Dialoghi di periferia romana ai tempi del Covid

FILA ALLA ASL

Dialoghi di periferia ai tempi del Covid - ASL

(Esterno giorno, mattina caldissima d’agosto in fila fuori della Asl)

Davanti a noi ci sono due ragazzi, fra i trenta e i quaranta, che parlano di un omicidio avvenuto 10 anni fa.

“Ma indov’è che l’hanno trovato?” fa il primo.

“Drénto ar bare, no?” risponde il secondo.

“Ma checcazzo, e s’era capito com’è morto?”

“Boh, nun se sà si l’hanno accortellato, si l’hanno impiccato… comunque l’hanno buttato drénto ar bare e hanno chiuso a saracinesca”

“Ma la moje, te ricordi, la negra, nun s’è preoccupata quanno nun l’ha visto tornà?”

“Embè, che poteva fà?”

“Lo poteva cercà, no?”

“Eddove?”

“Eddove? Drénto ar bare, cazzo!”

Mentre i due chiacchierano scende le scale una ragazza, zoppicando vistosamente. Qualcuno le chiede che s’è fatta e lei risponde:

“Mannaggia! Me sò presa ‘n’incarcata…”

Nel frattempo arriva uno dietro di noi, sui cinquanta, magrissimo e scavato, coi capelli da mohicano, le infradito ai piedi e dei pantaloncini che Ettore è sicuro siano quelli del pigiama: “Boxer no, ma nemmeno un costume, quello era un pigiama” ha sostenuto poi, sicuro come la morte. Il mohicano, serissimo, si mette a cantare, ad alta voce:

“Dottore ti voglio parlare! Mentre dipingi un altareeeee!” (parafrasi di una vecchissima canzone di Fausto Leali. nda)

La guardia giurata, un ragazzo che ha la pazienza, la tolleranza e la gentilezza di Gandhi al cubo, gli dice:

“Allora? Nun ce vai in vacanza?”

“Macché – dice il mohicano – nun me posso move perché c’ho sti cani. Prima erano solo due, mo’ me so’ preso pure er mastino e stò ‘nchiodato.”

“Ma non trovi nessuno che je porta da mangiare?”

“Sì ma poi chi li porta a spasso? No, loro, si nun me vedono, morono. Senza di me mica campano… Ma comunque me so’ preso ‘na piscina, tre metri pe’ due, 700 euri, l’ho montata io e quanno er callo t’ammazza me ce butto”

Intanto i due tizi davanti a noi si sono mossi. Il primo è già uscito, mentre il secondo parla già da un po’ al cellulare col vivavoce maltrattando una poveraccia che dalla voce sembra la madre, ma dal numero di volte che lo richiama immagino che invece sia la donna. Finalmente si avvia verso l’ambulatorio ma si ferma lungo le scale perché il telefono squilla di nuovo e lui si mette a parlare, tranquillo, mentre tutti noi aspettiamo sotto al sole. Sale due gradini e poi ne scende quattro urlando e gesticolando: lo vediamo tutti e tre in contemporanea.

“Ma guarda sto rincoglionito” fa Ettore.

“Poi uno dice che je dai ‘na pizza” commenta il mohicano, sempre serissimo.

Il tizio, appiccicato al telefono, sale e scende le scale come se fosse la cosa più normale, finché non gli spediamo la guardia giurata a minacciarlo.

“Ma guarda sto stronzo – scuote la testa il mohicano – sale e scende… sta a seguì la Borsa, sto pezzo demmerda…”

Noi scoppiamo a ridere. Lui sempre serissimo: un Buster Keaton mohicano.

FILA ALLA CASSA

Dialoghi di periferia ai tempi del Covid: a pochi metri da Eurospin

(Interno giorno, Eurospin, agosto ora di pranzo, caldo come l’inferno fuori ma dentro c’è l’aria condizionata)

Messe le cose nel carrello, Ettore si avvicina a una cassa. Nella fila accanto c’è una cassiera che chiamiamo “la Schizzata” perché, oggettivamente, lo è. Bisogna aggiungere che, potendo scegliere, la maggioranza dei clienti rifuggono dalla Schizzata come se fosse portatrice di patogeni devastanti. Mentre i clienti coi carrelli carichi si avvicinano timidamente, la Schizzata urla loro di restare fermi lì dove sono, a due-tre metri di distanza: “Vi chiamo io appena ho finito!”  I primi della fila si immobilizzano. Sono moglie e marito: lei, enorme, molto alta, grassa ma anche muscolosa e forzuta, una che se ti dà un cazzotto in faccia ti fa saltare i denti. Il marito, invece, piccolo, timido e dall’aria un po’ pavida.

Mentre moglie e marito si sono fermati, rispettando il dictat della Schizzata, arriva un coatto sui quaranta, canotta, iper-tatuato, che supera la fila e si piazza a un centimetro dalla cassa. La Schizzata ha troppo da fare (forse sta elaborando una variante della teoria delle stringhe) per accorgersene. La moglie grossa guarda il marito che guarda verso il nulla. Poi arriva un’altra donna, coatta pure lei ma piccola di misure, che supera moglie e marito e si piazza dietro al tatuato. A quel punto la Schizzata dà il via alla giostra e il coatto tatuato si accinge a mettere le sue cose sulla cassa, ma la moglie enorme lo raggiunge con due balzi e prende di petto sia lui che l’altra donna, che subito si allontana, domandando:

“E allora ‘ndo me dovrei mette?”

“Me frega un cazzo, basta che stai dietro de me!” le ordina la moglie grossa.

Il coatto tatuato si ritira anche lui, borbottando:

“Vabbè, oggi nun c’ho proprio voja de litigà…”

Mentre prendono le cose dal carrello e le mettono sulla cassa, la moglie enorme sembra agitata per aver dovuto litigare con due teste di cazzo e intanto il marito si guarda ancora intorno vergognandosi. Ettore, dalla cassa accanto, si sente in dovere di fare una sviolinata alla donna. Quindi, di fronte a una platea composta dalla Schizzata, dal tatuato che non aveva voglia di litigare e dal resto della combriccola, le dice qualcosa del tipo:

“Brava, signora. Complimenti.”

E lei, ancora un po’ scossa, fa:

“E checcazzo! Ogni tanto ce vole ‘n po’ de grinta!!!”

FILA PER LA PIZZA

Disloghi di periferia ai tempi del Covid: fila per la pizza

(Interno giorno, pizzeria, agosto ora di pranzo, 60 gradi all’ombra, ci avviciniamo al punto di ebollizione)

La pizzeria è piccola, non particolarmente pulita, ma la pizza è buona e costa poco. Il proprietario e pizzettaro, Mirko, è un omone grande e grosso. Io aspetto in macchina, in doppia fila (non per paura dei vigili, che da queste parti non ci mettono piede ma perché sto bloccando un garage.) Ettore ordina la pizza, e mentre aspetta che esca un’infornata di margherita si guarda intorno e vede che ci sono due amici di Mirko che stanno lì a passare il tempo, siccome c’è un bel fresco…

Uno dei due gli chiede qualcosa e Mirko diventa ancora più rosso:

“Ma che cazzo, stamattina ariva sto regazzino e me dice – Scusi non dovrebbe portà la mascherina? – e io prima me lo guardo pe’ capì se scherza, e quanno vedo che è serio je faccio: Ma li mortacci tua, de tu madre che t’ha partorito e de tu padre che quer giorno se poteva fa ‘na sega! A regazzi’, prova a tenettela tu a mascherina cor forno accanto a 300 gradi, che lo apri e lo chiudi, lo apri e lo chiudi, e ner frattempo sto calore aumenta, aumenta e sì c’hai la mascherina addosso te se squaja in faccia. “

Un attimo di pausa mentre apre il forno ustionante con l’infornata di margherita da cui stacca e ci taglia in rettangoli i nostri 2 euro e 80 centesimi di pizza. Subito dopo continua:

“E poi j’ho detto: ma vatten…”

E gli amici, birra in mano, gridano in coro con lui: “ AFFANCULOO!!!”

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