Parlando di Coronavirus e carceri italiane è impossibile non citare la famosa frase di Voltaire:
“Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”

Metto le mani avanti: Voltaire è uno dei miei idoli e condivido quasi ciascuno dei tanti suoi scritti e delle sue lettere da cui vengono tratte citazioni eccezionali, a iniziare da quel meraviglioso:
“Écrasez l’Infâme” ovvero schiacciate l’infame, dove l’Infâme è il fanatismo religioso così come s’incarna nelle religioni cristiane, in particolare nel cattolicesimo e non solo.
Immagino che già da tempo Voltaire si stia ribaltando nella sua pur lussuosa tomba con statua bruttina nel Pantheon di Parigi, e non solo per essere stato messo accanto al suo antagonista Rousseau (che, a sua volta, continua a ribaltarsi agitato, anche se per altri motivi facilmente comprensibili.) Tutto quello che Voltaire ha scritto, dichiarato, per cui ha lottato strenuamente, oggi è ormai lettera morta.
Coronavirus e carceri italiane
Torniamo alle carceri italiane. Leggo da “Left” e riporto un brano di un articolo del 2018 sulle patrie galere:
“Il rapporto dell’Associazione Antigone lascia pochi dubbi: nel 2017 quasi la metà dei decessi avvenuti in carcere sono suicidi (52 su 123). C’è un luogo, nella civilissima Italia, in cui il suicidio è la causa principale di morte. E quei 52 sono solo una piccola parte dei 1123 tentativi di suicidi avvenuti durante l’anno.
Ma c’è altro: diminuiscono i reati e aumentano i detenuti. Scrive bene l’Associazione Antigone: “E’ evidente come l’aumento del numero delle persone presenti nelle carceri italiane, registrato negli ultimi due anni, nulla abbia a che vedere con la questione criminalità, ma sia figlio di un sistema politico che per accrescere i propri consensi ha fatto leva sulla paura dei cittadini e agitando lo spettro della sicurezza. Elementi, questi, tipici del populismo penale e dell’utilizzo dello stesso diritto penale in senso repressivo e antigarantista, senza – come detto – nessuna efficacia nel prevenire i crimini.”
Sempre che – e questo lo aggiungo io – i crimini non siano omicidi da prima pagina, dove gli assassini diventano VIP, regalano audience a Bruno Vespa e scontano pene brevissime (vedi Franzoni, Erika di Novi Ligure, gli assassini di Marta Russo).
Carcerati privati di diritti basilari

Tornando ad oggi, sotto attacco del Coronavirus, i carcerati sono stati considerati come esseri privi di qualsivoglia diritto, a iniziare dal diritto prioritario di vivere in uno stato di sicurezza almeno medica.
Infatti continuano a tenerli stipati nelle celle (altro che droplet) con poche e sporche docce e bagni, il continuo contatto con l’esterno – tramite le guardie carcerarie e i nuovi arrestati che possono, tutti, portare il virus all’interno – ma il decreto Conte gli toglie il loro unico diritto, che è quello di incontrare i parenti.
Provate a mettervi al loro posto: non vi incazzereste come hanno fatto loro? Non fareste anche voi una rivolta, visto che in questo mondo solo con la forza e la morte i deboli possono farsi ascoltare? Non sembra più che ragionevole la loro richiesta di scarcerazione, almeno per chi ha commesso reati minori, vista l’emergenza?
Coronavirus e carceri italiane: rivolte negli istituti di pena

Mentre scrivo sono 27 le carceri italiane in cui sono scoppiate rivolte. Una quindicina di detenuti sono saliti per protesta sul tetto di San Vittore a Milano, dove hanno appeso uno striscione con scritto “Indulto” e acceso un piccolo rogo. I detenuti hanno posto ai magistrati una serie di richieste riguardo al sovraffollamento del carcere, le norme sulla recidiva, i domiciliari, i permessi, le misure alternative al carcere e il trattamento dei tossicodipendenti.
Sale a sei il numero di detenuti morti dopo la rivolta di domenica 8 marzo all’interno della casa circondariale di Modena. Un altro detenuto sembra sia in fin di vita. Carabinieri in assetto anti-sommossa sono stati inviati per sedare la rivolta, cosa che ha provocato una vera e propria guerriglia.
All’Ucciardone di Palermo alcuni detenuti per protesta hanno tentato di rompere la recinzione del carcere, nel tentativo di fuggire. A Foggia una ventina di persone sarebbe evasa mentre una trentina è stata bloccata nelle immediate vicinanze dalle forze di polizia. “Vogliamo l’indulto e l’amnistia, non possiamo stare così con il rischio del Coronavirus. Noi viviamo peggio di voi, viviamo all’inferno”, sono state alcune delle rivendicazioni dei detenuti foggiani, secondo quanto riferito da uno di loro durante le rivolte.
Gravi disordini anche a Rebibbia a Roma, dove – oltre a bruciare materassi – alcuni reclusi avrebbero assaltato le infermerie. Sono sicura che alla fine, queste rivolte rientreranno, perché i carcerati, al contrario di chi carcerato non è, sono abituati a vivere nell’emergenza e imparano ad essere responsabili.
I veri irresponsabili
Chi non impara e non vuole imparare ad essere responsabile, invece, sono molti fra i giornalisti televisivi e le persone da loro intervistate. Ho appena visto su Sky Tg24, la dottoressa Flavia Petrini, professore straordinario per Rianimazione e Terapia Intensiva dell’Università degli Studi Gabriele D’Annunzio di Chieti, nonché Presidente Società rianimazione, anestesia e terapia intensiva, dichiarare, sull’emergenza Coronavirus:
“Chiediamo agli influencer di aiutarci. Crediamo possano essere molto utili. E d’altra parte se i nostri giovani hanno seguìto così tanto Greta Thumberg e le Sardine, perché non fargli ascoltare gli influencer?”

Ora, a parte la semplice constatazione che un influencer, filologicamente, è uno che l’influenza la porta e non la leva, cosa dire a questa Petrini, così in alto nella gerarchia accademica chietina ma così in basso nelle capacità di sintesi, riflessione e comprensione del mondo? Che Thumberg e Sardine non sono fashion influencer? Che se per salvarci dal virus abbiamo bisogno della Ferragni e delle sue brutte copie, allora è meglio suicidarci tutti subito? E per finire: Padre, perdonala, perché non sa quello che dice.
Cosa chiedere invece all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti? Mandate a casa la dottoressa Petrini, signori miei, fatelo per il bene della nazione.
Lo stesso che dovremmo dire a politici e ministri di Interno e Giustizia: Rimandate a casa tutti quei carcerati colpevoli di piccoli reati. Perché visto che la legge non è uguale per tutti, facciamo che lo sia almeno l’epidemia.