passi da gigante: ormai non ha più bisogno di torturare, perché ha infine trovato il modo di far credere alla stragrande maggioranza della gente che due più due sia davvero equivalente a cinque.
Divoratori di tempo: Primo Step
E quindi come sono riusciti, negli ultimi venti anni, i nostri Masters and Commanders a farci fare quello che vogliono senza usare la forza in modo troppo evidente? Immagino siano partiti da un primo step: con buona pace delle battaglie per la riduzione dell’orario, iniziate nel lontano 1800, tutto è radicalmente cambiato con la grande crisi economica del 2008. L’improvvisa carenza di lavoro, i licenziamenti, le famiglie in mezzo a una strada, tutto questo ha fatto sì che, chi ancora detenesse un lavoro o chi fosse riuscito a trovarne uno, pur di tenerselo stretto, avrebbe finito con l’autocensurarsi: se il rischio è quello di accrescere la schiera di chi non è più in grado di pagare le bollette, meglio evitare di fare gli schizzinosi e quindi sì, lavorare il doppio per la stessa paga che prima avresti ricevuto per la metà del tempo.
Correre per restare fermi: Alice di Lewis Carroll nel giardino della Regina Rossa
Nessun libro può farci capire questo concetto meglio di “Alice through the looking glass”, di Lewis Carroll, capolavoro assoluto e insuperabile:
Alice non riuscì mai a capire, ripensandoci in seguito, come avevano cominciato: ricordava solo che correvano tenendosi per mano, e la Regina andava così veloce che al massimo lei riusciva a tenerne il passo: e la Regina continuava a gridare: “Più svelta! Più svelta!”, ma Alice sentiva di non poter correre più di così, e le mancava perfino il fiato per dirlo.
… La Regina l’appoggiò contro un albero e disse in tono gentile: “Ora puoi riposarti un poco”.
Alice si guardò intorno molto sorpresa. “Ehi, ma secondo me siamo state tutto il tempo sotto quest’albero! È tutto esattamente come era prima!”
“Certo” disse la Regina “Perché, come dovrebbe essere?”
“Be’, al paese nostro” disse Alice, sempre con un po’ di fiatone “in genere si arriva in un altro posto… se si corre per tanto tempo come abbiamo fatto noi”.
“Che paese lento!” disse la Regina “Qui, invece, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte devi correre almeno il doppio”.
Quindi, primo step: farci correre più che possiamo solo per restare fermi.

Divoratori di tempo: Secondo Step
Secondo step: ricavare denaro anche – e soprattutto – dal nostro riposo, e rendere sempre meno libero il nostro tempo libero. Ma inconsapevolmente, si capisce: 2+2 deve sempre essere uguale a 5. I modi in cui l’ipercapitalismo divora il nostro tempo sono vari: la burocrazia, che, al contrario di ciò che ci viene raccontato, aumenta esponenzialmente con la crescita della tecnologia; gli ipermercati, costruiti scientemente come veri e propri labirinti dove nemmeno Arianna potrebbe aiutarti a trovare la strada, in modo che, girando e girando alla ricerca dello scaffale dei tostapane, le persone vedano altre cose non necessarie ma appetibili e finiscano per acquistarle. Una delle cose più tristi degli ultimi dieci anni: quelle famiglie, sempre più numerose, che la domenica, invece di andare in campagna o al mare vanno a passare la giornata da Ikea.
Ma quello che ha spostato il confine da capitalismo a ipercapitalismo cronofago è stata la creazione della nuova internet, quella dei social media e degli smartphone, ma anche la televisione dei realities e delle serie TV. Il Ceo di Netflix, nel 2017, ha detto:
“Quando guardi uno spettacolo di Netflix e ne diventi dipendente rimani sveglio fino a tarda notte. Alla fine siamo in competizione con il sonno ed è una grande quantità di tempo.”
Lavoriamo tutti per Mark Zuckerberg
Come dice Davide Mazzocco: “Lavoriamo per Mark Zuckerberg con la stessa passione che riserviamo ai nostri hobby, ma con una continuità assolutamente inedita nella storia dell’umanità. Siamo i nodi di un reticolo di due miliardi e 270 milioni di persone, mittenti e destinatari di messaggi pubblici e privati che alimentano un gigantesco Leviatano che si nutre di dati. In soli cinque anni i minuti spesi sugli account social è aumentato del 50%.”
Il capitalismo digitale si è rivelato infinitamente più aggressivo e infestante di quello analogico, e se può permettersi di esserlo non dipende tanto dal fatto che i CEO delle varie piattaforme vestano in felpa e sneakers comportandosi come rockstar, ma principalmente perché i servizi che offrono risultano gratuiti. Anche se in realtà non lo sono. Si nutrono del nostro tempo, e il vecchio detto capitalista “il tempo è denaro” non è mai stato tanto vero quanto adesso.
Divoratori di tempo: Harlan Ellison e “L’Uomo del Tic-Tac”

Come spesso capita, la fantascienza migliore raramente ci aiuta a comprendere il cosmo, ma spesso ci aiuta a capire il nostro mondo. Harlan Ellison, grande scrittore sci-fi, ha scritto nel 1965 un racconto gioiello che parla di un futuro in cui il tempo diviene il fattore principale attorno a cui ruota ogni vita, tanto che il Sistema mette a propria salvaguardia l’Uomo del Tic-Tac, per controllare che i cittadini rispettino i tempi previsti dal regime, fino al centesimo di secondo, per ogni attività, senza ritardare o sforare nemmeno di pochi attimi. Un po’ come il torturatore di 1984, l’Uomo del Tic-Tac ha il potere di terminare, ovvero di mandare a morte, chi si sia macchiato del reato di tempo ritardato o tempo sprecato o tempo mal dosato.
Da “Pentiti, Arlecchino, disse l’Uomo del Tic-Tac”:
Persino negli ambienti della Gerarchia, dove la paura veniva generata, di rado subita, veniva chiamato l’Uomo del Tic-Tac. Ma nessuno lo chiamava così al cospetto della sua maschera.
Non si chiama un uomo con un nome odiato, quando quell’uomo, dietro la sua maschera, è capace di revocare i minuti, le ore, i giorni e le notti, gli anni della vostra vita. Era chiamato Maestro Cronometrista, in sua presenza. Era meno pericoloso.
“Questo è ciò che è — disse l’Uomo del Tic-Tac con autentica dolcezza. — Ma non chi è. La scheda oraria che tengo nella mano sinistra reca impresso un nome, ma è il nome di ciò che è, non chi è. Questa cardiolastra che tengo nella mano destra reca pure impresso un nome, ma di ciò che è nominato, non di chi. Prima di poter operare una regolare revoca, debbo sapere chi è.”
Ai suoi collaboratori, tutti i furetti, tutti i confidenti, tutti gli spioni, tutti gli informatori, persino i commessi, disse: — Chi è questo Arlecchino?
Non faceva le fusa. Dal punto di vista del tempo, strideva.
Per fortuna nel futuro immaginato da Harlan c’è un ribelle assoluto, un personaggio anarchico e romantico, l’incarnazione della vera disobbedienza al regime; non a caso il racconto inizia con una lunga citazione da “Disobbedienza civile” di Thoreau. L’eretico, che si fa chiamare Arlecchino, è solo il primo tassello instabile che potrebbe mandare il sistema in cascata trofica:
“Il Sistema era stato turbato per sette minuti. Era una cosa da poco, appena degna di nota, ma in una società in cui l’unica forza motrice erano l’ordine e l’unità e la prontezza e la precisione cronometrica e la devozione all’orologio, la venerazione per gli dei del tempo che passava, era un disastro di tremenda importanza.”
Divoratori di tempo: In Time di Andrew Niccol
Da questo bellissimo racconto ha preso ispirazione il film del regista e sceneggiatore Andrew Niccol, “In Time” del 2011. Harlan Ellison, che nel 2011 era ancora vivo, deve aver pensato che Niccol sia andato ben oltre alla semplice ispirazione, tanto da portarlo in causa per plagio. Ma, comunque sia, il film racconta un futuro in cui gli esseri umani sono programmati per vivere solo fino a 25 anni. Un vero e proprio timer installato nel braccio fa partire, a quel punto, un conto alla rovescia che porterà automaticamente alla morte di lì a un anno. A meno che non ci si riesca a procurare, in qualche modo, tempo ulteriore: i timer diventano come conti bancari elettronici, in cui si versa o da cui si preleva valuta, solo che la valuta di “In Time” è il tempo. Per cui ci sono i ricchi che hanno anche milioni di anni da vivere (lo sviluppo fisico si arresta a 25 anni e non si invecchia) e i poveri – neanche a dirlo, la stragrande maggioranza – sono costretti a lavorare come schiavi per non doversi vendere anche quei pochi mesi che li separano dalla morte.
Dal dialogo fra un uomo ricco ma stanco di vivere e il protagonista, povero e inconsapevole prende avvio la storia:
Henry Hamilton: Arriva un giorno in cui ne hai abbastanza. La mente può essere esaurita anche se il corpo non lo è, e vogliamo morire, dobbiamo farlo.
Will Salas: È questo il tuo problema? Hai vissuto troppo a lungo? Hai mai conosciuto qualcuno che è morto?
Henry Hamilton: Per pochi immortali la maggioranza deve morire.
Will Salas: Questo che significa?
Henry Hamilton: Tu proprio non lo sai, vero? Non possono vivere tutti in eterno, dove li metteremmo? Perché esistono le zone orarie? Perché credi che le tasse e i prezzi aumentino nello stesso giorno nel ghetto? Il costo della vita aumenta per far sì che la gente continui a morire o non esisterebbero uomini con milioni di anni e altri che vivono alla giornata. Ma la verità è che ce ne sarebbe per tutti, nessuno deve morire prima del tempo. Se tu avessi tanto tempo quanto ne ho io su quell’orologio, che cosa faresti?
L’ultima frontiera, quella del sonno
Già, che cosa faremmo di noi stessi e del nostro tempo se fossimo immortali come Zuckerberg, come Bezos, come Bill Gates e come gli altri ultramiliardari di tutto il mondo, gente per cui potere e denaro sono diventati peggio, molto peggio di una forte dipendenza da oppiacei? Impossibile rispondere, mentre al contrario, quello che fanno loro è molto evidente: far correre gli altri il doppio, il triplo, il quadruplo, solo perché lo status quo possa rimanere fermo. E l’ultima frontiera che gli resta da azzerare è solo quella del sonno.
Davide Mazzocco ci parla del passero dalla corona bianca: uccello migratore che in autunno vola dall’Alaska sino al Messico, per poi compiere il tragitto inverso in primavera, e durante la migrazione può rimanere in stato di veglia per una settimana. Il Dipartimento statunitense della Difesa ha studiato a lungo i meccanismi che permettono a questi uccelli di rimanere svegli e attivi così a lungo.

Ovviamente il loro obiettivo è la creazione di soldati liberi dall’esigenza del sonno. E una volta creati i soldati, poi sarebbe facile forgiare, su quel modello, un nuovo genere di lavoratori e consumatori senza sonno.
Perché, per il capitalismo cronofago il tempo del sonno è una nicchia di resistenza non ancora mercificata, e quindi va ridotta al massimo se non eliminata del tutto.
Divoratori di tempo: ipercapitalismo e pandemie
A forza di attentare al sonno, il ritmo circadiano collassa, fra noi poveri umani cresce l’ansia e l’insonnia e la capacità di dormire diventa una merce. Acquistabile come tutte le altre. Vuoi dormire? Comprati benzodiazepine, sonniferi di vario genere, oppiacei, alcool e credimi: dormirai…
Ma, a noi miseri mortali, con pochi mesi nell’orologio-timer e pochi soldi nell’orologio-banca, che già da tempo lavoriamo gratis per Zuckerberg e per Google, sempre più maltrattati, sfruttati, umiliati e confusi, quale opzione rimane nel disperato tentativo di salvare i nostri figli, se non noi stessi, da questo mondo fatto di paura e tradimento, di tormento, un mondo nel quale si calpesta e si viene calpestati, un mondo che, nel perfezionarsi, diventerà sempre più spietato?
Potremmo attendere pazientemente l’avverarsi della profezia di Marx, secondo cui il capitalismo dovrebbe finire per collassare su se stesso. Ma l’attuale ipercapitalismo sembra capace di mutare come un retrovirus, e, come un coronavirus, portare al mondo una pandemia che sembra creata ad arte per rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri e disperati sempre più poveri e disperati.
Rallentare, rallentare, rallentare
Io temo che la sola possibilità che ci rimanga contro un Sistema che vuole farci correre, consumare ogni attimo del nostro tempo e infine buttarci in qualche discarica come fossimo batterie o pile non più ricaricabili, sia, al momento, quella di rallentare, rallentare e ancora rallentare i nostri ritmi in una sorta di resistenza passiva.

Da Milan Kundera, “La Lentezza”:
“Aspetta un momento.”
Voglio contemplare ancora il mio cavaliere che si dirige lentamente verso la carrozza. Voglio assaporare il ritmo dei suoi passi: più egli avanza, più questi rallentano. In questa lentezza mi sembra di riconoscere un segno di felicità.
… Senza domani.
Senza pubblico.
Ti prego, amico mio, sii felice. Ho la vaga impressione che dalla tua capacità di essere felice dipenda la nostra unica speranza.
ASPETTA UN MOMENTO.