Covid-19: Predatori o Salvatori?

Durante e dopo il Covid-19: Predatori o Salvatori? Se la storia ci ha insegnato qualcosa – e sottolineo se – è che, nel corso del tempo ogni tanto ci si imbatte in un bivio, e chi ha in sorte la sfortuna di essere al mondo in quel preciso periodo deve scegliere. Non sempre è possibile rimanere a guardare, starsene alla finestra da spettatore. Ci sono volte in cui, per forza si deve scegliere. Come nel famoso bivio di Robert Frost nella poesia “The road not taken”:

Two roads diverged in a wood, and I —
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.

Nel 1917, nella Russia non ancora sovietica, Lenin e Trotsky iniziarono la loro offensiva armata a febbraio, e ai primi di novembre riuscirono a prendere Pietrogrado e formare un governo rivoluzionario. A quel punto iniziò una lunga e sanguinosa guerra civile, che terminò dopo qualche anno con la vittoria di Lenin e della rivoluzione. Nel corso di quegli anni non era concesso stare a guardare: ti dovevi schierare, con una parte o con l’altra e combattere, in un modo o nell’altro, per sostenere la tua scelta. Spesso anche morire per essa.

Covid-19: Predatori o Salvatori?

Tutte le rivolte e le guerre di qualsiasi genere non avvengono mai per motivi morali o etici né, tantomeno, religiosi, ma sempre e solo in un’ottica economica. Nel famoso Boston Tea Party del 1773, ad esempio, per lottare contro le tasse sempre più pesanti e le decisioni sempre più impopolari che gli inglesi avevano imposto alle loro tredici colonie, gli attivisti americani di Sons of Liberty, sponsorizzati dai commercianti americani di tè di fatto tagliati fuori dal loro business, si travestirono da nativi Mohawk e si imbarcarono sulle navi inglesi ancorate a Boston. Una volta a bordo, buttarono le tante e preziose casse piene di tè in mare. In un Party come quello ti dovevi schierare: o con gli inglesi o con gli americani. Non potevi fare altrimenti, dovevi per forza scegliere e spesso pagarne il prezzo con la vita.

Covid-19: Predatori o Salvatori?Litografia a colori su Boston Tea Party dicembre 1773
The Boston Tea Party, 16th December 1773 (colour litho); Private Collection;

Predatori o Salvatori? Nel bosco di Robert Frost

Adesso il Covid-19 ci ha portati di nuovo nel bosco di Robert Frost con due strade fra cui scegliere, anche se molti ancora non se ne sono accorti. Una cosa è sicura: da dovunque provenga il virus, in ogni caso è il frutto di un mondo malato. E se il mondo è malato la sua economia è addirittura terminale, da ben prima di questa pandemia. Noi umani siamo come formiche Siafu, considerate il predatore più mortale di tutta l’Africa, capaci di uccidere oltre un milione di prede al giorno. Si muovono in colonie di venti milioni di individui, proprio come noi. Solo che loro sono più piccole.

Covid-19: Predatori o Salvatori? Formiche Siafu

Gli ultimi quaranta anni, che hanno spinto il piede sull’acceleratore del capitalismo fino a trasformarlo in ipercapitalismo, hanno creato: pochi uomini ultramiliardari e miliardi di gente a cui manca tutto, a iniziare da cibo e farmaci; diversi lavoratori privilegiati, che si godono il loro lavoro interessante, poco faticoso e molto ben pagato, ottenuto, di solito, grazie a nepotismo o politica, a fronte di moltissimi lavoratori che si ammazzano dalla fatica in attività alienanti, con turni infiniti per uno stipendio ridicolo; un numero impressionante di disoccupati, o di gente che deve arrangiarsi lavorando in nero; la specie umana cresciuta di numero in modo mostruoso e infestante, perché se è vero che “compro, quindi sono”, è ugualmente vero che “se sono, compro”, dunque più persone nascono, vivono e muoiono, e più i “mercati” guadagnano. Come conseguenza di tutto questo abbiamo inquinamento, cambiamenti climatici, miseria, disperazione e per finire, malattia e contagio.

Scegliere la vecchia strada?

Il bivio in cui ci troviamo adesso è il seguente: continuare sulla strada di prima, tenendoci stretti i nostri piccoli o grandi orticelli, continuando a invadere, prevaricare, togliere terreno e vita alle altre creature organiche, stuprare il pianeta con tutto ciò che contiene, noi compresi, come veri Predatori. Cercate di capire: fare qualche donazione qua e là non vi renderà meno Predatori. Dire “io sono di sinistra” mentre continuate a vivere da ricchi e intanto, intorno a voi, la gente non ha più casa, né lavoro, né soldi per cibo o bollette. Se sceglieremo la strada di prima, quella più battuta, allora prepariamoci: ci saranno altre pandemie, ci sarà una recessione al cui confronto la recessione del 2008 sembrerà un’oasi di pace, ci saranno guerre combattute in tanti modi diversi, lotte, rivolte, massacri, stermini e il mondo e l’apocalisse saranno una sola cosa. In compenso, quelli che possono, balleranno e brinderanno nelle loro belle ville così come facevano i passeggeri del Titanic mentre la nave aveva già colpito l’iceberg

Covid-19: scegliere la strada meno battuta

Oppure, potremmo prendere la strada meno battuta. Fare marcia indietro, su tutto. Rinunciare ai privilegi, ai super stipendi, alle maxi pensioni, ai vitalizi, ai conti in banca milionari, a possedere più case e a tutte quelle stronzate che vi comprate coi soldi senza che questo iper consumismo vi regali nemmeno un po’ di gioia. Fare in modo che per i nostri figli si parli sempre e solo di meritocrazia e mai di nepotismo, cambiare la nostra routine, il nostro sistema economico dalle fondamenta, dimenticare il nostro insensato “way of life”, cancellare l’avidità, dividere quello che abbiamo con chi ha poco o niente, fare un implacabile controllo delle nascite, trasformarci in Salvatori. Non dico che sia facile: in noi c’è molto Siafu e ben poco Cristo. Predare è più facile, ci viene automatico, fa parte del nostro DNA. Ma, ugualmente, siete pronti a salvare e salvarvi? Perché è la strada meno battuta la sola che può fare la differenza.

Covid-19: Predatori o Salvatori? La strada di Cormack Mc Carthy

Pensate a “La strada” di Cormack Mc Carthy e al suo mondo apocalittico, che improvvisamente sembra così vicino, dove le persone, per non morire di fame, diventano cannibali. Se siete adulti, genitori, zii, nonni, ricordate che ai vostri amati figli e nipoti, oltre a case, barche e posti di lavoro fichissimi lascerete una vita da scarafaggi, ma senza la capacità di sopravvivenza che hanno gli scarafaggi. Non ne faccio una questione morale. La storia ci ha posto di fronte a un bivio. Dobbiamo solo scegliere la direzione.

Bellissimo film tratto dal libro di Cormack Mc Carthy

“…Si sedettero al bordo della strada e mangiarono le ultime mele.

Cosa c’è? Disse l’uomo.

Niente.

Vedrai che troveremo qualche cosa da mangiare. La troviamo sempre.

Il bambino non rispose. L’uomo lo guardò.

C’è dell’altro, vero?

Non importa.

Dimmelo.

Noi non mangeremmo mai nessuno, vero?

No. Certo che no.

Neanche se stessimo morendo di fame?

Stiamo già morendo di fame.

Hai detto che non era così.

Ho detto che non stavamo morendo. Non che non stavamo morendo di fame.

Ma comunque non mangeremmo le persone.

No. Non le mangeremmo.

Per niente al mondo.

No. Per niente al mondo.

Perché noi siamo i buoni.

Sì.

E portiamo il fuoco.

E portiamo il fuoco, sì.

Ok. “  da “La Strada” di Cormack Mc Carthy

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Pandemia e hikikomori

Trickster anime su hililomori

Pandemia e hikikomori: il Covid-19 trasformerà tutti in hikikomori? Per quelli che non conoscono questa parola giapponese, hikikomori significa “isolarsi, ritirarsi” e si riferisce alle persone che si rinchiudono nelle loro abitazioni e si rifiutano di lasciarle, per periodi lunghi o lunghissimi, a volte per sempre.

Welcome to the NHK. romanzo, manga e anime che raccontano la vita di un hililomori
Pandemia e hikikomori: Welcome to the NHK anime

Il fenomeno hikikomori

I motivi per cui le persone abbandonano completamente la vita sociale e si isolano in casa sono diversi, ma dagli anni ’80 in poi il numero è cresciuto così tanto da trasformarlo in un vero fenomeno sociale, all’inizio solo in Giappone, ma in seguito anche negli Stati Uniti, in Europa e in tutta l’Asia. In principio gli hikikomori erano solo adolescenti, ma col tempo si sono aggiunti anche molti adulti.

RELIFE, manga e anime su hikikomori

In pratica, cosa significa essere hikikomori? Soffrire di depressione, incapacità di sperimentare una vita sociale, essere compulsivi e avere paure specifiche, come la misofobia (paura dei germi). Da quando esiste internet gli hikikomori sono aumentati, perché i social, i videogame online possono dare la falsa sensazione di avere amici, di far parte di un gruppo, di una community, e alcuni hikikomori, grazie allo smart working, possono lavorare da casa senza dover mai uscire né dipendere economicamente dalla famiglia. Ma la maggioranza di loro passa comunque la vita in camera da letto, senza studiare né lavorare, in preda alla depressione più nera.

Pandemia e hikikomori: i 4 tipi di Maïa Fansten

Il fenomeno è composito e ci sono vari tipi di hikikomori, secondo Maïa Fansten, sociologa francese esperta di isolamento sociale:

  1.  gli “alternativi”, che non accettano di adeguarsi alle regole imposte dalla società e dall’esistenza in genere e, autoisolandosi, compiono una sorta di ribellione;
  2. i “reazionali”, che reagiscono con l’isolamento a traumi subiti o a infanzie molto infelici;
  3. i “dimissionari” che fuggono da forti pressioni sociali e decidono di nascondersi perché annichiliti da ciò che scuola, università, carriera, famiglia pretendono da loro;
  4. coloro che si ritirano “a crisalide”, di solito hikikomori meno giovani, in una sorta di fuga dalle responsabilità della vita adulta, che cristallizzano il presente cercando di dimenticare del tutto il futuro: il loro ritiro è come “una sospensione del tempo”, una sospensione senza deroghe, che può durare per tutta la vita.

La nostra vita attuale

Welcome to the NHK manga su hikikomori Satō
Welcome to NHK manga sull’hikikomori Satō

E con questo arrivo al punto: qualunque sia il motivo che porta la gente a rinchiudersi in casa è un fatto provato che l’isolamento prolungato, la mancanza di rapporti sociali rendono le persone, col tempo, del tutto incapaci di interagire col mondo esterno. Ed ecco perché rischiamo di diventare tutti hikikomori (se proprio devo essere sincera, io lo sono già, almeno part time, da prima dell’avvento del Virus). Mancanza di vita sociale, paura di entrare in contatto con patogeni invisibili e molto pericolosi come l’attuale Coronavirus, isolamento forzato, sospensione del tempo e di ogni progetto: non è l’esatta descrizione della nostra vita attuale? A questo dobbiamo aggiungere anche la paura di avvicinarci ad altri umani, in quanto possibili portatori del Covid-19, paura che continueremo a provare per molto, molto tempo anche dopo che non saremo più in lockdown.

Pandemia e hikikomori: il cerchio delle Fate

cerchio delle Fate, parlando di hikikomori
Tipico cerchio delle Fate: statene alla larga!

Se a tutto ciò uniamo la depressione che molti di noi soffrono già da prima della pandemia, credo che il cerchio si chiuda, e quando parlo di cerchio chiuso penso al cerchio delle Fate, che per quanto possa suonare disneyano, appartiene invece a una leggenda molto gotica. Si dice che gli sfortunati umani che si trovino a passare, di notte, nei pressi di un cerchio delle Fate, ne saranno inesorabilmente attratti all’interno, e una volta lì dentro entreranno in una realtà parallela dove saranno schiavi delle Fate per periodi lunghissimi, a volte per una vita intera.

Pandemia e hikikomori: manga e anime

Ma è anche giusto dire che, almeno in Giappone, gli hikikomori vengono ormai considerati non più come persone affette da una patologia ma come una sorta di eremiti del terzo millennio. Infatti l’hikikomori viene spesso utilizzato come figura tormentata ma eroica nell’ambito di manga e anime, come in Welcome to the NHK, manga e anime tratti dal romanzo di Tatsuhiko Takimoto, che diceva di essere hikikomori lui stesso; la sigla NHK significa Nihon Hikikomori Kyōkai, ovvero “associazione giapponese hikikomori”. Il protagonista, Satō, soffre di fobia sociale e cerca di lottare contro la sua condizione, aiutato da un’amica che lo supporta economicamente e ha con lui un rapporto madre-figlio.

Trickster, anime sulla ragazza hikikomori Noro

 Molto diverso è Trickster, manga e anime, dove la protagonista hikikomori è Noro, una giovane hacker che si rifiuta di abbandonare la casa non per paura di relazionarsi con gli altri né per depressione, ma solo perché, a sentire l’autore, sceglie la solitudine. Questo nuovo modo di vedere le persone che vivono in autoisolamento ha aiutato i giapponesi ad accettare gli hikikomori; o forse i giapponesi, non riuscendo a risolvere il problema, hanno semplicemente smesso di considerarlo tale. Come dice quell’aforisma: se non riesci a uscire dal tunnel, arredalo. I giapponesi, in qualche modo, quel tunnel l’hanno arredato.

La prima e più famosa hikikomori

Emily Dickinson, hikikomori ante-litteram
Emily Dickinson, hikikomori ante-litteram

Non possiamo dimenticare, però, che la più famosa hikikomori, o meglio, hikikomori ante-litteram è stata un’americana, la poetessa Emily Dickinson, che trascorse gli ultimi venti anni di vita dentro alla casa paterna. Certo, aveva un parco tutto intorno che amava molto, ma passava quasi tutto il suo tempo in camera da letto. A soli trentacinque anni Emily ha deciso di non varcare mai più il cancello di casa, e non è più uscita nemmeno quando sono morti i genitori. Nel suo caso, forse, è stato il prezzo da pagare alla Poesia, divinità antica che, da sempre, chiede un tributo di sangue ai suoi figli prediletti.

Ma anche noi, che dobbiamo pagare il nostro tributo solo al Fato, potremmo rimanere incastrati nel cerchio delle Fate o in un tunnel arredato. Se dovesse accadere, non vi preoccupate troppo, perché fra manga e Poesia, nella crisalide, sarete di certo in buona compagnia. Un po’ come all’Inferno.

The Dead South: In Hell I’ll be in good company

(Disclaimer: il link esterno sul favoloso Tatsuhiko Takimoto vi rimanda al suo sito ufficiale, che è tutto in giapponese. Non mi sono riuscita a trattenere, per fortuna c’è Google translate…)

We’re all gonna die!

We're all gonna die! Lenny Bruce by Robert Crumb

We’re all gonna die! o, in italiano Moriremo tutti! era il grido che Lenny Bruce ripeteva, nelle sue performance comiche e rivoluzionarie a un tempo, durante la cosiddetta crisi missilistica di Cuba. La crisi missilistica iniziò il 14 ottobre 1962, quando Unione Sovietica e Stati Uniti d’America si fronteggiarono rischiando, in vari momenti, di arrivare alla guerra. Nel corso della guerra fredda, nessun momento è stato più grave e difficile di quei lunghi tredici giorni, in cui la gente di tutto il mondo – chi più chi meno – era convinta che un nuovo conflitto mondiale e nucleare sarebbe scoppiato. In questo periodo di epidemia, purtroppo ben più lungo di tredici giorni, il grido di Lenny mi viene spesso in mente.

Il vero Lenny Bruce nella sua performance poi chiamata “Bla bla bla” dopo l’arresto per oscenità

We’re all gonna die! Chi era Lenny Bruce

Definire Lenny Bruce semplicemente un comico sarebbe fortemente riduttivo. Ai suoi tempi veniva chiamato “infamous sick comic”, cioè il famigerato comico perverso; di lui si diceva “the sick humor of Lenny Bruce” e non credo che Lenny lo considerasse offensivo. La sua comicità, così simile alla musica jazz che lui amava moltissimo, era come una session in solitaria dove parlava, a ruota libera, di morale, politica, patriottismo, religione, razza, aborto, droghe; pur avendo aperto le porte ai comici che sarebbero venuti poi, a fine anni ’70, il suo sick humor era unico.

Lottò duramente contro la censura, per garantire la libertà di parola, e fu più volte arrestato per “oscenità”, a causa di parole come cocksucker usate durante i suoi show. Se mai è esistito un uomo che nel corso della sua breve vita è sempre andato in direzione ostinata e contraria, quell’uomo è certamente Lenny Bruce.

Lenny di Bob Fosse e Lenny secondo Albert Goldman

Noi che a quell’epoca non c’eravamo, abbiamo conosciuto Lenny Bruce grazie al film di Bob Fosse “Lenny” del 1974, interpretato da un grande Dustin Hoffman. Ma anche attraverso il libro di Albert Goldman “Ladies and Gentlemen – Lenny Bruce!!:

“Questo è stato il momento in cui un giovane comico oscuro ma in rapida ascesa di nome Lenny Bruce ha scelto di dare una delle più grandi esibizioni della sua carriera… Si immaginava un jazzista orale. Il suo ideale era di andarsene come Charlie Parker, prendere quel microfono in mano come un corno e soffiare, soffiare, soffiare tutto ciò che gli passava per la testa proprio mentre gli veniva in mente senza nulla di censurato, niente di tradotto, niente di mediato, finché era pura mente, pura testa che emetteva onde cerebrali come onde radio nelle teste di ogni uomo e donna seduti in quella vasta sala… Un punto in cui, come i praticanti della scrittura automatica, la sua lingua avrebbe superato la sua mente e avrebbe detto cose che non aveva intenzione di dire, cose che lo sorprendevano, lo deliziavano, lo facevano a pezzi, come se fosse uno spettatore della sua esibizione!”

We’re all gonna die! La “Bla bla bla” performance rifatta nel film “Lenny” con Dustin Hoffman

We’re all gonna die! raccontato da De Lillo

Per tornare al We’re all gonna die! devo invece citare un altro libro: “Underworld” di De Lillo, che, nel quinto capitolo dedicato a “frammenti degli anni cinquanta e sessanta” ci racconta il panico della nazione americana durante la crisi missilistica e la reazione del pubblico a quel “Moriremo tutti!” gridato da Lenny, un pubblico che non sa se ridere o piangere.

Da Underworld, di Don De Lillo:

22 ottobre 1962

Lenny rifece la battuta d’apertura, controllandone lo stile e il ritmo.

“Buonasera, concittadini.”

… Poi si produsse nel più stridulo dei falsetti:

“Moriremo tutti!”

Questo lo fece esplodere. Si piegò in due ridendo e sembrò che usasse il microfono come un contatore geiger, agitandolo sopra le assi del palcoscenico.

“Capito, ragazzi? JFK ha questa specie di uomo-toro russo che vuole misurarsi con lui, cazzo contro cazzo, e questo qui è uno con cui Jack non sa come comportarsi. Cosa dovrebbe dire? Mi sono scopato più debuttanti di te? Questo qui è un minatore, è uno che portava al pascolo gli animali a piedi nudi per un paio di copechi. È risaputo che ha infilato il pugno nel culo di una scrofa per fertilizzare il suo orto. Cosa dovrebbe dirgli Jack, una segretaria mi ha fatto una sega sull’ascensore della Casa Bianca? Questo è uno che caga con la porta aperta nelle occasioni ufficiali. Fa sesso con i suoi trofei di bowling.”

… E il pubblico pensava, quanto può essere reale la crisi se siamo qui in un club di Santa Monica Boulevard a spanciarci dalle risate?

“Moriremo tutti!”

… 24 ottobre 1962

…Ed ecco all’improvviso Lenny che senza nessuna presentazione, era scivolato sotto ai riflettori…

Poi si interruppe per dire: “Amatemi. È per questo che sono qui. Stasera come tutte le altre sere. Se smettete di amarmi io muoio.”

Questo non era uno dei suoi numeri. Il numero venne dopo…

“… Gesù è vissuto in Medio Oriente, fa Castro, e Gabriele dice, devi essere matto per dire stronzate del genere. Il ragazzo è napoletano. Parla con le mani. Era ebreo, dice Castro, se proprio vuoi sapere la verità. L’angelo dice, lo so che era ebreo. Un ebreo italiano. Esistono, giusto? E Castro dice, perché sto qui ad ascoltare queste idiozie? E l’angelo dice, vorresti dirmi che per tutta la vita ho creduto che Gesù ha trasformato l’acqua in vino a un matrimonio italiano e non è vero?”

… Poi si ricordò della battuta che ormai adorava. Quasi accovacciato sul palcoscenico, si mise l’impermeabile sopra la testa e si infilò il microfono praticamente in gola.

“Moriremo tutti!”

Sì, adorava questa frase… era debole e di cattivo gusto, vile e impotente, patetica ma in qualche modo anche nobile, un lungo, fragoroso grido di dolore e di pena, acuto e straziante e conteneva un elemento di dolce sfida.”

L’epidemia di Covid-19 e il grido di Lenny

Lenny Bruce, grande comico rivoluzionario e il suo grido We're all gonna die
We’re all gonna die! Lenny Bruce Photo by GEORGE KONIG/REX/Shutterstock

Ecco perché in questo periodo di epidemia, o guerra biologica che dir si voglia, periodo così difficile, surreale, ansiogeno, un po’ come se stessimo tutti aspettando Godot pur sapendo – la maggioranza di noi – che Godot alla fine non arriva, ecco perché continuo a pensare al We’re all gonna die! di Lenny Bruce, a quel grido di dolore straziante e di dolce sfida. Forse, in balcone, invece di cantare insieme l’inno italiano, dovremmo gridare:

Moriremo tutti! E poi ridere come matti, così come rideva il pubblico di Lenny.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino: carrozza a cavalli a New York, 1900

Alcuni di voi forse conoscono quella che è conosciuta come parabola del letame di cavallo. In breve, la storia è questa: fra il 1850 e il 1900 il cavallo divenne, nelle città europee e in quelle americane il mezzo di trasporto privilegiato sia per trasportare merci che esseri umani. Londra, nel 1900 aveva 11.000 carrozze trainate da cavalli, per non parlare delle migliaia di omnibus, sorta di autobus, ciascuno dei quali aveva bisogno di 12 cavalli al giorno, per un totale di ben più di 50.000 cavalli; New York, nello stesso periodo, di cavalli in giro per la città ne aveva ben 100.000.

Il letame di cavallo

Come è facile capire, tutte queste città erano ricoperte dal letame dei cavalli, letame che, fino a decenni prima veniva raccolto e rivenduto in campo agricolo, ma ormai la quantità era così ingente da non sapere più come smaltirla. Si dice che nel 1894, sul Times di Londra, un giornalista scrisse “Facendo delle semplici stime, fra 50 anni ogni strada di Londra sarà sepolta sotto 2 metri e mezzo di letame…” Nel 1898 si tenne a New York il primo convegno sul tema, convegno abbandonato dopo tre giorni dai conferenzieri per l’incapacità di trovare una soluzione al problema.

La soluzione al letame di cavallo

Come sappiamo, la soluzione arrivò dopo poco, e si chiamava automobile. La parabola del letame dei cavalli viene spesso citata da tutti quelli che si rifiutano di credere ai cambiamenti climatici e alla necessità assoluta di trovare alternative alla plastica, al petrolio, all’energia non rinnovabile e all’inquinamento in generale. Che cosa si dimenticano di dire, questi signori? Che il letame del cavallo, per quanto poco piacevole possa risultare, soprattutto all’olfatto, non ha mai rischiato di creare catastrofi naturali e non è mai stato tossico. L’automobile, invece, ha delle emissioni fortemente inquinanti, e, oggi lo possiamo dire: passare dallo smaltimento del letame a un inquinamento che uccide è stato un po’ come curarsi col cancro.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino: il cancro come cura

Cancer for the cure, EELS live

Due cose si possono desumere: la prima: il futuro non è mai prevedibile, perché sono troppe le variabili di cui non riusciamo a tenere conto; la seconda: ognuna di queste variabili ci porta inevitabilmente verso un futuro peggiore, come ci insegna un’altra parabola, quella “dell’illusione del tacchino”.

L’illusione del tacchino

Il letame di cavallo e l'illusione del tacchino

Nassim Nicholas Taleb ha scritto nel suo “The Black Swan: The Impact of the Highly Improbable” un paragrafo chiamato “turkey fallacy”:

Immaginate un tacchino che viene sfamato ogni giorno. Ogni singolo pasto rafforzerà, nel tacchino, la convinzione che è nell’ordine generale delle cose che lui venga amichevolmente sfamato ogni giorno da membri della razza umana “che cercano di fare solo i suoi interessi” come direbbe un politico. Ma il pomeriggio del mercoledì subito prima del Thanksgiving, qualcosa di inaspettato accadrà al tacchino. Finirà col rivedere le sue convinzioni.

Il letame di cavallo e l’illusione del tacchino

E quindi noi siamo tutti finiti con l’usare il cancro come cura e, allo stesso tempo, abbiamo drasticamente dovuto rivedere le nostre convinzioni. Se prima eravamo devastati dal traffico, dalle polveri sottili, dallo smog, ora le nostre città sembrano uscite da una delle tante pubblicità di auto (dove le strade sono vuote tipo day after e l’unica auto che circola, nuova e scintillante, è la tua.)

Se prima ci affannavamo alla ricerca di un lavoro, o nel tentativo di mantenere il lavoro stesso adesso il problema non si pone più; bisogna stare a casa mentre i pochi soldi diventano sempre meno e che importa, quando li avremo finiti risponderemo al poliziotto che ci interroga su dove stiamo andando:

“Al supermercato. A rapinarlo, però” e lui, da dietro alla mascherina che noi non possediamo perché non si trova, e se riusciamo a trovarne una costa così cara che non possiamo comprarla, ci sorriderà facendoci segno che possiamo andare.

Il nostro Thanksgiving

Il tacchino siamo noi e il Covid-19 è il nostro Thanksgiving. Mister Boris Johnson, che mi è venuto in mente pensando alle fattezze del tacchino, ha detto:

“Preparatevi a perdere i vostri cari”.

Proprio come sarebbe giusto dire a tutti i tacchini nel momento stesso in cui nascono. Ma noi siamo preparati a tutto. Siamo nati pronti per la sfiga. E invece a te, Boris, cosa porterà il Thanksgiving?

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